Attualità

23 luglio 2021

Turchia: ha vinto la protesta. L’Università di Boğaziçi non ci sta

La data è certamente casuale, ma è un caso che dice più di quanto non sembri. Nella notte del 14 luglio scorso il presidente Erdogan ha firmato con un proprio decreto la revoca della nomina di Melih Bulu a Rettore dell’Università Boğaziçi del Bosforo. La notizia della rimozione è stata resa nota il giorno successivo, ossia nella mattina del quinto anniversario della sconfitta del tentativo di golpe militare del 2016.

La nomina di Bulu era stata firmata il primo gennaio del 2021. Anche in questo caso la data era significativa, rappresentando la volontà di Erdogan di segnare “un nuovo inizio” nei rapporti tra il suo governo e il sistema universitario del paese. Già docente universitario presso l'Università tecnica del Medio Oriente, Melih Bulu è vicino al Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) che è al governo, ed è stato imposto ad un ateneo che da sempre ha espresso una forte autonomia nei confronti delle spinte più tradizionaliste e nazionaliste del paese. Benché quanto accaduto alla Boğaziçi non sia un caso isolato - dal 2019 a oggi il Presidente ha nominato quasi 30 Rettori a lui fedeli, con l’obiettivo di eliminare ogni possibile voce critica nelle università del paese - la scelta di Erdogan ha dato il segno di un ulteriore giro di vite ai sempre più ristretti spazi di libertà e autonomia civile.

Il rettorato di Bulu è però stato fin da subito osteggiato da docenti e studenti per la sua natura esclusivamente politica e per il metodo autoritario adottato nella nomina: un vero e proprio commissariamento dell’ateneo. Dopo oltre sei mesi di costante e pacifica resistenza la comunità universitaria sembra essere riuscita a spingere Erdogan a fare un passo indietro.

Quanto accaduto sulle rive del Bosforo può apparire un evento piccolo e poco significativo in un contesto di crescente limitazione - in Turchia e altrove in Europa - dell’autonomia accademica e delle libertà di ricerca e di didattica. Solo tra qualche tempo potremo capire se il ripensamento di Erdogan costituisce una effettiva battuta d’arresto ai tentativi del Governo di controllare il sistema universitario. Nelle prossime settimane l’ateneo sarà governato dal prorettore, almeno fino a quando l’equivalente del Senato Accademico non proporrà un nome al Consiglio nazionale universitario.

Tuttavia, se inscriviamo quanto accaduto alla Boğaziçi nel quadro della più generale dissidenza al governo che attraversa il paese - e in particolare nel mondo dell’istruzione, della ricerca, dell’Università - è possibile cogliere l’effettiva importanza di quanto sta accadendo. E vi sono almeno due le ragioni a dare il senso a questi eventi.

La prima è che la Boğaziçi non è una qualsiasi Università ma è da sempre una delle punte avanzate del pluralismo e dell’anti-tradizionalismo del paese. Fin dalla sua fondazione la politica accademica di questo ateneo ha guardato innanzitutto agli Stati Uniti, quindi all’Europa quali principali riferimenti culturali. Forse anche per questo nei momenti più drammatici della reazione di Erdogan al golpe questo ateneo ha goduto di una relativa autonomia, riuscendo a tutelare la gran parte del proprio corpo docente, dei propri studenti e dei suoi lavoratori dalle epurazioni volute dal governo. Dati anche i molteplici legami tra questo ateneo e il mondo accademico internazionale, a sostegno delle proteste si è subito mobilitato un ampio fronte di ONG, associazioni universitarie ed istituzioni a rivendicare l’importanza di un sistema universitario libero e indipendente dal potere politico. Non dobbiamo peraltro dimenticare che dal 2001 la Turchia è membro a pieno titolo del processo di Bologna e del conseguente Spazio Europeo dell'Istruzione Superiore.

La seconda è che subito dopo il tentato golpe del 2016 Erdogan ha tentato di ampliare la sua influenza nelle Università del paese. Soprattutto in quelle, come la Boğaziçi, che per il rilievo scientifico e culturale non potevano essere semplicemente “occupate” dai suoi uomini, o svuotate con la serie di imprigionamenti, allontanamenti e licenziamenti che hanno segnato tutto il sistema pubblico turco. Si stima che almeno 8.500 accademici critici nei confronti del regime siano stati fino ad oggi licenziati, con l’accusa di aver fiancheggiato il golpe o le organizzazioni curde.

Il tentativo di controllo dell’Ateneo è per il momento fallito a fronte di mobilitazioni che - anche questo è importante ricordare - hanno seguito le stesse pratiche di lotta non violenta adottate dalla cosiddetta “generazione di Gezi” in piazza Taksim fin dalla primavera del 2013. Ponendosi quindi in continuità con movimenti di dissenso che nascevano ben prima del golpe, e che proprio il golpe ha aiutato a reprimere.

Pur nella drammaticità del contesto, la vittoria dell’Università Boğaziçi si inserisce in tutta una serie di segnali che fanno sperare per il futuro della Turchia. Innanzitutto, le importanti vittorie dell’opposizione nelle elezioni locali del 2019, ottenute nonostante il ferreo controllo del Presidente dei mezzi di informazione e degli apparati di Stato. Segno di un crescente malessere nel paese verso la svolta autoritaria di Erdogan, verso la corruzione della sua classe dirigente e le pesanti ricadute sul sistema economico e sociale del paese. Quindi l’importante rete di sostegno internazionale agli accademici turchi che fin da subito si è sviluppata a livello europeo: ad esempio, il Comitato Permanente Europeo dell’Università e la Ricerca (HERSC) dello European Trade Union Committee for Education (ETUCE) - di cui la FLC CGIL è parte - ha permesso a diversi accademici turchi licenziati di ricollocarsi in altri paesi, ha tenuto viva una rete di collaborazione e di contatto internazionale con le organizzazioni sindacali dell’educazione in Turchia, ha svolto una continua azione di pressione su istituzioni nazionali e europee. In terzo luogo, gli importanti pronunciamenti a favore di accademici licenziati dal governo emessi da diverse Corti di Giustizia che - nonostante le pressioni del governo - hanno accolto le tesi degli avvocati degli studiosi appartenenti all’organizzazione internazionale Academics for Peace arrestati con l’accusa di alto tradimento per aver firmato un documento a sostegno del processo di pace con il popolo curdo.

Per la Turchia il costo delle politiche autoritarie di Erdogan è stato altissimo. Le scelte del governo hanno fatto precipitare il sistema universitario del paese in tutti gli indicatori internazionali che misurano la libertà accademica, la qualità del suo insegnamento e della ricerca. I migliori ricercatori e docenti turchi, e tantissimi studenti e laureati, quando possono abbandonano il paese, aggravandone il progressivo declino culturale, economico e sociale. La battuta di arresto alla presa autoritaria di Erdogan sulla Boğaziçi mostra allora quanto le mobilitazioni pacifiche che attraversano il paese, la solidarietà internazionale, l’impegno delle organizzazioni internazionali a sostegno della dissidenza siano le uniche risposte possibili all’autoritarismo e alla corruzione del AKP e del suo leader.