Attualità

06 dicembre 2021

Educazione Territori Natura: percorsi di cittadinanza a partire dalla scuola. Il convegno internazionale e il parere dell'esperta

Il 2, 3 e 4 dicembre la Libera Università di Bolzano ha ospitato la sesta edizione del Convegno internazionale Educazione Territori Natura. Percorsi di cittadinanza a partire dalla scuola. Un evento che si rivolge a diversi pubblici, sia a ricercatori universitari sia a insegnanti ed educatori impegnati nella scuola e nelle opportunità intenzionalmente formative del fuori-scuola. Un convegno però che, per sua natura è, e dovrebbe essere, rivolto a un pubblico ancora più ampio, poiché ha come oggetto l’ambiente naturale, che è nostro e di nostra responsabilità, in tutte le sue declinazioni e può rappresentare un terreno su cui costruire azioni condivise per accrescere in bambini e ragazzi, che sono gli adulti del domani, la consapevolezza di essere “soggetti” di un ecosistema, inducendo così comportamenti rispettosi per il suo equilibrio e nel contempo contribuendo a sviluppare e raggiungere in ciascuno benessere, competenze e autonomia.

Abbiamo sentito Liliana Dozza, professore ordinario di Pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano e autrice per Edizioni Conoscenza del saggio “Un pensiero ecologico per la terra” recentemente pubblicato all’interno del volume Sostenibilità Formative.

Professoressa, come e perché nasce, sei anni fa, l’idea di questo convegno? E come si è declinata questa sesta edizione?

La domanda a cui stiamo cercando di rispondere con questi convegni e con le esperienze che in rete stiamo costruendo è sempre quella: “Come immaginare e come contribuire a realizzare modi ecologici e sostenibili di abitare la Terra?”.

Siamo infatti tutti consapevoli che la fuga verso isole felici non è più possibile, perché c’è una sola possibile isola felice: il pianeta Terra, la biosfera. E su quest’isola si potrà vivere soltanto riappacificando la biologia con la storia. E connettendo la dimensione formativa, scientifica e tecnologica, sociale, economica e politica. Il percorso che abbiamo compiuto fino ad ora si è articolato su due piani: fare educazione e fare rete.

Da un lato, si è inteso riflettere sui grandi temi della complessità e della vita, a partire da quelli che costituiscono l’identità personale e rappresentano fonti di resilienza. Di qui i grandi temi dei Convegni Educazione Terra Natura dal 2016 al 2020: imparare la Terra e la Natura, imparare la vita e da qui la conoscenza e l’educazione per lo Sviluppo Sostenibile. Dall’altro lato, per condividere questo progetto si è costituita, consolidata e rafforzata nel tempo una rete di persone, istituzioni scolastiche (dal nido all’Università) e culturali (musei, biblioteche, accademie), studenti, privato sociale organizzato, mondo delle imprese e del lavoro.

Questo 6° Convegno Internazionale ha posto al centro del discorso e della riflessione il progetto di un’educazione alla cittadinanza per fare sistema e creare una costruttiva interdipendenza tra le dimensioni formativa, sociale, economica e politica che sia in grado di rispondere alle sfide dell’ambiente globale. Al centro di questo progetto stanno cultura/natura e educazione. E sta la collaborazione tra scuola, università e mondo della vita e del lavoro. Il sapere non può e non deve essere considerato come uno dei tanti beni che la società opulenta offre, qualcosa da consumare come mezzo per acquisire ruoli sociali più appetibili. Deve essere un mezzo di liberazione, di emancipazione anche. Serve un sapere che sia connesso con la realtà, che fornisca i mezzi per analizzare il vivere quotidiano. L’edizione di quest’anno si è articolata in quattro grandi tematiche, cittadinanza e partecipazione, sostenibilità e responsabilità, relazioni e fiducia, territori scuola ed emancipazione, introdotte da Keynote, speaker di fama internazionale e di differente afferenza disciplinare e approfondite da 106 ricercatrici e ricercatori nelle sessioni in parallelo dedicate alla call for paper. Si è anche tenuta la premiazione del concorso sul tema la scuola che vorrei a cui hanno partecipato alunni delle scuole di tutto il territorio nazionale. Per chi fosse interessato il volume degli abstract delle ricerche e il Libro che raccoglie racconti, poesie, disegni di bambini e studenti sono scaricabili dal sito.

Perché un momento come questo rappresenta un’occasione?

Pensiamo a un’educazione per tutta la vita, a partire dalle prime età della vita: nei contesti educativi formali e non formali. E pensiamo a un apprendimento-insegnamento esperienziale e co-partecipato che “intrecci” corpo, mente, emozioni, contesti e inviti a guardare persino il più piccolo essere vivente da differenti punti di vista, scoprendo “grappoli” di relazioni che aiutino a comprendere i nessi e i legami con il contesto. Come può un convegno così non rappresentare un’occasione?

Crediamo fortemente che fare sistema tra università, scuola, mondo della vita e del lavoro sia il progetto umano per eccellenza. È un progetto che chiede impegno da parte di chi ha responsabilità formative così come di chi ha responsabilità economico-sociali e politiche. L’interazione tra scuola, università e mondo del lavoro e della vita è un processo in fieri. Si tratta, infatti, di piccol, grandi passi verso un modello di sviluppo basato sulla consapevolezza che la Terra è una comunità di destini. Se vogliamo condividere modi ecologici e solidali di abitarla, dobbiamo trasformare gli spazi in luoghi con confini flessibili e porosi, ricostruire la comunità cominciando dai paesi, dalle piccole frazioni, dai singoli quartieri. Occorrono azioni e iniziative che partano dal basso e scelte culturali e politiche interessate a iscrivere le vite delle differenti generazioni nei contesti territoriali di appartenenza sostenendo il valore dei legami relazionali fin dalle prime età e per tutte le età: nelle famiglie, nelle scuole, nei contesti di aggregazione e di vita sociale, nella progettazione e riqualificazione urbana. Questo perché la visione di un futuro possibile è la comunità. Dobbiamo anche renderci conto che per realizzare questo progetto, servono contesti di formazione plurimi, scuole e opportunità intenzionalmente formative nel territorio realmente aperte a tutti (lifewide learning); opportunità formative aperte a tutte le età della vita (lifelong learning); una postura etica e un insegnamento-apprendimento progettato per e con chi (e non su) apprende, un approccio che crei occasioni di gioco, immaginazione, azione concreta, apprendimento profondo (lifedeep learning) affinché qualcosa di profondamente significativo accada.

In ambito scolastico, fino a pochi decenni fa, ha prevalso l’idea che, per cambiare prospettiva fosse sufficiente assumere l’ambiente come oggetto di studio. Certamente, questo è stato ed è un primo importante passo verso una giusta direzione, ma oggi ci rendiamo conto che questo approccio non è sufficiente: non basta conoscere ed educare sulla natura, occorre conoscere, educare nella e soprattutto per la natura. Come deve cambiare l’approccio educativo?

Guardiamo ad ogni bambino/adolescente come a un agente attivo del proprio sviluppo, parte di una rete relazionale a valenza affettivo-cognitiva paragonabile a un campo magnetico, un campo vitale che comprende reti di appartenenza famigliare (che intrecciano tre o anche quattro generazioni) e reti di socializzazione (nei gruppi dei pari, nei contesti non formali e informali di istruzione e di formazione). Pensiamo alla classe come a una communty of learners e all’apprendimento come a un processo di trasformazione attraverso la partecipazione ad attività significative, in contesti dove docenti, bambini, adolescenti/giovani insieme co-costrutiscono processi di conoscenza e sperimentano forme di riflessione metacognitiva.

Guardiamo alla scuola come a un sistema complesso, una scuola che vorremmo aperta dentro e aperta fuori, che consideri l’ambiente naturale e urbano come una grande “aula didattica decentrata”: “bottega della conoscenza” e “bottega del pensiero e dell’immaginazione”, quindi libro di testo esperienziale interattivo e campo di azione e di “gioco” dell’immaginazione.

La grande posta in gioco della scuola è duplice:

  • fornire le basi per la co-costruzione di mappe cognitive di tipo evolutivo, che incarnino un’idea di sapere come costruzione dinamica, aperta all’incertezza e alle sfide della scoperta;
  • sperimentare in prima persona l’etica del rispetto e del prendersi cura.

Per fornire le basi per immaginare nuove cornici concettuali e nuovi scenari di senso bisogna partire dall’esperienza e imparare a guardare nel profondo e anche a guardare lontano per tornare all’esperienza, ma l’esperienza deve essere qualcosa “di più e di diverso” dalla semplice attività. Inoltre, è importante riconoscere che le emozioni sono in-between, come la linfa nelle piante, che le emozioni sono il “lievito” della motivazione.

Come sperimentare in prima persona l’etica del rispetto e del prendersi cura?

Occorre coltivare a monte empatia, pro-socialità, pensiero riflessivo, riconoscimento e comprensione delle emozioni, racconto, laboratorio del pensiero, negoziazione dei punti di vista, cooperazione. Occorre adottare stili comunicativi improntati a un agire collaborativo e solidale, perché la solidarietà liberando fiducia, riduce difese, paure, blocchi, resistenze.

E poi, l’etica del rispetto e del prendersi cura richiede di imparare a decentrarsi.

Prendersi cura comporta di imparare ad avvicinarsi tanto da/per sentire, pensare, provare (come se si stesse nei panni degli altri) e allontanarsi per riflettere. È un movimento di andata e ritorno: un andamento pendolare che ci permette di avvicinarci senza rimanere imbrigliati/appiccicati/troppo coinvolti e di allontanarci quel tanto che ci permetta di fermarci a pensare. Così come si fa quando si guarda un quadro e ci si avvicina per cogliere minimi particolari poi ci si allontana per apprezzarlo nella sua complessità con uno sguardo d’insieme. Oppure quando si sta in natura e si respira, si assapora, si ascolta la vita, poi si trova una “tana” o un momento speciale in cui potersi fermare a sentire le proprie emozioni e a pensare i propri pensieri.

Occorre darsi il tempo, perché il primo obiettivo non è quello di risolvere i problemi ma di comprenderli, allargando lo spazio di pensiero e di azione per sé e per gli altri. Tra l’altro, se davvero il progetto è quello di prendersi cura, si dovrebbero creare le condizioni per sperimentare in prima persona l’intuizione e la consapevolezza di potercela fare a trovare la propria strada sentendo di averla scelta e conquistata autonomamente.

Come scrive nel suo saggio, da tempo sappiamo che la frenesia predatoria degli uomini e il degrado del pianeta si sono spinti oltre le possibilità che la natura ha di rigenerarsi. E che l’essere umano vive così freneticamente e senza prospettiva da aver dimenticato che il passato è presente e che il futuro è già oggi. E non parliamo solo del comportamento del singolo: vediamo continuamente adottare strategie di sordità anche da tanti politici e così facendo rischiamo di disattendere pesantemente le aspettative e le “promesse” di una transizione ecologica, di un impegno condiviso richiesto dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, dall’Accordo di Parigi2 e dalle raccomandazioni dell’Enciclica Laudati si’ di Papa Francesco sulla cura della casa comune. Alla luce di questo quale deve essere il progetto umano? E quindi cosa possiamo fare tutti, indipendentemente dal mondo scolastico?

Serve una infrastruttura educativa, culturale/naturale e sociale. Di più, serve aver cura dei contesti, tessere le reti e le trame connettive dei territori. I Territori di appartenenza devono essere i contesti educativi.

Mi permetta una metafora. Le aziende chiedono infrastrutture, reti di opere complementari necessarie per il funzionamento del sistema economico (strade, linee ferroviarie e aeree, porti, servizi nel settore della telecomunicazione, oleodotti, metanodotti, acquedotti, insediamenti urbani ecc.) e anche sostegno politico per posizionarsi nel mercato globale.

Per restare in metafora, la promessa e il progetto di cultura, formazione, cura del benessere e della salute delle persone comporta la co-costruzione di infrastrutture culturali, naturali, formative e sociali investendo su educazione, spirito di imprenditorialità, housing intergenerazionale e sociale, servizi sociosanitari e socioeducativi e, più in generale, conoscenza reciproca, dialogo, sviluppo del territorio, miglioramento della qualità della vita e promozione del bene comune.

In ogni caso, si tratta un compito difficile, perché richiede impegno, coordinazione, tempi lunghi e… “manutenzione continua”. Soprattutto richiede un approccio partecipativo e coordinazione a livello individuale e di gruppi, una base attiva, una cittadinanza attiva e responsabile che sostenga la rete o infrastruttura che si va creando.

L'autore

Elisa Spadaro