Attualità

18 febbraio 2022

I giovani e le difficoltà con la matematica, anche l’Australia è in crisi e cerca di correre ai ripari

Mentre in Italia, nel corso di un’audizione in Parlamento sui fondi Pnrr, il Ministro dell’Istruzione Bianchi sembra lanciare, en passant, un allarme sulla questione della crisi dell’apprendimento della matematica nelle nuove generazioni, nel resto del mondo occidentale la questione assume il carattere di vera e propria emergenza da analizzare e da correggere. Neppure l’Australia, infatti, sfugge alla “crisi da matematica” dei suoi studenti e le autorità politiche elaborano piani per uscirne, al più presto. Secondo i dati diffusi da Ocse-Pisa, appena vent’anni fa gli studenti australiani erano all’undicesimo posto per la matematica, e oggi invece sono appena ventinovesimi su 38 Paesi. Da qui, la crisi delle scuole, di un’intera generazione, delle istituzioni politiche e degli insegnanti di matematica.

A gennaio, i ministri dell’istruzione hanno discusso dell’ipotesi di un nuovo curriculum, e hanno quasi trovato un’intesa, con l’eccezione del ministro federale e di quello dell’Australia occidentale, che hanno preso le distanze. Stuart Robert, il ministro federale, ha ribadito che “non ci sono ancora né gli standard in matematica né quelli sulle materie letterarie e le scienze sociali”. In realtà, ha poi aggiunto: “vorremmo vedere ipotesi per consentire agli studenti la padronanza in matematica, non banali inchieste sui loro limiti”. Giorni dopo, il ministro Robert ha poi spiegato che un curriculum nazionale aggiornato avrebbe giocato un “ruolo chiave” per arrestare la caduta dell’Australia nei ranking del programma Ocse-Pisa, che vedono il Paese crollare costantemente dal 2003. Il ministro ha affermato che “uno studente ha oggi una preparazione media che è indietro di un anno rispetto ai suoi coetanei di 20 anni fa. E nessuno di noi può considerarlo come accettabile”. Come debba essere insegnata la matematica in virtù dei nuovi e diversi bisogni cognitivi delle nuove generazioni australiane (in questo affatto diverse da quelle di tutto l’Occidente) è stato il punto chiave della discussione sulla riforma del curriculum nazionale, attesa entro aprile.

Già a giugno 2021 decine di matematici, insegnanti di matematica e pedagogisti avevano dichiarato che un nuovo curriculum fosse necessario. In una lettera aperta alla Australian Curriculum, Assessment and Reporting Authority, avevano già criticato la bozza di curriculum perché conteneva “scarsi valori pratici come struttura portante” e invocarono una “spinta ulteriore verso il ruolo centrale dell’apprendimento della soluzione dei problemi e del cosiddetto insegnamento inquiry-based, basato sul ragionamento”. Nella lettera scrivevano: “non riteniamo che un documento curriculare possa obbligare a uno specifico metodo di insegnamento della matematica ed è soprattutto preoccupante che la bozza del curriculum non sia altro che l’obbligo generico ad una esplorazione e alla soluzione dei problemi”.

Due scuole di pensiero

Quando si giunge alla pedagogia della matematica gli esperti non concordano su ciò che funziona meglio per il profitto degli studenti. Le opinioni divergono su due caratteristiche: il primo è l’insegnamento esplicito, nel quale i docenti introducono alla matematica e istruiscono sui nuovi concetti, e il secondo invece si concentra sull’insegnamento guidato dal ragionamento. Quest’ultimo – che fa riferimento anche a concetti come ragionamento strutturato, insegnamento alla scoperta, insegnamento costruttivista o basato sulla soluzione di problemi – si concentra più sulle informazioni che gli studenti scoprono autonomamente piuttosto che su quelli presentati direttamente. “Con l’insegnamento al ragionamento si traggono informazioni” afferma Greg Ashman, vicepreside al Ballarat Clarendon college di Victoria, e un PhD alla università del New South Wales. Ashman, uno degli artefici della lettera aperta, propone l’insegnamento esplicito, un approccio sostenuto dalla psicologia dell’educazione e dalla ricerca in scienze cognitive. Nella sua classe egli adopera un sistema di insegnamento modulato sullo schema “I do, we do, you do” allo scopo di introdurre nuovi concetti matematici. “Non ci si aspetta che gli studenti sappiano fare cose che non sanno come fare”, dice.

Peter Sullivan, professore emerito di STEM Education alla Monash University preferisce invece l’insegnamento del ragionamento strutturato. “La considerazione corrente tra i professori di matematica è che il ragionamento strutturato centrato sullo studente aiuta a sviluppare la capacità di pensiero autonomo piuttosto che inseguire ricette”, afferma. “Se ad esempio volessimo che lo studente sappia calcolare 132 più 99, avremmo almeno quattro modi per farlo. Gli studenti sceglieranno qualunque metodo ritengano più vicino alle loro conoscenze… e quando esso comparirà nel loro sviluppo cognitivo. Così, perché dire eccovi l’unico metodo per calcolare 99 più 132? Al contrario, dire agli studenti cosa fare non sarà il metodo migliore per orientarli a pensare”. Sullivan cita una ricerca del 2012 che chiedeva agli studenti se i loro professori di matematica usavano approcci basati sul ragionamento, quelli che l’Ocse-Pisa definisce strategie di “attivazione cognitiva”. Ai partecipanti alla ricerca Pisa veniva chiesto se il loro professore “presenta problemi per i quali non esiste nell’immediato un ovvio metodo di soluzione” e “ci chiede di decidere sulle nostre autonome procedure per la soluzione di problemi complessi”, “aiutandoci ad apprendere dagli errori commessi”. Sullivan sostiene che “sempre più spesso il professore usava quel tipo di strategie e sempre più gli studenti apprendevano. I risultati della ricerca del 2012 erano talmente chiari da non porre altri interrogativi”. A sua volta, Ashman concede che il processo di “attivazione cognitiva” si associa alle migliori “prestazioni” ma non ci dice nulla sull’insegnamento diretto della materia. Secondo Ashman, “maggiore è l’insegnamento diretto della materia e maggiore è il livello di preparazione degli studenti”. Altri studiosi, come lo psicologo dell’educazione John Sweller, hanno sostenuto che gli scarsi punteggi australiani alla rilevazione PISA siano stati determinati da “una accresciuta enfasi sull’insegnamento basato sul ragionamento e sul pensiero critico. L’insegnamento basato sul ragionamento è stato concepito 60 anni fa su convinzioni di moda a quell’epoca a proposito delle capacità cognitive. In seguito è divenuto sempre più popolare nonostante le evidenze empiriche della sua efficacia molto limitata”.

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Insomma, in Australia cresce il dibattito pubblico sulla “crisi da matematica” in tutte le scuole, e si pensa, da molte parti, che occorra ragionarvi a bocce ferme, ripartendo da zero, dalle categorie educative più efficaci, e dalla didattica, allo scopo di pervenire alla formulazione di un nuovo curriculum. Ciò richiede la consultazione di tutti i soggetti sociali, intellettuali, accademici. La soluzione alla questione non può essere più lasciata alle sole decisioni del Ministero federale dell’istruzione. Come sostiene Ashman, “dobbiamo sapere ciò che gli studenti conoscano e come insegnarlo loro. Si tratta di un’impresa che non può essere risolta in poche settimane”.

L'autore

Pino Salerno