Attualità

10 giugno 2022

Scuola. I bassi salari al centro della crisi del reclutamento dei professori

Che la questione salariale sia al centro della crisi del reclutamento di insegnanti e docenti nella scuola pubblica, i sindacati lo dicono ormai da anni, in Italia e non solo. Scioperi e mobilitazioni si sono susseguiti un po’ ovunque nel Vecchio continente, soprattutto in Francia e in Italia, ma anche altrove. Netta è la convinzione che se non si risolve l’annosa questione salariale sarà difficile rendere attrattiva una professione, quella docente, che sta perdendo senso e significato, a tutto vantaggio dell’impresa privata che ovunque sa come selezionare i cosiddetti “migliori”. Insomma, o si alzano i salari oppure le scuole di quasi tutta Europa perderanno decine e decine di migliaia di insegnanti e docenti, soprattutto giovani.

Secondo un rapporto del Senato francese, la crisi del reclutamento tocca gran parte dei Paesi europei, compresi quelli che sembrano pagare bene i loro insegnanti. Ne parla il quotidiano Liberation in un articolo firmato da Elsa Maudet, che si occupa in redazione di scuola e università. Una fonte attendibile, dunque. Secondo il quotidiano, “nel momento in cui la Francia è in allarme in questo momento perché non riesce a trovare professori, un rapporto del Senato dimostra che la questione è molto più vasta”. E cita le dichiarazioni dell’autore del Rapporto, il senatore repubblicano Gérard Longuet: “l’insieme dei Paesi europei si confronta con due difficoltà crescenti a proposito di reclutamento degli insegnanti, lasciando presagire una reale crisi di attrattività per i prossimi anni”. E non caso il Rapporto ha per titolo «Crise d’attractivité du métier d’enseignant : quelles réponses des pays européens?», la crisi di attrattività della professione dell’insegnante: quali risposte dai Paesi europei?.

Liberation sottolinea che in Francia i bassi salari dei professori sono spesso considerati tra i principali responsabili della disaffezione verso questa professione. E dunque, osserva il Rapporto, la mancanza di insegnanti si fa così grave anche nei Paesi dove le retribuzioni sono elevate. In Germania, ad esempio, dove il salario medio è quasi due volte superiore a quello dei docenti dell’Unione europea (tra i 2774 e i 4246 euro mensili), 26000 insegnanti potrebbero mancare nelle scuole primarie da qui al 2025. “Solo la Finlandia e la comunità germanofona del Belgio dichiarano esplicitamente di non aver incontrato alcuna difficoltà legata all’offerta e alla domanda di insegnanti”, nota il Rapporto. E le difficoltà non riguardano solo l’insieme della professione ma toccano più fortemente alcune discipline (soprattutto quelle scientifiche) e alcune zone geografiche.

Nonostante questo disastroso contesto europeo, l’autore del rapporto non minimizza le difficoltà francesi. E segnala che nello spazio di un decennio i candidati ai concorsi nell’Educazione nazionale sono passati da 50mila a 30mila all’anno. E sottolinea quanto sia ancora più grave il fenomeno dei dimissionamenti, il cui tasso è passato dallo 0,05% nell’anno scolastico 2008/2009 allo 0,32% nel 2020/2021. Tra gli insegnanti al primo anno di servizio, i dimissionari sono al 3,2% nel 2021 contro l’1% di dieci anni prima.  Il Rapporto commenta: “se queste cifre appaiono basse se comparate alla massa salariale del ministero dell’Educazione nazionale, l’autore del Rapporto considera tuttavia la regolarità delle dimissioni come un segnale estremamente inquietante”. Che fare dunque, si chiede Liberation, insieme con il Rapporto? Anche se il salario non è tutto, tuttavia “l’attrattività della professione ha anche un risvolto finanziario”, afferma Gérard Longuet il quale assume l’Inghilterra come modello di riferimento, dove i docenti di matematica, fisica, chimica e informatica, sono meglio pagati degli altri. Gérard Longuet difende un approccio analogo in Francia, dove i professori di matematica potrebbero essere meglio remunerati dei loro colleghi di Storia e geografia, proprio perché i primi hanno maggiori possibilità di impiego privato dei secondi.

“Se volete avere dei buoni professori matematica” dice convinto il relatore, “bisogna avere dei geni che siano felici di essere professori di matematica”. Analogamente, secondo questo schema, un professore di Parigi dovrebbe guadagnare di più rispetto ai suoi colleghi della regione di Loziere, dove il costo della vita è decisamente diverso e molto più basso. Anche in Francia si sta pensando di utilizzare una sorta di autonomia differenziata basata sulle gabbie salariali? Certo, la provocazione del Rapporto è abbastanza vicina a queste considerazioni, e d’altronde lo stesso presidente rieletto Macron ha più volte manifestato sostegno al ministro uscente dell’Educazione nazionale, Blanqueur, quando questa riflessione si è fatta strada. Il punto è che, come sottolinea Liberation, una tale differenziazione salariale per zone geografiche e costo della vita porrebbe enormi questioni di natura giuridica, e il Rapporto ne è consapevole, al punto da proporre uno scambio tra aumento dello stipendio e valutazione. Il Rapporto infatti scrive: “la valutazione interna tra pari o del capo d’istituto è obbligatoria nei 27 sistemi educativi europei” e “tener conto della valutazione nella carriera degli insegnanti non può realizzarsi non senza numerose salvaguardie e in particolare quella di aggregare costantemente gli insegnanti nella costruzione della valutazione”.

Oltre all’aspetto salariale, il Rapporto consiglia di accompagnare i nuovi insegnanti, durante i primi due o tre anni di esercizio, “attraverso un lavoro di mentorato”. Un mezzo pensato per evitare dimissioni precoci. Ora, se questo documento del Senato di 100 pagine, conclude Liberation, fotografa la realtà e propone dei miglioramenti, non aggiunge tuttavia risposte nette. “Il rapporto non è esaustivo, ma ha il compito di aprire finalmente il dibattito”, conclude il relatore Gérard Longuet. E questo è sempre stato il nostro auspicio. Ma si sa, su questi temi salariali in Europa e in Italia in molti fanno finta di non sentire.

L'autore

Manuela Colaps