Attualità

07 marzo 2023

Marco Tarquinio, direttore di Avvenire: la nostra sfida epocale, un nuovo vocabolario dell’umano

Direttore del quotidiano dei vescovi Avvenire dal 2009, Marco Tarquinio accentua l'attenzione ai temi della lotta alle diseguaglianze, per la giustizia e la sostenibilità economica e ambientale, aprendo le sue pagine alle proposte e alle esperienze del Terzo settore e della "economia civile". Durante la guerra in Ucraina ha esposto pubblicamente le sue idee testarde per la pace e per la costruzione di un movimento largo per la pace, che diede vita alla grande manifestazione romana di piazza san Giovanni del 5 novembre 2022. Il 15 febbraio scorso è stato uno dei protagonisti della tavola rotonda organizzata durante il Quinto Congresso della FLC CGIL, dal titolo “Lezioni di pace”.

Una prima domanda di natura teorica: come è stato possibile che il tuo quotidiano sia diventato quello che più di tutti ricorre al pensiero filosofico oltre che teologico? C’è dietro un orizzonte culturale?

C’è la convinzione profonda che questo è il tempo di costruire un alfabeto comune, l’alfabeto dell’umano e non esiste parola senza un pensiero che la formi che la accompagni che la semini e che faccia portare frutti, quali che siano poi i frutti. Ma ci deve essere il pensiero. Credo che questo sia il momento giusto per mettere in comunicazione tutti coloro che abbiano la voglia di costruire questo vocabolario comune. E lo facciamo noi che produciamo un quotidiano che dichiara la propria identità, siamo un giornale di ispirazione cattolica con la curiosità di ascoltare le parole degli altri, con la consapevolezza che la fede, come la concepiamo noi, aiuta a illuminare tutto. Però ci sono altri che portano luce. Non siamo gli unici a essere depositari di questo raggio che attraversa le cose e le rende più chiare. Il pensiero filosofico credo che abbia superato, ma non ancora del tutto, la vertigine della debolezza, ossessivamente ricercata.

Ti riferisci al Pensiero debole che Gianni Vattimo introdusse in Italia fin dagli anni Ottanta con la cosiddetta rinascita di Nietzsche e poi di Heidegger?

Io credo e spero di esserci finalmente accorti di non avere un pensiero fortemente radicato nel vissuto degli uomini e delle donne e con una forte spinta verso l’umanità. Si può aprire il campo al nulla. Temo una fase della storia in cui il confronto sia tra totalitaristi e nichilisti.

In realtà ci siamo già. A me interessa perseguire questa linea, perché all’interno vi è anche un’idea forte di didattica e di educazione. Di quale umanesimo parliamo, dunque? Mi riferisco al numero di febbraio di Luoghi dell’infinito, il mensile abbinato ad Avvenire, dedicato al pensiero di Agostino, con interventi, tra gli altri, di Massimo Cacciari e Sergio Givone. Interventi che puntano anche a costruire forme di umanesimo nell’ambito educativo. Non mi pare si tratti, il vostro, di sincretismo ma di qualcosa di più, del tentativo di ricostruire forme di vita umana mediante l’educazione della persona.

Sappiamo che questa è una sfida che un signore che si chiama Francesco e che di mestiere fa il papa, ha proposto a tutti, chiamandoci alla grande iniziativa educativa globale, in un mondo nel quale una delle cose che salta agli occhi è la svalutazione della dimensione educativa rispetto ad altre. Prendo tre indicatori: salute, istruzione e armi. La spesa globale nel tempo della pandemia: la spesa sanitaria, almeno nelle terre più fortunate del mondo, ha ricominciato a salire, il commercio globale delle armi per effetto delle guerre aperte ha superato per la prima volta i duemila miliardi di dollari e la spesa per l’istruzione è andata sempre più calando. Sono figlio di insegnanti, mio padre docente di filosofia e mia madre maestra elementare. Ho vissuto in anni nei quali il riconoscimento e la retribuzione salariale degli insegnanti non era fantasmagorica ma c’era una reputazione sociale elevatissima. In tanti ancora mi cercano e mi salutano perché ex allievi di mia madre e di mio padre, e questa è una delle cose grandiose che mi confermano la grande importanza degli educatori nella vita delle persone, quelli che aiutano a crescere, a maturare uno sguardo sulla realtà. Penso che la grande sfida oggi, in altri Paesi europei è già accaduto, sia non solo quella di ricostruire la reputazione sociale degli insegnanti, spesso vituperata e banalizzata anche per effetto di una stampa volgare, ma è anche quella di riconoscere finalmente una dignità economica. Insomma, se c’è un lavoro fondamentale nella vita di una comunità, di una società, è proprio quello di formare le nuove generazioni. La scuola è la vera fabbrica del futuro. Mi ha molto colpito il fatto che durante il covid siano state chiuse le scuole mentre restavano aperte le fabbriche delle armi, un altro indice dalla nostra disumanità in questo periodo.

Due ultime domande. La prima: siamo rimasti tutti colpiti dalla vicenda del liceo Michelangiolo di Firenze, dove un manipolo di studenti di estrema destra ha aggredito alcuni studenti del collettivo studentesco. In seguito, la preside Savino del liceo Da Vinci ha scritto una bellissima circolare ai suoi studenti nella quale si concentrava sul tema dell’indifferenza. Circolare ridicolizzata dal ministro Valditara, che non ha condannato l’aggressione fascista, ma ha condannato la lettera della preside Savino. L’evento fiorentino ricorda molto da vicino l’aggressione subita dalla Cgil il 9 ottobre del 2021 da parte di un manipolo di squadristi. Due atti simbolicamente forti. Dal suo osservatorio privilegiato di un quotidiano importante, come vede questo rigurgito estremista della destra?

Intanto c’è da dire che colpisce molto il fatto che il ministro dell’Istruzione - e come si dice adesso, del Merito - non stia nel “merito” dei fatti accaduti mentre critica un’insegnante senza nulla dire a proposito degli atti compiuti dai violenti. Poi c’è da riflettere sul fatto che parole siano così importanti, c’è una lotta sulle parole da usare e da non usare. Penso alla parola “libertà” usata dagli studenti dell’estrema destra, che diventa misura di sé stessi. C’è una dimensione della libertà individuale che è incomprimibile, ma sappiamo anche che c’è una responsabilità sociale e c’è una responsabilità comunitaria. E la scuola è proprio questo, ovvero l’assunzione di responsabilità verso i giovani. Poi c’è la dimensione politica propriamente detta. Mi è sembrata decisamente ambigua la formulazione di eventuali sanzioni nei confronti della preside Savino del ministro Valditara proprio a causa delle parole da lei usate. Il ministro Valditara, tuttavia, uomo intelligente, poi spesso aggiusta le cose, e in seconda battuta afferma di non aver erogato sanzioni. Intanto, però, il segnale politico è stato lanciato. C’è un altro dato su cui riflettere, l’aumento del tasso di violenza nella società, che si rispecchia nell’educazione. Penso a dibattiti pubblici violenti, dove la volgarità diventa violenza e aggressione. C’è una pericolosa narrazione parallela fatta di super eroi, di gente perennemente in guerra dentro questo mondo e dentro altri mondi immaginati, futuribili, o alieni, e poi il diverso è sempre il nemico assoluto, colui che non è omologo a te in tutto e per tutto. Ho vissuto in anni in cui il conflitto, e che conflitto, c’era. Tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta il conflitto è stato poderoso, drammatico e impressionante, ma vi è stata anche la capacità di risposta dalla società politica.

L’ultima domanda. Molti tuoi lettori chiedono un suo parere sul destino della Chiesa di Francesco. Le tue risposte sono, da questo punto di vista, molto ottimiste. Secondo te il dopo Francesco potrebbe essere una sorta di Congresso di Vienna, la restaurazione?

Nella vita della Chiesa vi sono diversi cicli. Pensa solo al paradosso di Benedetto XVI, letto, compreso e stimato dai cosiddetti marxisti ratzingeriani, da Tronti a Fassina, e malamente assunto invece da alcune forze politiche come l’icona del pensiero della destra nichilista e totalitaria. Sarebbe interessante richiamare anche il dialogo di Benedetto XVI con Habermas su fede e scienza. Credo che la stagione che si è aperta ed è maturata con il Concilio Vaticano Secondo durerà a lungo ed è destinata a portare frutti a lungo, come ha detto papa Francesco. Certamente ci sono difficoltà in un mondo, o meglio nel nostro pezzo di mondo occidentale, disincantato, secolarizzato, per quelli che esprimono un pensiero religioso, sia pure aperto. L’importante è evitare che si riduca a bandierina d’occasione il dato di fede nella presenza pubblica di coloro che si richiamano a Cristo e al Vangelo. Questa è la preoccupazione più grande di Francesco. Tuttavia, ti dirò di più. Mi preoccupa moltissimo anche il destino riservato ai cosiddetti corpi intermedi, a ciò che germina nella e dalla società per la capacità di aggregazione e di senso, per l’iniziativa dell’associazionismo sindacale, sociale e religioso.  Penso ad esempio all’impronta personalistica di filosofi cristiani come Mounier, diventata terreno comune e lavoro comune non solo dei padri costituenti ma di alcuni importanti leader sindacali dei tempi nostri, con molti punti di contatto, di condivisione e di approfondimento. In ogni caso sono ottimista, nel senso che quando i processi storici sono stati avviati poi è difficile interromperli, come spiega papa Francesco. Possono anche fallire, ma la strada possibile è stata segnata. Mi sembra che la lotta sia tra il nuovo e la paura del nuovo, sofferta da coloro che sono legati a vecchi schemi e vecchie appartenenze, spesso messi in discussione, come accade in ogni associazione, anche politica e sindacale. Resta l’impianto di papa Francesco: curare le solitudini, lottare per la giustizia sociale, abbracciare la dimensione morale e spirituale delle persone, anche per confrontarsi con i fondamentalismi religiosi di marca cristiana, che tendono ad agire spesso in modo semplificato, rigido, urtante e bellico.

L'autore

Pino Salerno