Attualità

16 luglio 2021

La rivista Nature: la scienza, la pandemia e la scuola. Il covid sarà la patologia dei giovani?

Il numero 595 della rivista scientifica Nature dedica al rapporto tra indagine scientifica, pandemia e scuola due articoli di grande interesse. Il primo è firmato da Cassandra Willyard, che ha svolto un’accuratissima indagine, mentre il secondo è di Smiriti Mallaparty. Il titolo del primo articolo è COVID and schools: the evidence for reopening safely, mentre il secondo si occupa di una possibile tendenza del Covid, diventare una sorta di patologia generazionale, e ha per titolo Will COVID become a disease of the young? Entrambi esprimono tutte le perplessità e le preoccupazioni della comunità scientifica, soprattutto anglosassone.

La disparità di vedute tra scienziati è notevole, scrive Cassandra Willyard e cita un articolo comparso sul Washington Post nel quale quattro specialisti hanno sostenuto che “i ragazzi dovrebbero tornare alle loro vite normali nel prossimo anno scolastico, senza mascherine e al di là delle vaccinazioni ricevute”. Altri scienziati hanno invece un’opinione più cauta. Katelyn Jetelina, epidemiologa dello University of Texas Health Science Center, a Houston, ha giudicato non convincente l’articolo del Washington Post. “Non dicono tutta la verità” spiega, affermando che negli Stati Uniti la trasmissione del virus è ancora forte soprattutto tra i non vaccinati, e per lo più tra gli adolescenti non ancora vaccinati. Anche se, fa notare la studiosa, il numero dei casi è crollato ed è il più basso dal marzo 2020, il numero dei deceduti si è altrettanto ridotto e più dell’80% degli insegnanti risulta vaccinato. Già a maggio la città di New York, il distretto più popoloso del Paese, ha annunciato che le scuole riapriranno a tempo pieno in autunno. C’è dunque da essere ottimisti?

Secondo l’epidemiologa del Texas no. C’è ancora spazio per un dibattito tra scienziati, afferma. E cita il caso controverso del Regno Unito dove nuove restrizioni sono state imposte per effetto della variante Delta e dove si è aperta una controversia sulle mascherine. Quando sono state aperte le scuole nel Regno Unito a marzo, solo gli studenti delle secondarie avevano l’obbligo di indossarle, ma poi il ministero dell’Istruzione il 17 maggio ha imposto un sostanziale “liberi tutti” sulle mascherine “tenendo conto dei progressi realizzati”. Alcune scuole in cui i contagi erano cresciuti hanno reintrodotto l’uso delle mascherine. Negli Stati Uniti, l’uso delle mascherine varia da Stato a Stato e da distretto a distretto. Il CDC (Center for Diseas Control) ha cambiato l’atto di indirizzo sulle mascherine a maggio, ed ora sostiene che le persone vaccinate non hanno bisogno di indossarle. Sull’onda di questo annuncio, è crollato l’uso delle mascherine in tutto il Paese. E una manciata di Stati ha introdotto una legislazione che proibisce ai distretti locali di imporne l’obbligo. Inoltre, in Francia si è presentata una nuova ondata di covid-19 che ha colpito le scuole velocemente, ma gli studenti sono tornati in classe fin da maggio.

Tuttavia, a giugno 2021 si calcola che nel mondo 770 milioni di studenti non abbiano ancora la possibilità di tornare a scuola a tempo pieno e più di 150 milioni in 19 Paesi non hanno ancora avuto accesso alla scuola in presenza. Si tratta di frequenza ai corsi a distanza e, letteralmente, di non scuola. E anche quando le scuole riaprono, molti studenti non vi rientrano. L’Unesco ha calcolato che lo scorso anno 24 milioni di studenti hanno abbandonato la scuola a causa della pandemia. E poiché essa fornisce servizi essenziali oltre all’insegnamento, la scuola dovrebbe essere l’ultima a chiudere e la prima a riaprire, afferma Robert Jenkins, capo dell’Unicef a New York. C’è una crescente evidenza per cui le scuole si possono riaprire in sicurezza, ma come afferma la matematica Christina Pagel, dello University College di Londra, “la grande incognita è la nuova variante”.

La questione di fondo, in tutto il mondo, resta ancorata alle priorità delle vaccinazioni. Quando le scuole sono state riaperte a marzo e aprile, la vasta maggioranza degli insegnanti non era stata ancora vaccinata. Ciò ha reso difficilissima un’analisi dei costi e dei benefici. In realtà, afferma Jennifer Nuzzo, epidemiologa del Johns Hopkins Center for Health Security a Baltimora, “i rischi maggiori sono per gli adulti nel sistema scolastico, mentre i benefici di essere in aula sono per i ragazzi”. Perché? Perché ormai tutti i ricercatori concordano che la didattica a distanza ha allargato le disuguaglianze tra studenti bianchi e studenti di colore in tanti Paesi. E gli studenti di colore non sono gli unici ad essere stati dimenticati. Sono stati lasciati indietro anche gli studenti con disabilità e gli studenti con altri bisogni complessi.

A proposito di ricerche sul campo, l’autrice cita una ricerca sul covid-19, una delle più ampie, sulle scuole degli Stati Uniti. Sono stati esaminati i casi di oltre 90.000 tra docenti e studenti nel corso di 9 settimane. Dato il tasso di trasmissione nella comunità “ci si sarebbe attesi di vedere almeno 900 contagi nelle scuole”, dice Daniel Benjamin, pediatra del Duke Clinical Research Institute di Durham, e coautore della ricerca. Ma quando i ricercatori hanno impiegato il contact tracing per identificare il tasso di contagi, hanno identificato appena 32 contagi.  Quando però le misure di mitigazione non sono disposte, i tassi dei contagi risultano essere molto più alti. In Israele, le scuole hanno riaperto a metà maggio del 2020. Nel giro di due settimane una vasta epidemia si verificò in una scuola secondaria. Furono testati più di 1200 contatti delle due persone inizialmente contagiate. E furono identificati 153 studenti infettati e 25 infettati tra il personale scolastico, con un tasso del 13,2% e del 16,65 rispettivamente. Al di là di questi casi specifici, la costante della letteratura sulla trasmissione del virus nelle scuole suggerisce che i ragazzi non sono agenti di diffusione virale. Ricerche in Germania, Francia, Irlanda, Australia, Singapore, Stati Uniti confermano tassi dei contagi molto bassi o assenti negli ambienti scolastici. Tuttavia, tutto ciò non equivale a dire che non vi sano più rischi.

Tanti ragazzi sono morti per l’epidemia. Una ricerca specifica sulle conseguenze mortali tra gli studenti ha rilevato che in 7 Paesi almeno 231 bambini sono morti di covid tra marzo 2020 e febbraio 2021. E negli Stati Uniti il numero è cresciuto fino a 471 bambini morti per covid. Che fare dunque? Una risposta possibile arriva dalle conclusioni del secondo articolo di Nature, ovvero il timore che il covid-19 possa diventare una patologia generazionale. E “non appena il numero dei contagi aumenterà esponenzialmente tra i giovani, la necessità della vaccinazione degli adolescenti diventerà sempre più impellente”, afferma Nick Bundle, epidemiologo dello ECD (European Centre for Disease Prevention and Control) di Stoccolma. Il punto è che occorre considerare il contesto globale. Il covid-19 potrebbe così diventare una patologia dei giovani, afferma il dottor Bundle.

L'autore

Pino Salerno