Cultura

29 marzo 2022

Cinema. Premio Oscar al film Coda, una straordinaria lezione educativa per tutti

Finalmente a Hollywood hanno fatto le cose per bene.

Il premio Oscar 2022 per il miglior film è stato attribuito a Coda, acronimo che sta per Children of Deaf Adults, figli di adulti sordomuti, che ha vinto altri due premi pesanti, con la migliore sceneggiatura non originale e il miglior attore non protagonista per lo strepitoso Troy Kutsor, primo attore sordomuto con l’Oscar. Il film aveva già vinto il premio della Giuria al Sundance.

Racconti così intensi, straordinariamente raffinati, con una struttura narrativa perfetta, attori che si muovono sulla scena con perfezione, anche mimetica, in una performance difficilissima non si vedevano da tempo, forse dal Gladiatore di Ridley Scott. Insomma, Coda è un film che tutti - pedagogisti, filosofi dell’educazione, docenti e studenti - dovremmo vedere e rivedere, perché è una incredibile lezione educativa. Va detto subito che Coda ha battuto la concorrenza spietata dei blockbuster hollywoodiani, da Dune a Belfast a West side story, e alla vigilia veniva dato vincente con il 15% delle possibilità. E forse un po’ ha sorpreso la sua vittoria. Ma andiamo con ordine.

Regista e sceneggiatrice del film è quella Sian Heder già nota per film politicamente impegnati e scorretti come Orange is new black, Mother e Little America, coadiuvata in questa impresa da due talenti della sceneggiatura, Victoria Bedos ed Eric Lartigau, autori del prequel francese La famiglia Belier, che però non aveva lo stesso peso drammaturgico, e neppure lo stesso coraggio narrativo. La trama è apparentemente semplice.

Ruby Rossi (interpretata da Emilia Jones) è la adolescente Coda, figlia “normale” di genitori sordomuti e con un fratello sordomuto. Si sveglia tutte le mattine all’alba per aiutare padre e fratello pescatori a uscire con la barca, prima di andare a scuola. La vediamo mentre parla con la Guardia costiera alla radio, e soprattutto l’ascoltiamo cantare (ovviamente mentre i due uomini pescano ignari della sua voce). Sulla riva è lei che tratta per la vendita del pescato al grossista, poiché traduce dall’alfabeto dei sordomuti le richieste di padre e fratello. Ma quando il prezzo del pesce scende e quell’occupazione si fa davvero pericolosa, è lei che traduce in una riunione di pescatori la volontà di padre e fratello (e madre) di mettersi in proprio fondando una cooperativa, nonostante le enormi di difficoltà di comunicazione. Ma c’è Ruby a tradurre, e finché c’è lei gli affari vanno bene. Poi però accade qualcosa di imprevisto.

Ed è qui che il film diventa una narrazione educativa.

Se in famiglia le cose per Ruby vanno esattamente con gli alti e i bassi e i conflitti, prevedibili nella vita di ogni adolescente, con qualche imbarazzo in più, è al liceo che Ruby sente il peso della diversità, e la vive come un limite alle amicizie, agli amori, agli apprendimenti (le capita spesso di dormire a lezione, ovviamente). La diversità è la sua ferita fatale, perché il peso che porta sulle spalle è quello di essere indispensabile per i suoi cari, e senza di lei nessuna solidità economica è possibile. Così Ruby è un’adolescente che studia e lavora e che suo malgrado è divenuta adulta troppo presto. Ma Ruby ha una passione, per la musica, che avverte come una sorta di liberazione. Ed ha un talento, sa cantare, anche se né padre né madre né fratello la sentiranno mai cantare. La prima volta che sentiamo nel film la voce di Ruby ci dice – attraverso la canzone – di essere sul precipizio di un cambiamento. Per Ruby la musica serve come fonte di serenità e di liberazione. Nella prima parte del film la vediamo impegnata nel coro scolastico. Ed è qui che appare, come straordinario mentore (personaggio tipico delle strutture narrative dall’epica di Omero all’epica di Hollywood), il professore di musica, Bernardo Villalobos che le impone un esercizio vocale di base – “mi, mi, mi, mi” – che in inglese può suonare anche come “io”. Jackie, la madre di Ruby, non comprende la ragione per la quale sua figlia voglia andare avanti nella musica. In una scena molto forte le chiede: “se fossi cieca vorresti dipingere?”, a testimoniare della difficoltà comunicativa nella relazione madre-figlia. In questo punto preciso emerge la filosofia della diversità nella famiglia di Ruby, che nel corso del film cambierà: se sei disabile vivi col timore che quel tuo problema è un peso per tutti, e l’adolescente figlia di adulti sordomuti non lo dimentica. Ne è vittima la stessa Ruby, sia a scuola quando molti suoi compagni fingono di non capire le sue “stranezze”, sia quando riesce finalmente ad amare un coetaneo dal quale però riceve profonde delusioni.

Coda è dunque un film su come la diversità e la percezione della diversità possa e debba cambiare, attraverso le relazioni emotive e affettive forti. Alcune di queste dinamiche sono rappresentate e raccontate nel film, non come didascalie ma come conflitti intersoggettivi. Il fratello di Ruby, Leo, ad esempio, cerca di rifiutare l’aiuto di sua sorella, dopo che lei ha rivelato la volontà di andarsene via di casa per seguire la sua vocazione di musicista. “Non siamo senza aiuto”, le dice trattenendo le lacrime. In quel momento emerge la contraddizione più grave: Leo cerca di spingere via Ruby verso il suo destino, pur sapendo che lei è l’unica persona udente che abbia imparato l’altra lingua, quella dei sordi, e che può fare da interprete. Per sempre.

Nella trama, la musica gioca un ruolo decisivo. La musica non è intrinsecamente antitetica alla sordità - musicisti sordi ce ne sono nella storia della musica. E tuttavia, il film tratta largamente la musica come un club esclusivo per soli udenti, almeno fino ad un certo punto. Il professore di musica Villalobos decide così di preparare un duetto, tra Ruby e il suo compagno di classe Miles, assai carico di emotività. La canzone prescelta è quella eseguita da Marvin Gaye e Tammi Terrell “You’re All I Need to Get By”. Ruby canta: “With my arms open wide / I threw away my pride / I’ll sacrifice for you / Dedicate my life for you”. Ovviamente Ruby canta avendo in mente la sua famiglia, così diversa. E ogni volta che il film si piega verso tornanti drammatici ecco che appare una nuova canzone (ed ecco perché anche la colonna sonora è memorabile). E ogni canzone segna un cambiamento, soprattutto grazie alla costanza del professor Villalobos, musicista che non improvvisa mai la lezione, né quella più disciplinare né quella umana. Ed è colui il quale comprende le difficoltà di Ruby a conciliare il lavoro per la famiglia e la passione per la musica e il canto. Egli vorrebbe maggiore disciplina, ma sa bene che per Ruby è pressoché impossibile. E nonostante le diverse trasgressioni orarie per una ragione o per l’altra, nonostante i riflessi emotivi per un amore perduto, nonostante le difficoltà personali, il professor Villalobos ha la sensibilità di starle accanto, anche quando si crede che tutto è perduto (Ruby va all’audizione dell’accademia senza lo spartito). Il film è anche questo: una lezione straordinaria di pedagogia, fatta di relazioni e di fiducia, di tolleranza e di tenacia. Fino all’apoteosi finale, quando tutti i protagonisti del film sono assieme nell’auditorium dell’accademia, udenti e non udenti (evito qui lo spoiler per chi non lo avesse ancora visto).

In fondo, questo film è un tentativo riuscito per parlare ai “normali”, agli udenti, a coloro che mollano troppo presto le loro passioni, bruciando il talento. È un film che parla ai bulli, a coloro che non solo da adolescenti non capiscono il valore e la dignità della diversità. È un film che invia un messaggio a chi si occupa di istruzione: il professor Villalobos non è il parto dell’immaginazione, è la metafora del senso della scuola vissuta come relazione e come inclusione, piuttosto che come isolamento ed esclusione. Parafrasando un celebre volume di una pedagogista, il film non è altro che un viaggio alla scoperta dell’alfabeto dell’inclusione.

L'autore

Pino Salerno