Cultura

27 gennaio 2022

Il Giorno della memoria. Il nostro tributo per il ricordo della Shoah

Il 27 gennaio del 1945 i soldati dell’Armata rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz. Liberarono circa 7000 sopravvissuti. Da quel momento il mondo conobbe l’orrore della Shoah, nata da una decisione dei vertici nazisti sulla cosiddetta “Soluzione finale” assunta il 20 gennaio del 1942 durante la Conferenza di Wannsee. Fu messo in piedi il piano per lo sterminio di tutti gli ebrei residenti nell’Europa occupata dai nazisti e dai fascisti, attraverso fucilazioni, l’uso di camere a gas e altri mezzi. Circa sei milioni di ebrei, tra uomini, donne e bambini, i due terzi di coloro che vivevano in Europa tra la prima e la seconda guerra mondiale, vennero uccisi. Auschwitz divenne così il simbolo della barbarie più grande che l’umanità potesse aver compiuto, al punto da portare, nel 1949, un filosofo come T.W. Adorno a scrivere “La critica della cultura si trova dinnanzi all’ultimo stadio di cultura e barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la stessa consapevolezza del perché è divenuto impossibile scrivere oggi poesie”. Qualche tempo dopo, sollecitato dalla vivace critica di Paul Celan – straordinario poeta sopravvissuto alla Shoah – lo stesso Adorno venne costretto a rivedere la sua tesi sull’arte e la poesia dopo Auschwitz nel volume Dialettica negativa: “il dire che dopo Auschwitz non si possono più scrivere poesie non ha validità assoluta, è però certo che dopo Auschwitz, poiché esso è stato e resta possibile per un tempo imprevedibile, non ci si può più immaginare un’arte serena”.

Solo nel novembre del 2005 l’Assemblea generale dell’Onu decise di dedicare in tutti i Paesi del mondo il 27 gennaio al ricordo della Shoah. Tuttavia, dal 1953 esiste lo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah. Ha il compito di documentare e tramandare la storia del popolo ebraico durante la Shoah, preservando la memoria di ognuna delle sei milioni di vittime per mezzo dei suoi archivi, della biblioteca, della Scuola e dei musei. Ha inoltre il compito di ricordare i Giusti fra le Nazioni, che rischiarono le loro vite per aiutare gli ebrei durante la Shoah.

E proprio dal sito dello Yad Vashem abbiamo voluto prendere “in prestito” alcune poesie, che possono valere come ricordo indelebile nelle nostre vite, nelle nostre coscienze di abitanti del mondo nel XXI secolo.

Shema / Primo Levi, Copyrights "Se questo è un uomo", Torino, Einaudi, 2005

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case

Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo,

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi:

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi, poeta e scrittore ebreo Italiano, nasce a Torino nel 1919 e studia Chimica Industriale; nel 1943, mentre è partigiano, viene arrestato e deportato ad Auschwitz, dove sopravvive grazie alla sua “utilità” come chimico. Il suo testo più famoso è “Se questo è un uomo”, un classico della letteratura del '900, nel quale racconta la sua permanenza ad Auschwitz; altri suoi testi importanti: “I sommersi e i salvati” (1986), “La chiave a stella” (1978), “Il sistema periodico” (1978). Levi, segnato profondamente dall'esperienza della Shoah, si è suicidato nel 1987.

Per Ida. Non credo alla salvezza dei carnefici / Anna Segre

Non credo nella salvezza dei carnefici

bensì nella logica del campo.

Non ho trovato negli anni

motivazioni che mi placassero

né quello che ho perso

qualcuno può restituirmelo.

La rabbia è inane

il dolore mescolato

al caos della distruzione.

Smistare montagne di vestiti

oggetti cibo valige occhiali scarpe

per due anni

ti dà l'esatta entità dello sterminio.

Meglio per voi

che non capirete mai,

poiché quello che racconto

non è che l'ombra di quello che è stato.

Meglio per voi.

Non credo non credo non credo,

tanto meno alla salvezza di chi si è salvato.

Il mio tempo è fermo.

Mangio, però

E mi concentro sui trenta passaggi

per glassare le castagne.

Ida Marcheria è nata a Corfù, ha vissuto a Trieste ed è stata deportata ad Auschwitz, dove ha perso la madre, il padre ed il fratello, a 14 anni; dopo il ritorno ha abitato a Roma, dove ha lavorato a lungo in una pasticceria che esiste ancora. Il testo di Anna Segre dà il senso della difficoltà del ritorno, dell’impossibilità della salvezza e della fatica di raccontare qualcosa che non si potrà mai spiegare del tutto. Nella seconda parte il testo, come quello di Levi, si rivolge a noi: in “Shema” noi veniamo richiamati al dovere di ricordare, in questo si ribadisce che non potremo mai capire completamente quello che i sopravvissuti ci testimoniano. Gli ultimi due versi, con grande efficacia retorica, suggeriscono il bisogno di concentrarsi su attività quotidiane (i trenta passaggi per glassare le castagne) per affrontare ogni giorno la vita.

Prima vennero / Martin Niemöller Copyrights Martin-Niemöller-Stiftung

Prima vennero per gli Ebrei,

e io non dissi nulla

perché non ero Ebreo.

Poi vennero per i Comunisti

io non dissi nulla

perché non ero Comunista.

Poi vennero per i Sindacalisti,

e io non dissi nulla

perché non ero Sindacalista.

Poi vennero a prendere me.

E non era rimasto più nessuno

che potesse dire qualcosa.

Martin Niemöller era un religioso e teologo Tedesco, nato in Germania nel 1892. All'inizio sostenne le politiche di Hitler poi si oppose ad esse. Fu arrestato e rinchiuso a Sachsenhausen e poi a Dachau da dove fu liberato dalle truppe alleate nel 1945. Ha continuato la sua carriera religiosa in Germania ed è diventato un noto pacifista.

La farfalla / Pavel Friedman Copyrights Jewish Museum Prague

L’ultima, proprio l’ultima,

di un giallo così intenso, così

assolutamente giallo,

come una lacrima di sole quando cade

sopra una roccia bianca

così gialla, così gialla!

l’ultima,

volava in alto leggera,

aleggiava sicura

per baciare il suo ultimo mondo.

Tra qualche giorno

sarà già la mia settima settimana

di ghetto:

i miei mi hanno ritrovato qui

e qui mi chiamano i fiori di ruta

e il bianco candeliere di castagno

nel cortile.

Ma qui non ho rivisto nessuna farfalla.

Quella dell’altra volta fu l’ultima:

le farfalle non vivono nel ghetto.

Pavel Friedman era un giovane poeta che viveva nel ghetto di Theriesenstadt; di lui si sa poco ma si presume avesse circa 17 anni quando scrisse questo testo; fu deportato ad Auschwitz dove morì il 29 Settembre del 1944.

Salmo / Paul Celan Copyrights Arnoldo Mondadori Editore

Nessuno ci impasta di nuovo da terra e fango,

nessuno rianima la nostra polvere.

Nessuno.

Che tu sia lodato, Nessuno.

Per amore tuo vogliamo

fiorire.

Incontro a

te.

Un Nulla

fummo, siamo, resteremo

noi, in fiore:

la rosa di Nulla, di

Nessuno.

Con

il pistillo chiaro-anima,

lo stame deserto-cielo,

la corolla rossa

per la parola porpora, che cantammo

al di sopra, oh al di sopra

della spina.

Paul Celan nasce a Czernowitz, in Bucovina, nel 1920; nel 1942 vede i genitori deportati ad Auschwitz, lui sopravvive alla Shoah ma non supera mai il trauma e si suicida nel 1970. Il suo lavoro, acclamato nel mondo, è potente, originale, spesso ambiguo e profondamente tragico.

L'autore

Pino Salerno