Cultura

09 febbraio 2022

Il Giorno del Ricordo e il punto di vista dello storico: una chiacchierata con Eric Gobetti

Nel panorama della storiografia dell’area balcanica, Eric Gobetti ricopre un ruolo sicuramente di primo piano: lo scorso anno ha pubblicato un libro per la Laterza, Collana Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti, dal titolo "E allora le foibe?" che parte ha come obiettivo quello di fare chiarezza proprio su un luogo comune, comodo da far diventare propaganda.

Qui la recensione del libro

La lettura dei documenti, non solo dell’epoca, ma anche contemporanea (sono presenti anche delibere recentissime della Giunta della Regione del Friuli Venezia-Giulia), restituisce ai fatti incriminati una dimensione storica più chiara: può magari non piacere, ma non può essere stravolta.

Qual è la vera storia delle Foibe, dei partigiani comunisti “titini” (jugoslavi) e la teoria del “negazionismo” delle Foibe?

Le “foibe” sono due momenti distinti di violenza contro persone inermi. Il primo avviene nel 1943, dopo l'8 settembre, nella parte interna dell'Istria. In questo caso c'è un vuoto di potere dovuto alla scomparsa improvvisa dello Stato e dell'esercito italiano, che le bande partigiane jugoslave cercano di colmare. Partigiani e popolazione approfittano del momento per vendicare i torti subiti in precedenza: 20 anni di oppressione fascista contro le popolazioni slave, con il tentativo di cancellazione culturale della componente slovena e croata, e 2 anni e mezzo di occupazione militare, con veri e propri crimini di guerra commessi anche in questo territorio. Le vittime non sono dunque “gli italiani in quanto tali”, ma coloro che sono ritenuti responsabili delle violenze precedenti, ovvero in sostanza i funzionari pubblici dello Stato fascista (che nei paesi significa poi presidi, impiegati comunali o delle poste…) e l'élite economica e sociale (grandi proprietari terrieri, dirigenti d'azienda...). Sono circa 400-500 persone, quasi tutti uomini adulti di nazionalità italiana, perché questi detenevano il potere. La seconda fase di violenza è parte della colossale resa dei conti che avviene nel 1945, a fine guerra, in tutta Europa. Qui le vittime (circa 3.500-4.000, provenienti da tutta l'area di confine) sono soprattutto militari e funzionari fascisti che avevano collaborato con i nazisti fino alla fine. In questo caso, come succede anche altrove, una parte viene giudicata sommariamente e giustiziata, un'altra viene invece detenuta nei campi di prigionia, dove molti muoiono di stenti ed epidemie. Sia la giustizia sommaria che i campi di prigionia sono fenomeni comuni a tutta l'Europa, e anche al resto d'Italia. L'unica peculiarità è data dal fatto che fra le vittime ci sono anche alcune decine di possibili oppositori del nuovo regime che si sta costituendo (jugoslavo, ma anche comunista) italiani, sloveni e croati. Questi vengono colpiti per ragioni politiche, non nazionali, ma neanche di giustizia sommaria.

“Negazionismo” significa negare una realtà fattuale appurata dagli esperti. È un termine dispregiativo nato in relazione a chi nega l'evidenza storica della Shoah. Rispetto alle foibe, il termine viene usato in senso capovolto: gli storici accusati di negazionismo sono proprio quegli esperti che hanno ricostruito gli eventi sulla base di fonti attendibili e verificabili, mentre chi li accusa nega il contesto i cui sono avvenuti, ignorando la società multinazionale di quei territori, le violenze fasciste, le repressioni dell'esercito italiano, le stragi nazisti, e concentrando l'attenzione solo su alcuni episodi di violenza spesso narrati sulla base di testimonianze di seconda o terza mano assolutamente inaccettabili per gli storici (ad esempio le modalità dell'uccisione della giovane Norma Cossetto). In sostanza chi muove accuse di negazionismo (di solito si tratta di politici senza alcuna preparazione storica e che si ispirano al modello politico fascista) verso gli storici è esso stesso negazionista.

E qual è la vera storia del “Giorno del Ricordo”, la giornata per ricordare i morti delle Foibe? Un semplice bilanciamento politico per rispondere alla “congiura del silenzio”?

In parte questa giornata memoriale vorrebbe risponde alla giusta richiesta di considerazione da parte delle vittime dell'esodo, che sono stati circa 300.000, tra italiani, sloveni e croati. Ma di fatto si è trattato di un accordo politico fra gli eredi del modello ideologico comunista e di quello fascista. Solo che in sostanza la giornata impone di condannare violenze avvenute in nome del comunismo (specie nel 1945), ignorando però le responsabilità del fascismo, che ha innescato la violenza molti anni prima e ha scatenato la guerra mondiale in questi territori. La sconfitta dell'esercito fascista ha poi portato le violenze partigiane, ma anche quelle naziste, su questo territorio. Eppure nelle commemorazioni i riferimenti al fascismo sono minimi e addirittura molti fascisti conclamati, appartenenti alle formazioni della RSI di Mussolini, hanno ottenuto onorificenze da parte dello Stato (previste dalla legge istitutiva della Giornata).

Più che riequilibrare il silenzio precedente (che ancora permane per altri eventi dell'epoca, ad esempio i 600.000 Internati Militari Italiani, il doppio degli esuli; o i 10.000 caduti italiani nella resistenza jugoslava, il doppio delle vittime delle foibe!), questa giornata è diventata un contraltare del giorno della Liberazione. Il 25 aprile celebriamo i partigiani che hanno liberato l'Italia; il 10 febbraio condanniamo invece la resistenza e celebriamo le vittime fasciste, o comunque morte in nome del fascismo. Se celebrassimo tutte le vittime delle violenze sul confine orientale, italiani e slavi, uccisi da tutti i contendenti (fascisti, nazisti e partigiani) allora sì che sarebbe una giornata di pacificazione e di condanna della guerra, ma celebrando solo una piccola parte delle vittime e condannando solo uno dei contendenti (peraltro l'ultimo in ordine di tempo ad agire violenza) stiamo facendo una scelta politica molto precisa.

È giusto fare una classifica delle sciagure umane?

No, non credo. Dal punto di vista delle vittime, non fa una grande differenza la motivazione per cui si viene ingiustamente uccisi. Ma da un punto di vista storico e politico è invece fondamentale capire i numeri di una tragedia e distinguere le motivazioni. Quando insisto sul fatto che il dramma delle foibe non può essere definito né una pulizia etnica né un genocidio, non lo faccio per sminuire l'evento, ma per spiegarlo meglio, renderlo comprensibile e fare in modo che ci possa insegnare qualcosa, che celebrarlo ci possa essere utile per impedire che si ripetano eventi simili.

Di solito un genocidio comporta numeri di vittime molti più alti (non poche migliaia su centinaia di migliaia come in questo caso) e, come la pulizia etnica, colpisce sulla base della semplice appartenenza nazionale: quindi le vittime sono un popolo intero, donne, vecchi e bambini inclusi. In questo caso invece sono soprattutto uomini adulti, militari o funzionari fascisti. Le foibe sono state una vendetta per le violenze subite nei vent'anni precedenti (nel 1943) e la conseguenza di una guerra disastrosa (totale, globale e civile al tempo stesso, ovvero che ha colpito anche civili in tutto il mondo sulla base di uno scontro ideologico globale fra fascismi e antifascismi) scatenata e persa dai nazisti e dai fascisti (nel 1945). Le violenze non colpiscono gli italiani, ma i funzionari o l'élite fascista (nel 1943) e i collaborazionisti fascisti e in piccola parte anche i possibili oppositori politici di tutte le nazionalità (nel 1945). Nessun intento di sterminare un intero popolo in quanto tale (genocidio) né di massacrarne una parte per spingere il resto ad andarsene (pulizia etnica), perché da qui la gente va via, pacificamente, soprattutto a partire dal 1947, ovvero quando si definisce il nuovo confine e l'Italia sconfitta perde questi territori.

Quanto è importante la verità storica?

In pratica, conoscendo meglio la storia, appare chiaro che il nazionalismo italiano e poi il fascismo hanno innescato la violenza su basi nazionali e razziste in un territorio misto di confine. Poi hanno invaso un altro territorio limitrofo, trascinandolo nella seconda guerra mondiale, massacrando e distruggendo per due anni e mezzo (1941-1943), e poi ancora di più al fianco dei nazisti (1943-1945). Infine hanno perso la guerra. Alcuni, ritenuti responsabili delle violenze precedenti, sono stati uccisi: soprattutto funzionari e militari fascisti. In seguito le popolazioni lì residenti hanno in qualche misura pagato il peso di colpe non loro, lasciando quei territori misti che sono stati annessi alla Jugoslavia vincitrice. 

Chiarendo dunque i meccanismi e le motivazioni delle violenze, noi capiamo chi sono le vittime e perché sono state uccise. Se decidiamo di celebrarle lo facciamo sulla base di questa consapevolezza. Dunque ora sappiamo che noi stiamo celebrando solo una parte delle vittime di quelle violenze, non tutte, e che queste non sono state uccise perché italiane, ma perché ritenute fasciste. Questo non toglie nulla alla loro morte, ma ci pone la domanda: perché lo facciamo? Ci identifichiamo in quel modello politico, celebrandone le vittime, definendole addirittura “martiri”? Certamente vogliamo condannare l'ideologia politica di chi li ha uccisi ( i partigiani comunisti), ma perché invece scegliamo consapevolmente di non condannare gli altri due modelli politici che hanno peraltro cominciato le violenze e hanno ucciso molte più persone in quegli stessi territori, ovvero fascismo e nazismo? Ci sentiamo solidali con queste ideologie, ne condividiamo i valori?

Ecco di fatto questo stiamo celebrando, se conosciamo la realtà dei fatti, e mi pare molto grave, perché in contraddizione con i valori fondanti della nostra democrazia e della nostra Repubblica.

Cosa sono oggi le Foibe e cosa hanno lasciato nel popolo giuliano?

Quelle violenze sono avvenute nel contesto della guerra mondiale e nell'immediato dopoguerra, in un'epoca di uccisioni di massa, di sofferenze immense. La loro peculiarità è nell'uso politico che ne viene fatto. Diverso è invece il dramma degli esuli, che rappresentano un evento storico molto più significativo, che si sono portati dietro un bagaglio di sofferenza e rancore difficile da sopportare. Anche la loro storia continua ad essere strumentalizzata, ma verso di essa devono rivolgersi le istituzioni dello Stato, per riconoscerne il valore, dargli un senso e offrire così un “risarcimento” almeno simbolico. Gli esuli hanno pagato più degli altri italiani le conseguenze della guerra, dovendo lasciare le terre che l'Italia ha perso a causa della sconfitta di un sistema politico, quello fascista, che va condannato per questo. Dobbiamo capire e aiutare gli esuli a comprendere i veri responsabili delle loro sofferenze, per aiutare anche noi, oggi, ad evitare che nuove oppressioni, nuove discriminazioni, nuove violenze inneschino un meccanismo che prima o poi ci si potrebbe ritorcere contro.
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Eric Gobetti (Torino, 1973) è uno studioso di Fascismo, Seconda guerra mondiale, Resistenza e Jugoslavia nel Novecento. Si è laureato in Storia dell'Europa Orientale e ha conseguito due PhD, presso l'Università di Torino e presso la Scuola di Studi Storici di San Marino. Ha pubblicato, tra gli altri, il diario-reportage Nema problema! Jugoslavie, 10 anni di viaggi e numerose monografie, tra cui: Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (Laterza, 2013). Esperto in divulgazione storica e politiche della memoria, è uno storico free-lance e organizza viaggi di turismo storico nei paesi della ex Jugoslavia. Ha anche realizzato due documentari: Partizani. La Resistenza italiana in Montenegro e Sarajevo Rewind 2014>1914 (con Simone Malavolti). Il suo ultimo libro si intitola: E allora le foibe? (Laterza, 2021).