Cultura

17 ottobre 2022

Wolfgang Streeck. La protezione diseguale dei ricchi contro i poveri. L’istruzione e la scienza come beni comuni da proteggere contro il potere

Wolfgang Streeck è tra i sociologi più affermati della tradizione che proviene dalla Scuola di Francoforte. La sua analisi del capitalismo contemporaneo e della sua probabile fine, in virtù di cinque tendenze ormai in atto che ne segnano il declino, resta una pietra miliare nel dibattito intellettuale e filosofico a sinistra. Lo abbiamo incontrato a Modena, nel corso del FestivalFilosofia. Ecco cosa ci ha detto, partendo dalla ricostruzione della cosiddetta industria della protezione dei ricchi.

Professor Streeck, la sua ricerca sul declino del capitalismo si arricchisce sempre di nuovo di analisi e di riflessioni assai utili nel dibattito pubblico, soprattutto a sinistra. Lei ha introdotto il tema della ricchezza e delle disuguaglianze vecchie e nuove. E oggi queste ultime vengono approfondite con il sistema della protezione sociale.

La protezione sociale è un’invenzione dello Stato moderno. E se guardiamo da vicino il fenomeno, ci rendiamo conto che la protezione non è per i poveri ma per i ricchi. Quando parliamo di disuguaglianza, di solito parliamo di reddito ma forse è preferibile o addirittura più importante considerare la disuguaglianza di ricchezza. E la maggior parte della ricchezza non deriva da un reddito ma viene ereditata. Se vogliamo capire com’è fatta la nostra società basta guardare alla distribuzione della ricchezza. Essa è distribuita in modo iniquo perché nella gran parte viene ereditata e non è frutto di un lavoro. Per capire la struttura sociale diseguale, faccio distinzione tra due categorie di persone: i poveri che lavorano e i ricchi che non lavorano. I poveri non possono vivere senza lavorare o senza esser pronti a lavorare, non possono scegliere di non lavorare perché per loro il lavoro è obbligatorio. Invece, per i veri ricchi il reddito deriva dalla stessa ricchezza, e possono vivere anche senza lavorare, e possono decidere di lavorare, ma si tratta di una scelta, non di un obbligo sociale. È una vita diversa dalla maggior parte di noi, che non abbiamo altra scelta. Dobbiamo trovare qualcuno che ci paga per quel che facciamo.

Possiamo dunque approfondire il tema della disuguaglianza sociale come portato storico della distribuzione diseguale della ricchezza?

Ora, cerchiamo di capire la struttura delle disuguaglianze nella nostra società. Più si diventa ricchi e maggiore è la porzione di reddito che deriva dalla ricchezza. Se ci si trova nella classe sociale più elevata, si scopre che oltre il 90% deriva da investimenti, magari, ma non dal lavoro. Nella maggior parte delle nostre società il 10 per cento possiede circa il 70 per cento della ricchezza. Se però guardiamo all’1 per cento, esso detiene il 32 per cento della ricchezza. La struttura sociale che deriva da questa distribuzione diseguale della ricchezza ci mostra che la ricchezza è affare di famiglie. Molti dei ricchi che non lavorano provengono da famiglie che sono state ricche per generazioni e generazioni e hanno utilizzato i matrimoni tra simili. Inoltre, i genitori ricchi si preoccupano che i loro figli socializzino coi figli di altre famiglie ricche, soprattutto quando scelgono la scuola o l’università, dove i loro rampolli possono incontrare partner attraenti di cui innamorarsi. Nelle università americane e nei college britannici queste istituzioni portano alla crescita globale dei più ricchi, poiché i figli diventano amici di altri ricchi. È importante dire che conosciamo poco della vita dei ricchissimi, poiché svolgono un’esistenza separata. Ed è in questo contesto che si genera il fenomeno della protezione sociale della ricchezza.

La vita dei facoltosi, dei ricchi che non lavorano, non è priva di preoccupazioni. Se si è davvero ricchi, ci si trova nella condizione di richiedere una protezione illimitata, nel tempo e nello spazio. I ricchi sembrano avere una costante paura che i loro figli o i loro famigliari vengano sequestrati, per il riscatto. Inoltre, i ricchi assumono guardie del corpo, di solito ex agenti di polizia, che lavorano per istituti privati. E temono separazioni e divorzi perché potrebbero intaccare la solidità della loro ricchezza. Per questa ragione essi assumono manager che sanno come distribuire queste ricchezze, come nasconderle in fondi segreti dislocati in tutto il mondo. Le ricchezze vengono così depositate in luoghi segreti e inaccessibili. Qualsiasi cosa facciano, le persone ricche sono costrette a farlo con prudenza e con attenzione, e spesso si basano su disposizioni dettagliate contro un mondo che considerano ostile e potenzialmente rapace nei loro confronti. D’altra parte, però, i ricchi che non lavorano, a differenza dei lavoratori poveri, non hanno mai la possibilità di spostarsi da soli. Ed è questo uno degli aspetti della disuguaglianza economica, perché quando devono amministrare i propri affari, i ricchi, i facoltosi, possono contare su assistenti che conoscono le loro esigenze e quindi sono disposti ad aiutarli a sopravvivere in un mondo pieno di rischi, reali ma spesso immaginari.

Questo “necessario isolamento” ci conduce alla creazione di istituti scolastici separati…

Nelle scuole migliori i figli dei ricchi possono incontrare persone che possono farli sentire in colpa proprio per il fatto di essere ricchi, facendo nascere in loro il desiderio di abbandonare la loro classe sociale di appartenenza, e se questo accade ci sono miriadi di psicologi di professione che si offrono per parlare ai figli del senso di appartenenza alla loro classe sociale, dei doveri e delle responsabilità. E sono in grado di convincerli che l’accentramento della ricchezza è positiva per la produttività. Così viene loro insegnato a sostenere il fardello di una società di capitali, in modo che questa ricchezza non venga dilapidata con investimenti sbagliati. Ciò si basa su una società delle disuguaglianze. La maggior parte delle cose che noi facciamo da soli, viene eseguita da dipendenti selezionati attentamente, da società di sicurezza, da professionisti dell’immagine pubblica positiva, anche della vita privata, da amministratori in grado di nascondere il patrimonio e per garantire il flusso di rendite che consentono di guadagnare senza lavorare. Il fatto è che i rampolli delle famiglie ricche provengono dalle migliori università e potrebbero lavorare con molto profitto. Da qui nasce l’industria della difesa della ricchezza degli oligarchi, come li chiama Winters. Da qui emerge una deriva ideologica: il sistema politico e sociale che assicura la loro ricchezza deve essere difeso. E qualora i legislatori dovessero mettere in discussione la loro ricchezza, ecco che essi mobilitano, come una lobby feroce ma coesa, tutti coloro che possano difendere i privilegi acquisiti. Ed è così che si introduce nell’opinione pubblica, e viene insegnato nelle loro scuole, il concetto che una dose di ricchezza nelle mani di pochissimi è utile per tutti.  Ma così essi fanno in modo che il governo di un Paese faccia parte della loro industria di protezione.

Cosa succede se quella ricchezza non fosse più al sicuro per effetto di una decisione politica o di una legge?

Nel 2017, quando Trump si insediò alla Casa Bianca, la prestigiosa rivista The New Yorker pubblicò un articolo dal titolo “Preparativi per il giorno del giudizio per i super ricchi”. L’articolo sosteneva che alcune delle persone più ricche d’America si stavano preparando per il crollo della civiltà, per una catastrofe incombente che minacciava non solo i patrimoni ma le loro stesse vite. L’ascesa di Trump venne assunta dai super ricchi come la sovrabbondanza del potere nelle mani dei sottoproletari bianchi. Cinque anni dopo, alla luce di quanto accaduto, compreso l’attacco del 6 gennaio a Capitol Hill, si può presumere che il tema della sopravvivenza tra i super ricchi americani continui a prosperare e con esso anche l’industria che soddisfa i bisogni di queste persone.  

Come fare a sopravvivere quando si è nella parte più bassa della scala sociale?

Se la vita dei super ricchi è paradossalmente diventata precaria, quella dei lavoratori poveri lo è sempre stata. Per i lavoratori poveri la precarietà è una condizione esistenziale che risulta innanzitutto dal fatto di non avere ricchezza, di non avere un patrimonio. Un numero crescente di persone nelle economie capitaliste, nelle democrazie occidentali, non ha alcun risparmio di sorta per far fronte all’improvviso declino del loro potere d'acquisto, se consideriamo l'aumento del costo della vita e dell'inflazione. Parecchi lavoratori poveri si trovano in difficoltà a ridosso del giorno della paga perfino per acquistare cibo per le loro famiglie. Negli Stati Uniti, ma anche in Europa, ci sono persone il cui normale salario non è sufficiente a sfamare la famiglia fino alla fine del mese. E cosa fanno? Usano carte di credito, accumulando debiti, in quote sempre crescenti. Negli Usa ci sono famiglie con dieci o quindici carte di credito utilizzate a questo scopo. Ma ci sono famiglie che fanno ricorso a società usuraie. E in quest’ultima situazione sono sempre più le persone in difficoltà. Nel modello Welfare State assicurare i lavoratori contro la distruzione del capitalismo è considerata un’azione delle politiche pubbliche incaricate di salvaguardare l’ordine pubblico. E a tal proposito, c’è un nuovo problema, costituito dall’aumento del costo della vita con un’inflazione non determinata dai sindacati ma dalla carenza degli approvvigionamenti delle materie prime. Questo tipo di assistenza ad hoc è aumentato di recente, non solo negli Usa ma anche in Europa. Riflettiamo sul fatto che il numero di famiglie senza risparmi è cresciuto nel ceto medio-basso, ad esempio tra i nuclei con madri single che non hanno tempo sufficiente per fare un secondo o un triplo lavoro. In genere, gli Stati coprono le spese aggiuntive per mantenere i poveri al lavoro, sottoscrivendo debiti che si aggiungono al già elevato debito pubblico.

Proteggere i lavoratori dalla fame si aggiunge ai costi del capitalismo, che non è solo infrastrutture adeguate?

Ci sono costi necessari che servono ai capitalisti per mantenere la pace sociale. Più pace sociale è necessaria e più alti sono i costi sociali. Creare le condizioni ottimali per il profitto capitalistico, considerato come obiettivo primario per ogni governo, provoca la crisi fiscale dello Stato, ovvero, il divario crescente tra la spesa pubblica necessaria per il profitto del capitalismo e l’entrata pubblica prevista per questo, tra ciò che il capitalismo pretende dal governo e ciò che è disposto a versare nelle casse pubbliche come contropartita. Beh, questo divario sta crescendo, ecco perché la gran parte degli Stati accumula livelli crescenti di debito pubblico. Il debito pubblico nei Paesi Ocse è aumentato a livelli mai toccati in passato. Pagare per mantenere la pace sociale. Per tagliare deficit e debito gli Stati possono operare tagli al bilancio, o possono praticare l’austerità, tagliare la spesa sociale ritenuta sacrificabile. Ciò che è spesa pubblica essenziale o inessenziale non viene definito apriori. Se ad esempio c’è un rischio serio di rivolta tra i lavoratori poveri, mantenerli a galla e offrire loro la speranza di un futuro migliore è una politica pubblica legittima agli occhi dei capitalisti che non lavorano. I ricchi che non lavorano traggono vantaggio dalla pacificazione finanziata con il debito pubblico in due modi: i lavoratori poveri sono tenuti buoni e i ricchi possono considerare proposte allettanti per investire il loro capitale in eccesso. Il debito pubblico non è esattamente biasimevole agli occhi dei ricchi, specie se consente di fare profitti privati. E in questo modo la diseguaglianza sociale continua. E dato che gli Stati hanno bisogno di fare debito, i titoli acquisiti dai ricchi si trasformano in rendita finanziaria, così la parte sociale che lavora paga i profitti e le rendite dei ricchi che non lavorano.  Ed è perfino paradossale che si chieda ai lavoratori poveri di aumentare la produttività, ovviamente a tutto vantaggio del profitto finanziario. In questo modo si crea una classe feudale di alto rango, che è un’altra caratteristica della protezione delle disuguaglianze nel capitalismo contemporaneo. E dato che gli Stati continuano ad aver bisogno di fare debito, i cui oneri continuano a crescere, i crediti che i ricchi detengono crescono allo stesso modo. Il debito si accumula e una parte crescente del prodotto complessivo di una società deve trasformarsi in rendita per coloro che possono fare credito pubblico. Qualcuno deve pagare per questo. Chi? I lavoratori poveri. E gli investimenti che vanno a vantaggio dei lavoratori poveri, ad esempio la salute e l’istruzione pubblica sono destinati a rimanere fermi o addirittura a diminuire, a meno che non si faccia altro debito, rendendo ancora più acute le disuguaglianze nel lungo periodo.

Il debito pubblico può crescere indefinitamente?

Si tratta di ciò che alcuni chiamano le contraddizioni del capitalismo. I creditori che investono i propri capitali negli Stati corrono un rischio notevole, ovvero che gli Stati possano cancellare unilateralmente il debito. Gli investitori pertanto analizzano con cura i debiti pubblici degli Stati per vedere se il loro livello di debito potrebbe farli fallire. Ai primissimi segnali di un comportamento scorretto i creditori chiederanno interessi più alti, attraverso lo spread. Ma cosa abbiamo dimenticato nel corso di questo secolo? Non esiste solo proprietà privata che i ricchi tendono a salvaguardare, ma esistono beni comuni e pubblici che occorre conservare a beneficio dell’intera società. L’istruzione pubblica è uno di questi beni comuni e pubblici che evita ai ricchi di separarsi dai poveri, evitando che essi si costruiscano istituti solo per loro, in maniera esclusiva. La domanda giusta oggi non è se ci sarà o meno proprietà privata. La domanda è quanti beni comuni possono essere accessibili ad ogni cittadino sulla base dei diritti e non sulla base del denaro. I ricchi cercano di isolarsi e questo deve essere combattuto, andando proprio contro queste tendenze. Il sistema dell’istruzione non può concedere disuguaglianze. L’introduzione della school choice contraddice questo principio. Nello stesso modo la scienza in una democrazia è qualcosa che deve esser protetta attivamente e non può essere detenuta dal capitale delle aziende, e non deve esser solo tecnologia. Abbiamo perso la capacità di proteggere questi beni comuni e vediamo che coloro che detengono il potere possono fare quello che vogliono, mentre noi stiamo semplicemente a guardare che lo facciano.

L'autore

Pino Salerno