Politiche educative

07 marzo 2022

Maturità: quello che il Ministro Bianchi non ha visto

Cominciamo col ribadire un principio, se non altro mutuato dallo sport: le regole del gioco vanno stabilite prima della gara e non si cambiano in corsa.

Vero è che l’andamento pandemico non facilita certo il compito (anche perché, in Italia, la scuola non è considerata “sacra” come in Francia, dunque si chiude con relativa facilità). Tuttavia, si converrà, che occorre prepararsi all’esame di maturità a partire almeno da inizio anno, conoscendone struttura e modalità.

Così non è stato.

La ribellione studentesca alle ultime disposizioni ministeriali che ripristinano anche la seconda prova scritta non ha però una valenza di legittimità sostanziale che tocca la questione solo dal lato dell’impegno o delle obiezioni di merito, pur portatrici di una non trascurabile ragionevolezza. Solo un’attenzione un po’ di superficie può fermarsi a considerazioni, che anche in buona fede - è sicuramente il caso del Ministro - declinano verso un paradigma insormontabilmente paternalistico, con il quale vengono guardati i giovani in questo Paese (fin dal dopo ’68), che tanta parte ha avuto nell’allontanarli dal ruolo di protagonisti della vita pubblica.

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Pur salvaguardando suggerimenti rivolti da attenti osservatori ai protagonisti della protesta, invitati ad utilizzare altri punti di vista, la risposta governativa è stata quella di un “ritorno alla normalità”, così da sposarsi con l’esigenza ben più vasta di quel ritorno che, nella contingenza del periodo, tutti ci auguriamo.

Ma è proprio la normalità sempiterna e fatale della scuola che gli studenti contestano: la scontatezza di un esame di Stato logoro e privo davvero di quello che il sostantivo che lo accompagna indicherebbe; fatto di ritualità ormai troppo stanche, dove bene o male praticamente tutti sono promossi e dove chi lo fa con 60/60 o poco più, gli è stata data una mano ma insomma…

La verità, crediamo, è che la reintroduzione della seconda prova ha assunto i contorni dell’ennesimo detonatore del disagio cromosomico che la scuola e chi la frequenta patiscono; basta leggere alcune interviste di maturandi che chiedono di abbattere il divario tra licei e tecnico-professionali, di progettare ed organizzare l’alternanza scuola-lavoro con organici a parte (come in Germania del resto), di mettere mano una volta per tutte ad ambienti che strutturalmente non favoriscono quando non ostacolano l’attività di apprendimento. Cosa c’entra tutto questo con la seconda prova?

A Bianchi e al Governo si presentava l’occasione per una risposta vitale ed innovativa, che avrebbe fatto magari da volano per l’entusiasmo degli studenti e per provare a scuotere da qualche parte la povera scuola italiana.

Invece, torna la vecchia trama, laddove lo status quo è sempre un’opzione gradita.

L'autore

Sauro Partini

Docente di discipline giuridiche ed economiche all' Istituto Tecnico per il Turismo "Marco Polo" di Firenze