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30 novembre 2022

Quale futuro per l'Istat?

Lo scorso 8 luglio, mentre nelle sale del Parlamento il Presidente dell’Istat presentava il Rapporto Annuale sulla situazione del Paese, nell’aula magna dell’Istituto Nazionale di Statistica i lavoratori e le lavoratrici, riuniti in assemblea, presentavano il Rapporto Annuale 2022 sulla situazione dell’Istat: un documento scritto collettivamente nelle settimane precedenti, frutto delle numerose assemblee che da mesi si susseguono e della scrittura di rappresentanti sindacali eletti di diverse sigle sindacali.

Il Rapporto descrive una situazione di grave degrado su vari fronti. Numeri alla mano l’Istat è passato da 2.321 a 1.869 dipendenti dal 2014 al 2022. Un calo del 20% in soli otto anni, inarrestabile e a ritmi crescenti dal 2019, anno nel quale si è insediato l’attuale presidente, Gian Carlo Blangiardo, che ha nominato il direttore generale Michele Camisasca e da qualche mese anche un nuovo direttore del personale, Marco La Commare. Complice “quota 100”, l’Istat ha avuto un’emorragia di dipendenti e un invecchiamento della popolazione in questi ultimi anni a ritmi decisamente più vertiginosi di quelli del declino demografico dell’Italia che sembra essere l’unico interesse del presidente dell’Istat quando parla all’opinione pubblica. Ogni anno, dal 2019, vanno in pensione più o meno 100 dipendenti dell’Istat, e non vengono rimpiazzati.

L’Istituto Nazionale di Statistica non riesce a concludere i concorsi da ricercatore e tecnologo banditi 4 anni fa, nonostante avessero pochi candidati (erano destinati a figure professionali molto precise). Ha fatto partire un concorso per collaboratori tecnici solo pochi mesi fa, dopo anni caratterizzati da centinaia di pensionamenti non rimpiazzati. Continua a produrre piani di fabbisogno che si basano su previsioni evidentemente sbagliate, e investe sul reclutamento cifre ben lontane da quanto consentito dalle norme.

Parallelamente il presidente Blangiardo, fin dal suo insediamento, pur confermando la traballante “modernizzazione” del suo predecessore (che ha presto rivelato una serie di falle nel tentativo di centralizzare funzioni nel nome della razionalizzazione, in realtà spremendo fino a limiti insostenibili lavoratrici e lavoratori, sempre più impegnati in attività diverse seguite da sempre meno persone), ha utilizzato tutti gli spazi finanziari e normativi disponibili per allargare il numero di poltrone dirigenziali. La specialità della gestione Blangiardo è stata in particolare quella di nominare - soprattutto ai vertici dell’Istituto, nelle posizioni più importanti, quelle di capo dipartimento, ma non solo - quasi esclusivamente persone prossime al pensionamento, che si sono poi gentilmente prestate a restare gratis per un ulteriore periodo, seguendo l’esempio del Presidente. Ricordiamo infatti che Blangiardo, nominato a febbraio 2019, ha compiuto 70 anni alla fine dello stesso anno, quando è andato in pensione: da allora fa il presidente dell’Istat senza stipendio.

Oltre ai pensionandi e pensionati, l’Istat ha affidato la dirigenza in questi anni a nuovi innesti dall’esterno, soprattutto sul versante amministrativo. Nel rapporto sono elencati nomi e cognomi, date di nomina e di cessazione. Alla testa dell’Istat sono state messe persone che non saranno più nell’ente tra qualche anno: dirigenti con il futuro alle spalle.

La miscela costituita da scarso ricambio e governo in mano a pensionati ed esterni è stato l’innesco di un malcontento che è esploso in seguito alla notizia che l’Istat avrebbe preso parte alla società 3-I, che dovrebbe assumere le funzioni informatiche di Istat, Inps e Inail (da lì le 3 I).

Dopo avere ignorato gli allarmi, rinviato i concorsi, ma anche dopo avere elogiato pubblicamente la professionalità e qualità degli informatici dell’Istat, che durante la pandemia hanno consentito una continuità di livello eccezionale nella produzione dei dati, a metà aprile abbiamo scoperto che il direttore dell’informatica dell’Istat, proveniente da SOGEI, che in poco tempo ha moltiplicato appalti e consulenze senza preoccuparsi delle conseguenze, aveva promesso da molto tempo che l’Istat avrebbe dato il proprio contributo alla costituzione di una società privata a totale capitale pubblico che INPS e INAIL - insieme al ministero del lavoro - vorrebbero fosse la loro “software house”, al servizio del welfare e della previdenza. Cosa c’entri l’Istat non lo sanno spiegare né il direttore dell’informatica né il presidente dell’Istat, che infatti non hanno risposto per mesi alle richieste sindacali. Non sarebbe la prima volta che qualcuno confonde gli Istituti, ma forse invece è un inedito che a farlo siano i vertici dell’Istat stesso.

Il 20 giugno scorso ha scioperato contro questa gestione dell’Istituto Nazionale di Statistica la larga maggioranza del personale: oltre 800 lavoratrici e lavoratori hanno scioperato!

Come risposta indiretta al Rapporto Annuale prodotto da lavoratrici e lavoratori che è stato riassunto dalla stampa con “Più poltrone, meno personale”, nel pomeriggio di  venerdì 8 luglio è apparsa una delibera nella Intranet dell’Istat forse inconsapevolmente autoironica: nominava il responsabile per l’acquisto di un numero imprecisato di “sedie dirigenziali”, “per un importo stimato di euro 12.148,50 IVA esclusa”.

È tempo però che l’Istat più che le sedie in cui siedono cambi le persone che le occupano: alla fine del Rapporto presentato l’8 luglio si chiedevano le dimissioni dei principali responsabili della mala gestione attuale.

Da luglio ad oggi il progetto 3-I è pubblicamente andato in pausa, anche se i ministri in scadenza hanno lavorato nell’ombra, ratificando le nomine dei consiglieri di amministrazione e producendo un ulteriore cambiamento alla norma sul capitale sociale, consentendo incrementi attraverso conferimenti di beni “in natura” da parte dei tre enti.

Solo nelle ultime settimane sono state scoperte alcune nuove carte, che hanno reso ancora più inquietante il progetto. L’Istat a fine settembre ha autorizzato la cessione di tutto il suo patrimonio informatico alla 3-I, e secondo quanto riportato dall’INAIL ai sindacati, è stato ipotizzato anche il conferimento della storica palazzina di via Depretis 74/B. Il tutto per controbilanciare il capitale sociale dell’INPS, che si avvicinerebbe al limite dei 2/3 delle quote.

Cedere tutto il patrimonio informatico, comprendendo non solo server, PC, stampanti, ma anche il software acquistato o prodotto dall’Istat per raccogliere, mantenere, validare e diffondere i dati al Paese, rappresenta un enorme cambio di paradigma per l’Istituto. E lavoratrici e lavoratori vedono, combinando il calo di personale e l’operazione 3-I, un possibile esito nefasto: la riduzione dell’Istat al ruolo di “certificatore” di dati prodotti da altri, un ente rimpicciolito e snaturato rispetto alla sua mission storica, non più in grado di garantire autonomia e indipendenza dal governo di turno. Si tratta di un programma che nei decenni passati è più volte stato ipotizzato, per fortuna ogni volta bloccato anche grazie alla forza dei lavoratori e delle lavoratrici dell’Ente. Questa volta, senza esplicitarlo, potrebbe accadere che ci si arrivi comunque.

Per fermare questo declino è ripartita quindi nelle scorse settimane la mobilitazione, con assemblee, azioni sindacali all’interno dell’Istat e fuori.

Si è finalmente aperta un’interlocuzione con il nuovo governo, che in ogni caso si deve prendere la responsabilità di mettere in moto le procedure per la nomina del successore di Blangiardo, che scade tra poco: a febbraio 2023.

Il rischio di non avere in tempo un nuovo presidente è molto grande, viste le premesse. Nelle ultime due occasioni c’è stato un grave problema. Quando Giovannini, nel 2013, si dimise per partecipare al governo Letta, fu nominato un “reggente”, Antonio Golini, mentre nel 2018 Giorgio Alleva fu sostituito per molti mesi da un “facente funzioni”, Maurizio Franzini. Ci manca solo un nuovo presidente “azzoppato”, per affossare definitivamente l’Istituto. E certo non è una buona premessa il fatto che alcuni tra i principali senatori della Lega abbiano tentato pochi mesi fa di cambiare le norme sui requisiti del presidente dell’Istat, chiaramente ad personam, con un emendamento al Decreto Ucraina, che per fortuna non è stato approvato.

Si può fermare il declino dell’Istat? Ancora siamo in tempo. Cambiando i vertici, ma anche riaffermando il ruolo dell’Ente, autonomo e indipendente, all’interno del settore della Ricerca pubblica (con finanziamenti adeguati per la valorizzazione professionale, come affermato nell’accordo politico dello scorso 10 novembre), implementando un lavoro agile adatto all’organizzazione del lavoro dell’Istat, reclutando un numero adeguato di ricercatori, tecnologi e collaboratori tecnici ed amministrativi, rinunciando al progetto 3-I.

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L'autore

Lorenzo Cassata