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28 marzo 2022

La necessaria incertezza della scienza

La scienza oggi ci mette di fronte alle nostre responsabilità, in cambio non ci offre certezze assolute ma un percorso di conoscenza tutt'altro che lineare, lento ed è anche incapace di predire il porto di approdo. L’interrogativo epocale allora è: saremo capaci di non perdere fiducia in essa e di assumerci la responsabilità che ci assegna?

La fisica di Newton ha posto i fondamenti della scienza moderna in un’epoca contrassegnata da una razionalità in accordo con l'esperienza umana di una natura che metteva in evidenza l’inesauribilità delle fonti (cascate, vento, molle erano autorigenerabili) e la periodicità dei cicli naturali (il ciclo “eterno” delle stagioni) portando ad un concetto di tempo di tipo reversibile. In definitiva, la scienza doveva rispettare, riproponendolo, un ordine cosmico, immutabile, superiore ed estraneo agli uomini.

Il paradigma è cambiato con l’avvento delle energie fossili, con un nuovo scenario che propone fonti di energia improvvisamente esauribili, stoccabili, distruttibili dal fuoco. Il modello che si è imposto è stato quello termodinamico che ci ha parlato di un mondo che si avvia alla distruzione: trasformazioni irreversibili, casualità, probabilità al posto delle certezze immutabili del determinismo. Il tempo nei processi acquista lo stesso carattere irreversibile della storia: altro che immutabilità delle stagioni, scopriamo l’aumento costante dell’entropia che rappresenta un “invecchiamento” inevitabile del mondo.

In questo passaggio epocale la scienza ha smesso di parlarci di stabilità e ha iniziato a misurarsi con la complessità della vita e del suo divenire. Ma noi ancora no, noi continuiamo a chiedere alla scienza stabilità, certezze, verità assolute. L'immagine dello scienziato è rimasta quella presente nei mitici film in bianco e nero che avevano per protagonista il dottor Quatermass, il decisionista assoluto, colui che aveva sempre l'ultima parola e dava la soluzione.

Ma la scienza è caratterizzata da una domanda appassionata, non da una risposta certa e definitiva. Ci spiazza per quanto è controintuitiva: nessuno immagina che ad ogni forza applicata corrisponda sempre una forza uguale e contraria, tantomeno che una palla che rotola tenda a farlo all'infinito. Ci delude con le sue conclusioni sempre provvisorie, “teorie tentative” che ci chiedono di essere messe in discussione cercando la loro falsificazione e non una semplice verifica – basti il famoso esempio dell'asserzione “tutti i cigni sono bianchi” che non viene confermata da mille cigni bianchi mentre ne basta uno nero per essere falsificata.

Per questo ci chiede l’atto di coraggio di accettare i limiti della conoscenza che possiamo raggiungere; non ci può svelare quello che troveremo nel futuro, durante e dopo una pandemia dovuta a un virus mai conosciuto prima. Ma ci pone le giuste domande, quelle capaci di aprire la strada alla ricerca delle soluzioni. Vorremmo che il mondo in cui viviamo fosse un sistema chiuso che possiamo guardare dall'esterno, come trasformazioni che avvengono nella provetta che teniamo con le dita, ma noi siamo nella provetta. È comprensibile volere dagli scienziati risposte e che non ci piaccia sentirci dire che le soluzioni dobbiamo costruirle insieme, ma così è.

La scienza incorpora e dà un ruolo all'incertezza da cui vorremmo invece ci affrancasse, ma se guardiamo più a fondo è l’unica fonte di rassicurazione. Perché le leggi e previsioni “catastrofiche” della termodinamica sono senz'altro valide per l’intero universo, cioè per un sistema isolato, ma non valgono per i sistemi naturali di tipo dinamico, “sistemi dissipativi” del tipo definito da Ilya Prigogine, capaci di evolversi con autorganizzazione, rigenerazione, adattamento all’ambiente. Per essi il tempo può avere aspetti costruttivi, come nel banalissimo caso del moto ondulatorio ordinato che nasce dal caos generato sulla superficie di uno stagno con il lancio di un sasso.

Sono sistemi complessi capaci di sfuggire alle previsioni della termodinamica lineare in quanto sensibili agli stimoli e agli scambi continui di materia e energia con un “fuori” che tende costantemente a modificare il “dentro”. Dovrebbe rassicurarci questa scienza, eppure mentre la vita nasce da un ovulo “vulnerabile” che si lascia “contaminare” da uno spermatozoo che ne varca il confine, la vulnerabilità e la contaminazione quando la pensiamo al livello macroscopico del sociale le viviamo come una minaccia.

La razionalità non va più identificata con la certezza, né la probabilità con l’ignoranza. A tutti i livelli, scopriamo che la probabilità ha un ruolo essenziale nel meccanismo di evoluzione. Se Newton ha descritto perfettamente il moto della caduta di una mela, prevedendone istante per istante la posizione, resta il fatto che questa conoscenza non ci mette in grado di prevedere quando la mela cadrà. Sul “quando” sono decisive le condizioni di salute dell’albero, lo stato della mela, l’arrivo di un colpo di vento al momento giusto. La mela è la stessa di Newton ma la dobbiamo guardare da un’ottica più ampia che abbraccia sia la prevedibilità del moto che l’imprevedibilità del quando l’evento accadrà. Ciò che succede ha più modi e tempi di succedere e non si lascia mai prevedere completamente.

Freud ha scritto che la storia della scienza è una storia di alienazione: da Copernico non viviamo più al centro dell’universo; da Darwin, l’uomo non è più diverso dagli animali; e da Freud stesso la coscienza è solo la parte emergente di una realtà complessa a noi sconosciuta.

È difficile per noi accettare questa nuova condizione e restiamo volentieri indietro di un paradigma: in un mondo copernicano restiamo tolemaici. Solo se cresciamo nella conoscenza scientifica possiamo perdere la paura di un futuro distopico, in corsa verso l’autodistruzione. Questa possiamo produrla noi se continuiamo a sentirci al centro della Terra e suoi padroni.

Dovremmo accettare che la conoscenza che possiamo raggiungere è sempre incompleta, provvisoria e in equilibrio con una non-conoscenza irriducibile a zero. Dovremmo accettarla come una benedizione, perché per la nostra evoluzione è necessario uno spazio che resti aperto, indefinibile e indicibile, garanzia dei gradi di libertà indispensabili per l'adattamento.

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L'autore

Giuseppe Bagni