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01 dicembre 2021

La percezione della scienza, le fake news e la democrazia scientifica: l'intervista a Claudia Sorlini

A ottobre questa rivista ha ospitato un’intervista a Giorgio Parisi, uscita proprio in occasione del conferimento del premio Nobel per la Fisica 2021 e rilasciata solo alcuni giorni prima. Il senso di quella intervista era quello di avviare un dibattito sul ruolo e sulla percezione della scienza nella fase che stiamo vivendo caratterizzata, da una parte, da una rinnovata attenzione alle “potenzialità” della ricerca, ma anche da un minoritario ma “rumoroso” e visibile rifiuto o scetticismo circa il reale contributo alla soluzione dei problemi.

Oggi è il turno di Claudia Sorlini, docente di microbiologia agraria all’Università di Milano, che unisce a un track-record scientifico di notevole valore, una corrispondente attenzione alle problematiche sociali e della vita reale, non separate dall’esercizio di ruoli e responsabilità anche in ambito non strettamente accademico. Tra questi, sicuramente, la vicepresidenza della Fondazione Cariplo.

Alla prof.ssa Sorlini abbiamo posto una serie di domande che riprendono quelle già affrontate con Giorgio Parisi e che troverete con le risposte sul numero 11/12 della versione cartacea di Articolo33. Qui ne anticipiamo una parte dei contenuti.

La scienza, e dietro di essa la ricerca, è stata una ri-scoperta recente per una vasta parte dell’opinione pubblica. Cosa bisognerebbe fare, da parte della comunità scientifica, per aumentare la percezione del ruolo della scienza nella società e, su questa base, motivare le scelte in suo favore?

La grave pandemia che ha colpito il pianeta è stata anche l'occasione per la costruzione di un rapporto più diretto tra scienze/ricerca e società. La comunicazione è stata fatta in larga misura in modo corretto e puntuale e ha visto gran parte del mondo scientifico schierata su posizioni di rigore e di cautela. Ha colpito positivamente lo sforzo fatto dal mondo della ricerca e la stretta collaborazione che si è creata tra i ricercatori del pianeta, con la messa a disposizione di tutti i risultati delle ricerche e le pubblicazioni open access hanno favorito la diffusione delle conoscenze, anche se provvisorie e non confermate. I cittadini lo hanno colto e apprezzato ed è grazie a questa collaborazione effettuata su reti globali che si è arrivati in tempi record alla messa a punto di più vaccini contemporaneamente. Al consenso di un’ampia maggioranza della popolazione tuttavia si è accompagnata una altrettanto convinta ostilità nei confronti dei vaccini e della scienza, da parte di una consistente minoranza. Questo significa che né l’impegno né una corretta comunicazione sono sufficienti a convincere questa fascia di popolazione.

Questo introduce il grande tema delle fake news, che non riguarda solo la scienza, ma evidenzia che c’è chi non crede nel metodo scientifico. Perché il metodo scientifico non basta per sconfiggere le fake news? Che fare?

La fake news sono "bevute" e dilagano attraverso un meccanismo di accettazione fideistica delle notizie e di rifiuto del dialogo e del contradditorio ragionato. A questo concorrono diversi fattori: a) il sospetto che le autorità ti vogliano sempre imbrogliare e, di conseguenza, la fiducia/interesse in tutto quanto è “alternativo” alle autorità competenti, anche per la  caduta di credibilità nelle istituzioni e nei corpi intermedi. Da cui anche l’idea che “uno vale uno”, slogan che esprime l’anti-elitismo e l’anti-establishment dei populisti; b) la poca attenzione alla formazione in campo scientifico (molte sono le scuole nelle quale si privilegiano le applicazioni e le tecnologie) con la conseguenza che le informazioni nel digitale, e lo spirito gregario che porta a diventare acriticamente follower, plasmano individui scarsamente attrezzati per destreggiarsi tra fake news e notizie vere; c) la scienza viene comunicata con modalità poco soddisfacenti. Da una parte fa fatica a decollare la professione del giornalista scientifico. Dall’altra una parte dell’accademia preferisce rifugiarsi nella turris eburnea ed  è poco interessata anche a recepire le esigenze sociali, non ritenendo che sia suo compito praticare la comunicazione, perché sottrae tempo alla ricerca e alle pubblicazioni, essenziali per la carriera, come da normativa vigente.

Infine vi è un problema linguistico. La non traduzione dall’inglese di termini (e dei concetti che ci stanno dietro) genera problemi di comprensione e richiederebbe che la scienza parli anche italiano per farsi capire da tutti. Una lingua che non aggiorna la propria terminologia in campo scientifico è destinata a essere messa da parte.

Più conoscenza e più formazione sono fondamentali per realizzare una società più giusta e più equilibrata, indirizzata al futuro piuttosto che condizionata dal passato. La tecnologia ha aiutato questo disegno. Bisogna aggiornare la formula? Aggiungere elementi?

Certamente più conoscenza e più informazione sono indispensabili, dando più spazio all'insegnamento delle scienze nelle scuole di ogni ordine e grado e partendo dai caposaldi del metodo scientifico. D'altra parte la conoscenza è un valore che sta alla base della democrazia ("democrazia è il potere del popolo informato e formato"). Bisogna nel contempo sviluppare nei giovani lo spirito critico e l'autonomia di giudizio indispensabili per riconoscere e selezionare i messaggi che si ricevono e per respingere con argomentazioni appropriate le mistificazioni. Con la crescita scientifica e culturale generale è possibile contrastare i movimenti dei terrapiattisti, no-vax, no-ecc., e, allo stesso tempo, la subcultura populista dell'"uno vale uno" che nega la competenza, la conoscenza e l'esperienza, senza cadere, però, nell’eccesso opposto della “santificazione” della scienza, accettandone la non linearità nella crescita e i necessari adeguamenti legati allo sviluppo e all’interpretazione delle conoscenze acquisite.

Secondo il filosofo Slavoj Žizek "Dobbiamo ripristinare degli orizzonti ermeneutici robusti, mostrare come molto del nostro futuro non dipende dalla accettazione di dati e scoperte scientifiche, ma dalla nostra capacità di saperne interpretare e controllare gli effetti cercando di capire davvero cosa c'è in gioco".

”Democrazia scientifica”, partecipazione e finanziamenti. Qual è la tua opinione in proposito?

Sensibilità nei confronti dei problemi sociali e curiosità nell’approfondire conoscenze di cui non si vede l’utilità applicativa immediata costituiscono i riferimenti naturali per fare della buona ricerca. Penso sia molto interessante anche il modello di ricerca partecipativa, di cui esistono interessanti esempi di collaborazione tra associazioni di cittadini/lavoratori e ricercatori con scambi di dati, informazioni e suggerimenti molto produttivi. Questo serve anche a costruire comunità inclusive e a sviluppare pratiche democratiche.

La ricerca diventa poco democratica quando i tagli ai finanziamenti colpiscono linee di ricerca che non sono condivise dalle autorità ai vari livelli. Anche questo è un modo di ridurre la libertà di ricerca, spesso appellandosi alla motivazione della inutilità, un concetto del tutto soggettivo.

Va ricordato che oltre al rapporto diretto tra società e scienza, vi è anche un rapporto indiretto la mediato dalla politica che, giustamente, nel fare le scelte deve includere considerazioni di carattere sociale. I decisori vanno quindi aiutati nel loro lavoro, evitando che i risultati della ricerca  vadano a beneficio di chi già è privilegiato incrementando le disuguaglianze sociali.

Sui finanziamenti vi è anzitutto una questione di quantità, in quanto l’Italia è fra i paesi europei che finanzia meno, e da molti anni, la ricerca. Ma c’è anche una questione legata ai settori e ai temi che vengono finanziati; spesso quelli che non rientrano nel mainstream delle ricerche tradizionali vengono o snobbati o considerati con sufficienza, limitando anche in questo modo la presenza dei giovani ricercatori. 

Quello che resta fondamentale è che, al di là dell’oggetto della ricerca, questa venga condotta con il rigore che il metodo scientifico richiede. Spesso capita che da ricerche ritenute dall’opinione dominante di secondaria importanza emergano risultati di grande interesse che diventano fondamentali per risolvere problemi, chiarire fenomeni e processi. Dunque nella erogazione dei finanziamenti si dovrebbe tener conto anche di questo aspetto.

Da questo punto di vista ritengo sia importante sottolineare il ruolo dei finanziatori del terzo settore, quali le fondazioni, che si distinguono da quelli pubblici e da quelli privati per il fatto che nella loro mission è compresa la possibilità di finanziare anche ricerche ad alto rischio (cioè dall’esito incerto) su nuove idee, spesso proposte dai giovani, fuori dai temi ritenuti dominanti.

L'autore

Alberto Silvani