La rivista

Buone pratiche

Per una cittadinanza attiva e partecipata

Da oltre un ventennio, la scuola italiana è oggetto di una ‘riforma continua’ nel tentativo di allinearsi ai modelli europei: da Berlinguer, ministro dell’istruzione tra il 1996 e il 1999 fino all’attuale Valditara, passando per De Mauro, Moratti, Fioroni, Gelmini, Profumo, Giannini e Azzolina. Come ribadito dalla decennale Strategia Europa 2020, l’intenzione comune degli approcci bipartisan è quella di indirizzarsi verso una ‘società della conoscenza’ capace di integrare istruzione, formazione professionale ed educazione permanente. Tuttavia, sebbene le istituzioni europee continuino a considerare l’istruzione come una risorsa fondamentale alla costruzione di un nuovo modello sociale europeo, esse rimangono vincolate al paradigma neoliberale, che per sua natura teorica e pratica induce i governi a forti limitazioni agli investimenti nel welfare. Tale piattaforma liberista, inoltre, ha consentito anche in Italia un’ulteriore intensificazione di risorse verso la privatizzazione e il decentramento. Ma come si può muovere la scuola in questo contesto nuovo? Come possono essere rilanciate discipline su cui finora si è investito meno?

Condizioni sociali e politiche scolastiche

Soprattutto nel secolo scorso, le politiche scolastiche sono state il terreno di scontro tra ideologie diverse, coinvolgendo gruppi sociali contrapposti portatori di interessi altri: il complessivo assetto pedagogico disciplinare che abbiamo conosciuto nel Novecento ha preso vita grazie allo scontro tra gruppi sociali, oltre che tra teorie formative alternative. In Italia, negli ultimi anni, anziché assistere a una naturale ri-equilibratura della spesa pubblica, si è visto un velocissimo processo di ridimensionamento di risorse economiche in seno alle politiche sociali, e la scuola e l'università sono divenute il terreno privilegiato di tagli lineari de-programmanti. Tuttavia, il tema che più di altri tiene banco nel dibattito pubblico si è concentrato quasi esclusivamente sul collegamento della scuola con il mondo del lavoro e «sulla ricerca di un efficace sistema di premi (e punizioni?) da attribuire agli insegnanti in vista di un incremento della loro ‘produttività’ e ‘qualità’ (dando per scontato che questi due aspetti siano necessariamente correlati). Mentre, la questione della permanenza delle diseguaglianze scolastiche dovute all’origine sociale continua a rimanere marginale» (Parziale, 2016).

Un fenomeno non solo italiano, ma specifico, tuttavia, di tutti i Paesi industrializzati in cui l’ideologia del liberalismo economico è egemone e nei quali la competizione tra individui, e non solo tra aziende, costituisce la chiave di lettura finanche dell’atteggiamento etico. «Alla legittimazione dell’ordine sociale vigente concorrono in maniera particolare i seguenti due principi: il successo professionale è un importante criterio per il riconoscimento sociale dell’individuo; quanto più le istituzioni rispondono alla logica di mercato e favoriscono la competizione richiesta dal capitalismo in molti campi della vita sociale, tanto più il successo professionale dipenderà solo dall’impegno e dalle capacità di ognuno. È evidente, pertanto, che la dipendenza del successo scolastico da fattori ascrittivi quali genere, etnia e soprattutto classe sociale di provenienza costituisce una fonte di delegittimazione di questo ordine, una sua messa in discussione» (Ibd., 2016).

Negli ultimi trent’anni, le diseguaglianze sociali, in particolare quelle scolastiche, sono alimentate proprio da questi tagli continui alla spesa pubblica, sebbene la scuola rappresenti ancora l’unico pilastro universalista del nostro welfare. Tale contrafforte in campo educativo è ancora garantito in linea teorica dall’attualità degli articoli 33 e 34 della nostra Costituzione; ma sebbene tali articoli abbiano garantito una storica scolarizzazione di massa a partire dal secondo dopoguerra, da soli non rappresentano un viatico automatico per la rimozione delle diseguaglianze scolastiche. Universalismo e persistenza di tali diseguaglianze, in realtà, convivono. In questa direzione, purtroppo, la scuola non è esente dai meccanismi di stratificazione sociale, sia veicolando la differenziazione dei talenti, sia gestendo la divisione tecnica del lavoro in linea con le volontà delle aziende (si pensi all’alternanza scuola-lavoro), sia soprattutto introiettando e giustificando l’idea, ormai divenuta consuetudine, della brillantezza del ‘successo’. Ci si realizza se si diventa uomini e donne di successo e per arrivare a tale traguardo bisogna produrre e guadagnare come unico baluardo vitale. Le materie umanistiche che rallentano tale risultato sono da considerare superflue: un atteggiamento decisamente liberale.

Questione politico-normativa dell’educazione civica

«L’educazione civica si propone di soddisfare l’esigenza che tra Scuola e Vita si creino rapporti di mutua collaborazione». Dal giugno del 1958, anno in cui è stata introdotta l’educazione civica a scuola con il DPR n. 585/58, la disciplina ha incontrato numerosi cambiamenti, ritardi e, talvolta, anche sottovalutazioni, sia dal punto di vista contenutistico, sia più strettamente pedagogico[1]. La citazione sopra riportata corrisponde alla premessa di quell’atto legislativo emanato dal Presidente della Repubblica, ma realmente pensato dall’allora ministro della Pubblica Istruzione, Aldo Moro. Un provvedimento destinato a orientare radicalmente il percorso dell’insegnamento nella scuola pubblica, e per certi versi anticipatore storico di una successiva fase di formidabili mutamenti del corso politico e sociale della nostra penisola. Anche perché, tra le altre cose, quella delibera determinava un cambio paradigmatico nell’azione pubblica e negli obiettivi del nuovo docente della Repubblica, e «se pure è vero che ogni insegnante prima di essere docente della sua materia, ha da essere eccitatore di moti di coscienza morale e sociale; se pure è vero, quindi, che l’educazione civica ha da essere presente in ogni insegnamento, l’opportunità evidente di una sintesi organica consiglia di dare ad essa quadro didattico, e perciò di indicare orario e programmi, e induce a designare per questo specifico compito il docente di storia. È la storia infatti che ha dialogo più naturale, e perciò più diretto, con l’educazione civica, essendo a questa concentrica». Tale insegnante avrebbe dovuto «proporsi di tracciare una storia comparativa del potere, nelle sue forme istituzionali e nel suo esercizio, con lo scopo di radicare il convincimento che morale e politica non possono legittimamente essere separate, e che, pertanto, meta della politica è la piena esplicazione del valore dell’uomo».

Già queste poche righe possono essere oggetto di profonda riflessione non solo del corpo docente, ma anche e soprattutto dei decisori che di volta in volta pare vogliano stravolgere gli itinerari sostanziali del percorso formativo. L’educazione civica, attraverso la vivida pratica della storia, si proponeva di edificare la costruzione di un nuovo senso civico e di una nuova convivenza democratica, fondata sulla forza della memoria collettiva condivisa, alveo fondamentale per la conoscenza e la pratica della Costituzione.

La storia dell’educazione civica, pure necessaria alla preparazione del corpo docente, oltre che del ‘potere scolastico’, ha subito varie trasformazioni nel corso degli anni, ma solo nel 2008 viene promosso, con il decreto-legge n. 137 convertito dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169 nelle scuole di ogni ordine e grado, l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione[2]. Da quel momento in avanti il percorso legislativo, e dunque anche politico, della pratica dell’educazione civica è stato scandito da ulteriori modifiche: l’art. 10, comma 7, del DPR n. 89 del 15 marzo 2010, per esempio, tendeva a investire maggiormente, sui docenti di Diritto ed economia oltre a quelli di Storia e Geografia[3]. Innestandosi nell’ambito delle competenze trasversali, l’educazione civica perseverava nell’impegno di: Imparare ad imparare; Progettare; Comunicare; Collaborare e partecipare; Agire in modo autonomo e responsabile; Risolvere problemi; Individuare collegamenti e relazioni; Acquisire e interpretare l’informazione, come già definito nell’allegato 2 del Decreto ministeriale 22 agosto 2007, n. 139[4]. In quest’ultimo atto si precisa che:

«i saperi e le competenze per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione sono riferiti ai quattro assi culturali (dei linguaggi, matematico, scientifico-tecnologico, storico-sociale) […]. Essi costituiscono ‘il tessuto’ per la costruzione di percorsi di apprendimento orientati all’acquisizione delle competenze chiave che preparino i giovani alla vita adulta e che costituiscano la base per consolidare e accrescere saperi e competenze in un processo di apprendimento permanente, anche ai fini della futura vita lavorativa».

Oggi, uno degli scopi della scuola dell’autonomia, con il contributo indispensabile del potenziamento delle competenze civiche e costituzionali, riguarda l’inclusione scolastica per il contrasto al fenomeno della dispersione scolastica, in ottemperanza alla Strategia Europa 2020. Per quanto concerne il tema del sistema di formazione educativa, tale programma europeo si è posto l’obiettivo di condurre sia la dispersione al di sotto del 10% per Stato, sia i livelli di istruzione superiore sopra il 40%. Ma l’Istat non trasmette dati incoraggianti in tal senso: «nel 2022, la percentuale di giovani d’età tra i 18 e i 24 anni che ha abbandonato precocemente gli studi è dell’11,5%. Nel Mezzogiorno, l’incidenza raggiunge il 15,1%. Nel 2022, in Italia, i giovani tra i 30 e i 34 anni con un titolo di studio terziario sono il 27,4%; quelli tra i 25 e i 34 anni sono il 29,2%».

Bisognerebbe avere il tempo di condurre un’analisi critica approfondita sulla Legge n. 92 del 2019, ma il suo fulcro è ravvisabile già solo nella lettura dell’articolo 4:

«a fondamento dell'insegnamento dell’educazione civica è posta la conoscenza della Costituzione italiana. Gli alunni devono essere introdotti alla conoscenza dei contenuti della Carta costituzionale sia nella scuola dell'infanzia e del primo ciclo, sia in quella del secondo ciclo, per sviluppare competenze ispirate ai valori della responsabilità, della legalità, della partecipazione e della solidarietà».

È necessario puntare sull’unicità di visione rappresentata dalla Costituzione sotto tutti i profili (economico, sociale, ambientale, giuslavoristico, ecc.), prevedendo una formazione specifica dei docenti per ciò che concerne la ‘cittadinanza digitale’, concetto alquanto oscuro ai più e pochissimo praticato nell’insegnamento dell’educazione civica.

Brevi proposte conclusive

La scuola, tuttavia, più di ogni altra istituzione riproduce tali diseguaglianze sociali, proprio per le sue diverse peculiarità intrinseche sotto vari punti di vista. Di queste, però, si discute spesso in ambito accademico, ma molto meno nel dibattito politico. L’agenzia di socializzazione denominata scuola sovente seleziona in funzione della legittimazione dell’ordine sociale esistente, e gli ulteriori elementi elencati in questo articolo testimoniano come il sistema scolastico italiano stia partecipando al ridisegno neoliberale dell’istruzione su scala globale. Economisti, sociologi e pedagogisti oggi concordano sulla persistenza delle diseguaglianze scolastiche, ma cosa si può fare direttamente a scuola?

Il carico di lavoro degli insegnanti, soprattutto di natura burocratica, è sempre più imponente a fronte di ridotte possibilità di azione e condizioni economiche svantaggiose. Ogni proposta rischia di essere riduttiva se non connessa a tutte le altre in maniera armonica. Uno dei punti di partenza, però, potrebbe essere il potenziamento e l’irrobustimento dei programmi e delle ore di educazione civica strutturati da insegnanti ad hoc. Programmi che già dovrebbero indirizzare i discenti verso una comprensione storica e sociale della carta costituzionale che sicuramente fungerebbe anche da argine alla deriva scolastica di tipo neo liberista[5]. E anche le linee-guida per l’insegnamento dell’educazione civica dovrebbero essere meno evanescenti e generiche rispetto alle attuali e fornire indicazioni più puntuali. Dovrebbe permanere l’obiettivo condiviso da tutti i docenti di formare gli alunni soprattutto come cittadini. Tuttavia, è necessario un ulteriore e più consistente investimento, sia di risorse, sia di energie intellettuali: piuttosto che la riduzione a poco più di 30 ore annuali, bisogna promuovere più ore in classe (almeno due a settimana come l’educazione motoria) svolte da insegnanti specifici. Ma è necessario anche un intervento sui programmi che, almeno nel caso dei licei, non possono essere lasciati completamente all’autonomia del docente. Negli istituti tecnico-professionali già da qualche anno si sta andando in questa direzione. È comunque l’intera rete scolastica nazionale che deve essere messa a sistema “civico”: un sistema tematico-costituzionale che nessuno può azzardarsi di dichiarare divisivo. La conoscenza consapevole e lucida della Costituzione da parte di tutti gli italiani e di coloro che in Italia scelgono di viverci sarebbe un’autentica rivoluzione: si supererebbero così visioni limitate ed egoistiche, quando addirittura arbitrarie, dei concetti di Stato, diritti (umani, civili e sociali) e interventi nell’economia. Si saprebbe esattamente che il confronto non è solo fra le proposte di cui si fanno portatrici le varie formazioni politiche, ma soprattutto fra quelle idee e la Costituzione, nei cui principi e nelle cui regole dobbiamo riconoscerci, altrimenti non potremo dirci pienamente, autenticamente italiani.

Bibliografia essenziale

Cobalti A. (2006), Globalizzazione e istruzione, Il Mulino, Bologna.

Corradini L. (2018), La dimensione etico-giuridica e culturale della cittadinanza in Competenze chiave per la cittadinanza. Dalle Indicazioni per il curricolo alla didattica, a cura di Giancarlo Cerini, Silvana Loiero, Mariella Spinosi, Tecnodid, Napoli, pp. 22-34.

Ferrera M. (2006), Le politiche sociali. L’Italia in prospettiva comparata, Il Mulino, Bologna.

Parziale F. (2016), Eretici e Respinti. Classi sociali e istruzione superiore in Italia, Franco Angeli, Milano.

Serpieri R. (2009), Senza leadership: un discorso democratico per la scuola, Vol. 1: Discorsi e contesti della leadership educativa, FrancoAngeli, Milano.


[1] Sul tema cfr. Corradini 2018, pp. 22-34.

[2] Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università. Il progetto esordisce negli istituti scolastici solo l’anno successivo. Cfr. anche la circolare n. 100 dell11 dicembre 2008, Prime informazioni sui processi di attuazione del D.L. n. 127 del 1° settembre 2008, convertito con modificazioni nella legge 30 ottobre 2008, n. 169.

[3]La circolare ministeriale n. 86 del 27 ottobre 2010, Cittadinanza e Costituzione. Attuazione dellart. 1 della legge 30 ottobre 2008, n. 169, chiosava che: «questo insegnamento si articola in una dimensione specifica integrata alle discipline dellarea storico-geografica e storico-sociale e in una dimensione educativa che attraversa e interconnette lintero processo di insegnamento/apprendimento».

[4] Il provvedimento confermava le cosiddette competenze chiave indicate dalla Raccomandazione europea del 18 dicembre 2006: comunicazione nella madre lingua; comunicazione nelle lingue straniere; competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; competenza digitale; imparare ad imparare; competenze sociali e civiche: spirito di iniziativa e imprenditorialità; consapevolezza ed espressione culturale. A maggio 2018, queste otto competenze chiave per lapprendimento permanente hanno subito una rimodulazione nel seguente modo: competenza alfabetica funzionale; competenza multilinguistica; competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria; competenza digitale; competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare; competenza in materia di cittadinanza; competenza imprenditoriale; competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

[5] Si veda il citato art. 4 della Legge 20 agosto 2019, n.92: «a fondamento dell’insegnamento dell’Educazione Civica è posta la conoscenza della Costituzione Italiana».

L'autore

Leonardo Masone

Ricercatore presso l'Università Aldo Moro di Bari