Ricorrenze / Marzo

1 marzo 1922

I Cento anni di Beppe Fenoglio, scrittore e testimone della Resistenza

Uomo schivo e riservato, Beppe Fenoglio, sopraggiunta la pace, si terrà sempre alla larga dalle controversie e dalle puntute polemiche politico-ideologiche che contrassegnarono il primo dopoguerra. A Italo Calvino che gli chiedeva l’invio di un profilo da riportare sul risvolto di copertina del suo primo libro, così scrisse di sé: «Nato trent’anni fa ad Alba (1° marzo 1922) – studente (Ginnasio-Liceo, indi Università, ma naturalmente non mi sono laureato) – soldato del Regio e poi partigiano: oggi, purtroppo, uno dei procuratori di una nota Ditta enologica. Credo sia tutto qui. Ti basta, no?».

E tuttavia riservatezza e amore per l’essenziale non corrispondevano certo, in lui, a debolezza di passione o scarsezza di interessi. Non a caso, scrivendo sempre a Calvino, questa volta a proposito del suo rapporto con l’attività letteraria, egli, come ci è attestato da Filippo Elio Accrocca (Ritratti su misura di scrittori italiani, Sodalizio del libro, Venezia 1960), osservava: «Scrivo per un’infinità di motivi. Per vocazione, anche per continuare un rapporto che un avvenimento e le convenzioni della vita hanno reso altrimenti impossibile, anche per giustificare i miei sedici anni di studi non coronati da laurea, anche per spirito agonistico, anche per restituirmi sensazioni passate; per un’infinità di ragioni, insomma».

Una delle tante, se non la prima, di queste “ragioni” è senza dubbio da ricercare nell’amore per la sua terra, assurta – durante e dopo l’esperienza resistenziale – a metafora dell’esistenza umana. È proprio tra le colline delle Langhe che infatti si dipana il filo di un racconto che, tenendo unite insieme vicende contadine e vicissitudini partigiane, trova il suo medium in una forma di pathos ad alta intensità, che, soprattutto nei racconti a sfondo resistenziale, si traveste, quasi naturalmente, in spirito epico-tragico.

Il suo esordio nel mondo delle lettere era avvenuto con la serie dei sette Racconti della guerra civile (1949), che, mai pubblicati, diverranno il nucleo originario della prima vera opera, I ventitre giorni della città di Alba (1952). A questa seguiranno La malora (1954), lungo racconto d’ambiente contadino, e il romanzo Primavera di bellezza (1959), nel quale ripercorre gli eventi cruciali dell’estate del 1943, culminati nella caduta di Benito Mussolini. Usciranno postumi, unitamente al romanzo incompiuto Una questione privata, i dodici racconti editi e inediti di Un giorno di fuoco (1963), Il partigiano Johnny (1968) – la cui scoperta si deve a Lorenzo Mondo – e il romanzo La paga del soldato (1969).

La personalità fenogliana è molto più complessa di quanto non appaia a prima vista. Lo dimostrano, se non altro, le complesse vicende editoriali legate alla pubblicazione delle sue opere, perpetuatesi anche dopo la sua scomparsa. Un esempio per tutti: a dieci anni dalla morte dello scrittore, veniva ancora alla luce una nuova raccolta di racconti, poi pubblicati con il titolo di Un Fenoglio alla prima guerra mondiale. La scoperta fu tale da indurre Maria Corti, curatrice, alla fine degli anni Settanta, delle Opere fenogliane, a suggerire una certa cautela di giudizio. Al “molto” che già si aveva, ella aggiungeva, non si doveva sottovalutare quello che ancora “mancava”. Di conseguenza, l’insigne studiosa preconizzava: «Vive fondatamente il sospetto dell’esistenza sia di qualche altro scritto fenogliano (racconto o favola o che so io) sia di fogli e blocchi ora mancanti ai testi qui editi». Ipotesi che troverà un puntuale riscontro con la scoperta – avvenuta quasi due decenni dopo quelle parole –, ancora una volta a opera di Lorenzo Mondo, dei quattro blocchetti di carta intestata del padre dello scrittore (“Macelleria Fenoglio Amilcare”), pubblicati nel 1994 da Einaudi con il titolo di Appunti partigiani 1944-1945.

Nella Prefazione al suo Sentiero dei nidi di ragno (Einaudi, Torino 1964) Italo Calvino, riferendosi a Una questione privata, a proposito dell’albese aveva osservato: «Fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno più se l’aspettava; [...] il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita. [...] C’è la Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente nella memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia».

Giudizio, questo, che avrebbe trovato un inveramento ancor più clamoroso nel romanzo postumo Il partigianio Johnny (Einaudi, Torino 1968), dove troviamo scritto che «partigiano, come poeta, è parola assoluta». Non è infatti azzardato affermare che, da quel momento, la rappresentazione della Resistenza, «vera come mai era stata scritta», da romanzo di “una generazione”, sarebbe diventata il romanzo anche di tutte le generazioni successive.

David Baldini