Mario Rigoni Stern, terzo di sette figli, nasce il 1° novembre 1921 ad Asiago da Giovanni Battista – commerciante – e da Anna Vescovi, discendente di una nota famiglia di avvocati. Dopo aver vissuto un’infanzia spensierata, a contatto con l’amata natura, sulla quale per altro erano ancora ben visibili le ferite inferte dalla Grande guerra, inizia a interessarsi di letteratura leggendo dapprima Jules Verne e Emilio Salgari e poi, in età più matura, Čechov, Tolstoj, Marcel Proust.
All’età di sedici anni, abbandonata la scuola di avviamento professionale, prima di diplomarsi, entra nel mondo del lavoro, per poi successivamente abbracciare la vita militare. Ammesso nel 1938 alla scuola centrale di alpinismo di Aosta, dopo un breve addestramento, intraprende un lungo tour di sci alpinistico che, dalla Val Formazza, lo condurrà alle Valli di Champorcher e di Cogne. Ma si tratterà di una breve parentesi: le competizioni sportive sarebbero state sostituite, di lì a poco, dalle ben più drammatiche attività belliche, cui viene a trovarsi coinvolto dopo l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940.
Presentatosi volontario, fa le sue prime prove prima sul fronte francese, con il grado di caporal maggiore, squadra portaordini sciatori aggregato al 6° battaglione alpini Aosta. Successivamente, a seguito dell’intervenuto armistizio tra Francia e Italia, firmato il 28 ottobre 1940, viene impiegato sul fronte greco-albanese, militando nelle file del battaglione Vestone (divisione Tridentina). Questa volta, però, l’impegno bellico si sarebbe rivelato ben più difficile e impegnativo del precedente: le truppe italiane, incalzate dai greci, furono ben presto costrette al ritiro, dopo essere rimaste impantanate in una defatigante guerra di posizione. L’aggressione fascista contro la Grecia si sbloccherà, dopo una lunga fase di stallo, a seguito di un fulmineo intervento tedesco. Conclusasi anche questa seconda avventura militare con un armistizio, sottoscritto dalla Grecia nell’aprile del 1941, Rigoni, dopo una breve permanenza ad Asiago, riparte di nuovo, questa volta per raggiungere il fronte russo. Il battaglione Vestone era stato infatti incorporato nell’Armir, inviata in sostegno del Csir, già operativo in URSS dall’anno precedente.
Il 1° settembre, a seguito del suo coraggioso comportamento nella sanguinosissima battaglia di Kotovskij, viene insignito della medaglia d’argento al valore militare. Ma le sorti della guerra ormai volgono al peggio. Il 18 dicembre, infatti, l’8ª Armata italiana e la 289ª divisione tedesca – che operano sul fronte medio del Don a copertura della 6ª armata di von Paulus –, vengono travolte a Novaia Kalitva. Inoltre, a seguito dell’ormai avvenuto accerchiamento dei tedeschi a Stalingrado, le truppe italiane sono costrette, nella prima metà di gennaio 1943, a una precipitosa ritirata. Rigoni, nel frattempo promosso al grado di sergente maggiore, il 17 gennaio 1943 lascerà per ultimo il caposaldo nel quale era attestato con i suoi uomini, trovandosi momentaneamente a ricoprire il ruolo di comandante di compagnia.
Ma, di lì a poco, il tentativo delle truppe dell’Asse di sottrarsi alla “sacca” si trasformerà in una vera e propria rotta: lo “sganciamento” si svolgerà infatti tra marce forzate e aspri combattimenti, ingaggiati con i russi nel tentativo disperato di evitare l’accerchiamento. Il culmine di queste battaglie, svoltesi in condizioni climatiche proibitive per il freddo, sarà raggiunto il 26 gennaio 1943 a Nikolaevka, dove Rigoni, costernato, assisterà alla dolorosa perdita di commilitoni e di vecchi cari amici.
Raggiunta l’Italia, rifiuta di aderire – insieme a molti altri militari italiani che si trovarono impreparati come lui a seguito del l’armistizio dell’8 settembre 1943 – al ricostituito esercito fascista di Salò. Per questa sua decisione, viene dapprima spedito per punizione in un Lager in Masuria, nei pressi della Lituania – Stammlager I-B; poi viene spostato in altri due Campi nazisti – situati in Alta Slesia e in Stiria –; infine viene trasferito in Austria, nella città di Graz, dove è impiegato nello sgombro delle macerie cittadine. Il 9 maggio 1945, dopo ben venti mesi di prigionia, rientra ad Asiago in condizioni davvero pietose: denutrito e moralmente scosso, percorre tutto il cammino a piedi.
Come molti reduci, stenta a reinserirsi nella vita civile, fino a quando, dopo aver ottenuto un impiego presso l’ufficio del Catasto di Asiago, sposa, nel dicembre del 1945, Anna Haaus, una conterranea conosciuta alcuni anni prima. Raggiunto finalmente un certo equilibrio interiore, può dedicarsi a scrivere le sue memorie di guerra. Così, due anni dopo, pubblica la sua prima opera, Il sergente nella neve. Il testo, concepito inizialmente dopo la battaglia di Nikolaevka, verrà in realtà abbozzato solo nel periodo della prigionia. Rivisto ad Asiago negli intervalli del lavoro d’ufficio e rimaneggiato da Elio Vittorini, è pubblicato, riscuotendo un certo successo, nella collana einaudiana de “I Gettoni”, tanto che, nel settembre di quello stesso anno, gli viene assegnato il premio Viareggio come migliore “opera prima”.
E tuttavia, più che romanziere, Rigoni si riteneva un narratore, poiché, se il romanziere «crea la storia dentro di sé», «il narratore prende lo spunto dall’esterno». E così, sulla scorta di questa sua visione della letteratura, pubblica otto anni dopo il suo secondo libro, Il bosco degli urogalli, uscito sempre per i tipi di Einaudi, casa editrice che pubblicherà anche per le sue opere successive. Nel 1967 inoltre cura, per le edizioni Ferro di Milano, una raccolta di scritti sulle due guerre mondiali, dal titolo La guerra della naja alpina, nella quale compaiono – oltre ad alcuni inediti di grande interesse storico – i testi di autori come Fritz Weber, Paolo Monelli, Carlo Emilio Gadda, Curzio Malaparte. Intanto però, a seguito di una grave crisi cardiaca, è costretto, nel 1970, a fare domanda di pensionamento anticipato; cosa questa che gli consente da una parte di dedicarsi a tempo pieno alla letteratura, dall’altra di dare seguito alle sue occupazioni predilette, quali la lettura, la coltivazione dell’orto, l’allevamento delle api, le passeggiate nei boschi, la caccia. Questo non lo distoglie tuttavia dal dedicare una cura particolare agli amici, primi fra tutti Primo Levi e Nuto Revelli, ai quali si sentiva legato da affinità umane e letterarie.
Si trovava da poco in pensione quando, nel 1971, decide di pubblicare un altro libro di guerra, Quota Albania e, nell’ottobre di quello stesso anno, di recarsi in Russia. Qui ha occasione di visitare i luoghi dove, trent’anni prima, avevano combattuto e perso la vita centomila soldati italiani. Vicende, queste, che ricorderà nella raccolta di racconti Ritorno sul Don (1973). Fra gli anni Sessanta e Settanta, aveva cominciato anche a collaborare a diversi giornali – come Il Giorno e La Stampa –, sui quali pubblica molti racconti che poi entreranno a far parte di alcuni dei suoi libri. Tra questi ricordiamo Il ciliegio sul tetto, che, apparso sulla Stampa nel 1978, diviene il primo capitolo di Storia di Tönle (1978). Con esso, non solo si aggiudicherà i premi Bagutta e Campiello, ma si affrancherà anche dall’etichetta di “scrittore” di guerra. Analogamente, un’altra raccolta di racconti – Uomini, boschi e api (1980) – erano comparsi sulla Stampa e su Tuttolibri. Rigoni Stern tuttavia tornò a impegnarsi scrivendo storie lunghe con L’anno della vittoria (1985), ambientato nel periodo della Prima guerra mondiale, cui fanno seguito L’anno della vittoria (1985), Amore di confine (1986), Il magico kolobok e altri scritti (1989), Arboreto selvatico (1991). Con Le stagioni di Giacomo (1995), infine, si chiude anche quella “trilogia dell’Altipiano”, di cui fanno parte anche Storia di Tönle e L’anno della vittoria. Tra queste sue opere tarde vanno inoltre ricordati anche i racconti di Sentieri sotto la neve (1998), Inverni lontani (Torino 1999), Tra due guerre (2000), l’antologia di scritti di autori vari 1915-1918. La guerra sugli Altipiani Aspettando l’alba (2004), raccolta di importanti testi inediti o rielaborati. Sempre in quell’anno, il drammaturgo e attore Marco Paolini realizza l’opera teatrale Il sergente, ispirata al libro di Rigoni Stern, che, in quattro anni di rappresentazioni, riscosse un grande successo di pubblico e di critica. Da ultimo, ci sono da ricordare I racconti di guerra (2006) e Stagioni (2006), Dentro la memoria (a cura di Giuseppe Mendicino, Rozzano 2007), mentre Il coraggio di dire no. Conversazioni e interviste 1963-2007 (sempre a cura di Mendicino) uscirà postumo (2013). Tra i numerosi riconoscimenti che gli vennero tributati vanno ricordate le due lauree honoris causa da lui ottenute: in Scienze forestali presso l’Università di Padova e in Scienze politiche presso l’Università di Genova. In quest’ultima occasione, tiene una lectio magistralis sull’emigrazione dall’Altipiano verso la Germania alla fine dell’Ottocento, tema sul quale stava scrivendo da alcuni anni una storia destinata a rimanere incompiuta. Sul finire del 2007, però, erano cominciati a manifestarsi i segni di quella malattia che, in breve, lo condurrà alla morte. Si spegnerà ad Asiago il 16 giugno 2008.
Amadigi di Gaula