Ho avuto il piacere di assistere ad alcune delle conversazioni tra Luigi Berlinguer e Fabio Matarazzo che sono state poi pubblicate, alla fine dello scorso anno, nel volume L'università italiana tra passato e futuro per le Edizioni Conoscenza.
È stata l'ultima fatica di Luigi Berlinguer, poi l'età ha avuto il sopravvento e lui ci ha lasciato.
Ho potuto constatare con quale passione Berlinguer ha ripercorso non solo la sua esperienza di docente, rettore, ministro, politico impegnato ma anche come la storia dell'università italiana sia intrecciata alla sua vicenda personale.
Aveva dei modi gentili di rivolgersi all'amico che lo intervistava e a me ascoltatrice e sapeva inframmezzare al rigore del racconto battute ironiche, domande un po' provocatorie e un po' facete. Un'esperienza inedita per me, un confronto appassionato per Fabio che ha rivissuto una stagione politica e professionale intensa.
Berlinguer è stato protagonista da ministro di una importante riforma della scuola alla fine degli anni Novanta. Una riforma che non ha potuto esplicarsi perché abrogata di lì a poco dalla ministra che gli è succeduta. Avrebbe funzionato? Non lo sappiamo. Ma aveva una caratteristica che è mancata alle successive (che non hanno funzionato, anzi spesso hanno danneggiato): aveva una visione unitaria del percorso formativo-educativo e delle finalità del sistema.
Ma, come si diceva, la sua vicenda professionale e politica è legata soprattutto all'università.
Nel libro Luigi Berlinguer, sollecitato e provocato da Matarazzo, con il quale ha condiviso anche anni di lavoro al ministero, racconta l'università italiana dal dibattito all'assemblea costituente fino ai giorni nostri, affrontando con spirito critico e autocritico tutte le vicende politiche, le discussioni parlamentari, i percorsi di riforma avviati e poi interrotti. Fino a ragionare dell'importanza dell'apertura all'Europa con il processo di Bologna e delle innovazioni nell'organizzazione del sistema con l'autonomia, nella didattica ecc., senza dimenticare gli ultimi appesantimenti burocratici su temi cruciali come gli ordinamenti, il reclutamento e i concorsi, la valutazione.
Ma Berlinguer con grande lucidità sapeva guardare anche al futuro della nostra università. Riflettendo sui grandi cambiamenti nel mondo del lavoro, sulla pervasività delle nuove tecnologie e dell'intelligenza artificiale. In conclusione del libro egli manifestava l'impressione che in molti aspetti il sistema universitario è legato a un passato che non c'è più. «Ecco perché – concludeva – sembra opportuno superare gli attuali vincoli e lasciare libero, chiunque lo desideri, di utilizzare i mezzi consentiti dalla tecnologia per formare autonomamente un percorso accademico […] Il digitale permette di optare per insegnamenti ritenuti più congeniali ai propri interessi e per docenti più motivati e più capaci di suscitare interessi e attenzione». E prefigura un sistema che consenta agli studenti di seguire corsi e lezioni di docenti diversi in facoltà diverse. «Ne risulterebbe stimolato un atteggiamento antidogmatico quanto mai produttivo».
Pur consapevole della difficoltà di rimuovere assetti e confini consolidati così sollecitava noi lettori: «Nel futuro dobbiamo entrare consapevoli dei cambiamenti necessari. Dal futuro non possiamo farci spaventare o travolgere».
Con lui se va una mente lucida e un uomo colto e competente, capace di mettere la politica al servizio del bene comune. Questo libro rimane un testamento importante per chi ha a cuore l'università.