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Cultura

Artisti si nasce o si diventa?

Premessa

Quello dell'Artista, nell'immaginario collettivo, non è mai stato considerato un lavoro, tutt'al più un mestiere (o forse una missione, poeticamente una vocazione), men che mai una professione, ma una cosa è certa: artisti, scienziati e inventori hanno una loro "madre terra" proprio qui, in Italia.

Restando al di fuori del campo della filosofia dell'arte, il senso comune immagina quasi sempre l'artista come "un'isola-che-non-c'è", con il mare della realtà intorno, ma senza una genitura precisa, né un futuro disegnabile e disegnato; al Maestro occorrono studio e formazione, purché sia dotato di un patrimonio innato, di un corredo spirituale e cognitivo, determinato misteriosamente, precedente al percorso formativo. Dopo, non bisogna necessariamente che vi sia qualcosa, a parte la fortuna o il destino. Sicuramente l'Artista potrebbe essere definito un soggetto visionario, ribelle alla disciplina, appassionato, e tanto altro, il che lo predispone a influire sull'evoluzione della società, cambiandola attraverso l'atto creativo.

Questa "visione corrente" dell'Artista (con la A maiuscola, per alludere sia alla generalità e ampiezza del termine che alla superiorità) è simile a quella del rivoluzionario: andare avanti, andando contro le regole. Ma del rivoluzionario, purtroppo, non ha l'organizzazione: gli artisti sono ribelli solitari, che lavorano alla catena di trasmissione in verticale, da maestro ad allievo; incompresi dai contemporanei, ammirati per il genio e il talento, dote volubile, capricciosa, tanto per dire "Non è da tutti". Non lavorano: creano. Non producono: compongono. Il tributo reso alla società dall'artista (mai scontato?) è di natura difficilmente quantificabile, a meno che non intervenga la mediazione della critica e del grande pubblico, dopodiché ne conseguirà il riconoscimento forse anche economico, in virtù del piacere estetico procurato ad altri, pochi o molti, ma ... soprattutto agli artisti stessi, che, si sa, si divertono per primi, quando "lavorano". Insomma, per la sua natura fantastica la creazione artistica, mancando sia del sudore della fronte che della riconoscibilità dell'obiettivo, appare un prodigio al punto tale da non poter essere chiamato lavoro. Ma una fortuna sì.

A parte il fatto che gli strumenti musicali tecnologicamente parlando sono anche macchine e relazionarsi con essi per imparare a "usarli" da parte dell'interprete significa impiegare fatica e tempo; a parte il fatto che senza materiali e attrezzi non esiste tratto pittorico o bassorilievo o balletto che compaia dal nulla, collocandosi improvvisamente nella dimensione spazio-temporale: ogni opera d'arte è uno sforzo poietico che, pur sottratto alla catena di produzione seriale, entra in un circuito, manovalanze comprese, di fruizione e quindi di consumo. La tensione produttiva del pezzo unico ne fa già in pectore un'opera d'arte, distinguendo la fucina dell'artista dal concetto di fabbrica e da quello di utilità, intrinseci al prodotto artigianale/industriale (a cui non si nega certo la tendenza alla perfezione).

A prima vista, per la mancanza di un attributo di utilità e di conseguenza la non legittimazione tra le professioni utili, la creazione artistica è più simile a un progetto di ricerca, un viaggio all'interno dell'io, un atto rivoluzionario, che a un "fatto" o a una professione. Sicuramente si tratta di una professionalità non convenzionale, e di un utile misurabile in parametri non convenzionali: questo è acclarato, tanto che una parte del pubblico dei fruitori (i destinatari o consumatori che attribuiscono valore economico concreto, imprenditoriale del sistema delle Arti) ne apprezza enormemente il valore estetico; pur sfuggendo loro il vero oggetto dell'arte, in particolare per le arti performative, di natura effimera e temporale per definizione.

Ma... la Maestria non piove dall'alto; come risaputo ormai in Italia esistono dei percorsi formativi appositi, la cui preistoria affonda le radici in alcune istituzioni socio-culturali dell'età umanistica, Conservatori e Accademie, nel corso dei secoli fondati e ri-fondati, fino a giungere a una svolta decisiva a fine XX secolo.

In epoca tardo-rinascimentale i saperi artistici, fuoriuscendo dalla visione medievale del Trivio e del Quadrivio, permangono nella visione umanistica gelosamente custoditi come patrimoni corporativistici, seppure all'ombra di Istituzioni religiose e assistenziali, oppure di laboratori e studi di maestri di arti figurative, sotto la protezione del mecenatismo aristocratico e papalino. Ciò rappresenta quanto immenso fosse il valore attribuito alle Arti e agli Artisti in tali epoche e quanto contribuisse ad alimentare l'immagine di potere nelle monarchie e aristocrazie capaci di vantare gesta di mecenatismo artistico. Sostanzialmente lo status di dipendenza dell'artista dai poteri nobiliari e clericali comincia a vacillare agli inizi del XIX secolo, nell'alveo dell'ascesa della borghesia. Contestualmente matura la consapevolezza del diritto all'istruzione e della necessità dell'evoluzione della società civile attraverso lo sviluppo delle scienze e delle arti, mentre queste ultime continuano a tramandare le complicatissime regole del contrappunto, dell'armonia, oppure delle tecniche pittoriche e scultoree raccolte in preziosi trattati, celati più che conservati in fondi bibliotecari vastissimi e antichi. Se non fosse per l'esistenza innegabile dei Conservatori e delle Accademie nell'Ottocento, ormai dotati di un Direttore a capo dei percorsi didattici, autorizzati al rilascio di titoli, molto più oscuro apparirebbe il cammino degli studi dell'artista. Gran parte di tali saperi rimaneva occultato da un elemento di incomunicabilità, che ne costituiva in parte il fascino, attribuendo un'aura talvolta "maledetta" al virtuoso, e da cui deriva probabilmente il rapporto controverso maestro-allievo insito nella didattica artistica, quasi fino ai nostri giorni. È proprio con la discussa riforma Gentile che la didattica delle arti subisce un processo di emarginazione: l'illustre filosofo non sa come definire, piazzare, articolare nella sua visione pedagogica la figura dell'Artista. A cosa serve, che fa in Italia, e nel mondo, oltre che essere riconosciuto come un consacrato a cui si perdonano le mille stranezze e bizzarrie del carattere. L'acceleratore su cui spinge il secolo breve fa sì che tali percorsi vengano a essere strutturati, dopo la stasi del '900 successiva alla riforma Gentile, a partire dal risveglio normativo di fine secolo scorso, attraverso un incessante lavorio di decretizzazione ministeriale, durato più di un quarto di secolo, disciplinante la didattica dell'alta formazione artistica e musicale, comprensivo di declaratorie, campi disciplinari e sbocchi professionali. Così Accademie di Belle Arti e Conservatori di Musica ed anche Accademia di Danza, Accademia di Arte Drammatica etc., sono finalmente inquadrati nel comparto binario della Formazione Superiore insieme alle Università, da cui si distinguono per ragioni scaturenti dalla premessa precedente, ma con le quali tali istituzioni hanno condiviso una riforma che ha fatto transitare entrambi i comparti da un vecchio a un nuovo ordinamento (le leggi 508 e 509 del 1999).

L'odissea dell'AFAM: ascesa e suspence della città dell'arte

Facciamo un passo indietro tra i settori della conoscenza nella storia dell'AFAM (acronimo per Alta Formazione Artistica e Musicale), attraverso un lungo e impervio percorso di circa trent'anni, per giungere alla tipologia di Istituzione che attualmente lo connota nel comparto Università e Ricerca, come indirizzo accademico della filiera artistica e musicale.

Tra Accademie e Conservatori appare subito evidente una differenza storica: istituti d'arte e licei musicali, un tempo inglobati nei percorsi delle Accademie, ne furono scorporati nel 1923 nella fase riformativa di cui sopra, mentre i Conservatori conservarono la scuola media annessa fino agli inizi del terzo millennio. La mancanza nei Conservatori di un ciclo di scuola superiore ha determinato più di uno scompenso nella progettualità di formazione e nella costruzione della filiera musicale, sanati solo nel 2014/2015 con l'andata a regime dei licei musicali. Quello che per le Università è stato il nuovo ordinamento, per il comparto artistico musicale e coreutico è stata una rivoluzione necessaria, l'ordinamento, che ha generato letteralmente l'AFAM.

Esso comprende istituzioni accademiche, distinte nei diversi indirizzi delle Arti figurative, performative e figurativo-performative, Conservatori di Musica e Accademie (di belle arti, di arte drammatica, di danza) e poi Istituti superiori per industrie artistiche (ISIA) e Istituti superiori di studi musicali (ISSM).

In particolare i Conservatori erano in passato avvicinati alle istituzioni "atipiche", (con una scuola media annessa, in teoria, in nulla differente dalla Scuola Media Unica obbligatoria; in pratica, sezione scolastica per assolvere all'obbligo di frequenza senza uscire dal Conservatorio).

Per quanto riguarda i docenti dell'istruzione artistica e musicale, dopo il 1936, un unico concorso nazionale nel 1990, grazie al quale gran parte dell'organico docente, attualmente ormai in fine carriera, è stato assunto. Prima di questo concorso solo una serie di graduatorie per soli titoli, basate sul criterio della chiara fama e su convenzioni stipulate con gli enti, spesso terreno di fioritura di nepotismo e clientelismi. Lo svecchiamento inizia il 16 aprile 1994 con l'emanazione del Decreto Legislativo n.297/1994 (Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni grado - G.U. n. 115 del 19/05/1994) che istituisce al Capo II gli istituti di istruzione secondaria e artistica (art. 63: istituzione dei Conservatori di musica, delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale d'arte drammatica, dell'Accademia nazionale di danza e gli istituti superiori per le industrie artistiche).

Il 21 dicembre 1999 la legge 508 sancisce la riforma dei Conservatori e delle Accademie insieme alla riforma delle università (L. 509/99). l'Italia patria delle belle arti e della musica, con il suo patrimonio inestimabile di produzione artistica e di talenti, si dota finalmente dell'AFAM.

Una storia di decreti

L'applicazione di questa legge, durata più di un quarto di secolo, riguarda tutte le articolazioni del comparto, a partire dal DPR 132 del 2003, che regolamenta l'autonomia statutaria delle istituzioni AFAM, al DPR 212 del 2005 recante la disciplina per la definizione degli ordinamenti didattici delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica.

Il 2009 è un anno fondamentale in questo: con il DM 89 (Accademie di Belle Arti) e il DM 90 (Conservatori di Musica) del 3 luglio 2009 si definiscono Aree disciplinari, settori artistico-disciplinari, declaratorie e campi disciplinari dei conservatori.

Una crescita anche sul piano dell'arricchimento dei percorsi, con l'introduzione di trienni e bienni di "Nuove Tecnologie", i linguaggi contemporanei con relativi nuovi settori, che risvegliando la curiosità di giovani aspiranti artisti, determina negli anni Venti di questo millennio un aumento delle iscrizioni. All'aumento di richiesta è corrisposta una fase di investimento che ha comportato sia l'approvazione di ulteriori percorsi, che l'ampliamento degli organici e il riconoscimento di altre Istituzioni, nate come da costole d'Adamo da sedi staccate o per effetto di statizzazioni.

Tra le nuove carriere l'istituzione dell'indirizzo di Maestro Collaboratore, che si affianca alla risoluzione della cosiddetta questione delle "seconde fasce". Aumento del lavoro, fasi alterne di formazione di un precariato (docenti giovani, forniti di curricoli di altissimo livello) e successivi decreti di stabilizzazione.

La parabola giunge al culmine nel 2021/2022, quando poi improvvisamente si manifesta la necessità, impellente, del decreto contenente il regolamento sul reclutamento: cosicché dal 2022/2023 e 2023/2024 con i concorsi riservati DM 180 rimangono fuori una manciata (in realtà poche migliaia nel panorama generale di un settore già limitato) di precari, con tanto di procedura d'infrazione da parte della competente Commissione europea. E viene fatta fuori la mobilità.

Intanto, il Ministero continua a macinare decreti, segnale certamente positivo che l'AFAM resta importante per il Paese, come dimostra l'aumento costante dell'utenza straniera. L'ultimo, recentissimo, gradino evolutivo degli ordinamenti didattici si ha con il riordino dei settori disciplinari, Decreto Ministeriale 128 del 12 febbraio 2025.

Ma contemporaneamente, iniziano i "tagli" alle facoltà assunzionali... I lavoratori dell'AFAM sono lavoratori della conoscenza, dipendenti pubblici, con un CCNL e un inquadramento specifico, diverso da Università e Ricerca, ma equiparato in quanto a livello di formazione. Considerato un settore speciale, nei gradi inferiore e superiore dell'istruzione la filiera artistica e musicale è caratterizzata da una didattica più specifica che generalista. Tutti i lavoratori dell'AFAM docenti, personale tecnico-amministrativo e bibliotecario, figure di supporto alla didattica contribuiscono, per le rispettive competenze, alla formazione dei futuri professionisti del settore artistico e musicale, compresi didatti e ricercatori, le frontiere artistiche dei prossimi trenta, quarant'anni. Una immensa opportunità per gli studenti AFAM, da orientare verso prospettive occupazionali concrete, nella carriera concertistica, nella ricerca, nella didattica.

Ad essi lo Stato deve offrire uguali possibilità di accesso rimuovendo ogni elemento di svantaggio o pregiudizio. Studenti che hanno diritto alla formazione sul piano tecnico e deontologico, sviscerando l'oggetto dell'arte; è questo il fine del "lavoro" dei formatori AFAM, che servirà ad innalzare il livello culturale non solo del nostro paese, ma della comunità internazionale.

Nel nostro contratto è indicato didattica, produzione, e ricerca. Un settore piccolo, conta poche migliaia, circa 12.000 docenti e altre pochissime migliaia (3.000) di personale tecnico, amministrativo, bibliotecario, ma altamente specializzato e di conseguenza con un rapporto docente/studenti inferiore all'università, per la natura stessa della specificità didattica individuale e di laboratorio, piuttosto che collettiva. Sono artisti gli stessi docenti, a fianco al personale non docente per gli aspetti tecnico-amministrativi di istituzioni della PA, non meno importanti per il corretto svolgimento e conclusione del percorso degli studenti. Sebbene dipendenti del MUR insieme all'università, essi permangono non equiparati nel trattamento economico. Altro?

La navicella dell'AFAM persevera tra legislature e stanziamenti "a fisarmonica", alternando regimi contenitivi a momenti di ripensamento, lasciandosi dietro una scia di naufraghi, pezzi di precariato, di pendolarismo cronico, di percorsi legislativi faticosi, e tasse troppo elevate, per rappresentare un diritto allo studio veramente democratico.

 

L'autore

Rosa Montano

Docente di Accompagnamento Pianistico presso il Conservatorio San Pietro a Majella, Napoli