Ormai da qualche decennio il rapporto tra la scuola, in particolare la scuola secondaria di secondo grado, e la società italiana nel suo complesso è segnato da un importante pregiudizio, quasi una colpa da espiare: il mismatch, cioè la mancata corrispondenza della domanda di lavoro da parte delle imprese con l’offerta da parte dei lavoratori. I giovani non trovano lavoro perché non sono abbastanza specializzati, anzi, sono le imprese cercare, invano, manodopera qualificata. La conseguenza logica ed immediata è che diventa indispensabile aggiornare la scuola, obsoleta e impreparata, e confezionare al più presto una nuova riforma, vicina alle esigenze delle imprese.
Il contesto e l’innovazione
Probabilmente, a margine del nostro ragionamento, è il caso di analizzare meglio il contesto produttivo del nostro paese e verificare la correttezza di questo pregiudizio. Recenti dati Istat[1] riportano che «la presenza di un elevato numero di micro-imprese cui sono associati livelli di produttività, propensione all’export e all’investimento particolarmente contenuti depotenzia la performance complessiva del nostro sistema produttivo» e che, d’altro canto, «Le imprese innovative godono di significativi vantaggi nelle performance economiche e nella propensione all’export, anche a parità di dimensione media di impresa». Ne possiamo dedurre che in realtà le piccole e medie imprese che caratterizzano il sistema produttivo italiano, investono poco in innovazione e ricerca (scelta che premia le aziende che lo fanno) e che, in realtà, il mismatch va capovolto: non la scuola è inadatta alle aziende del presente, ma sono le aziende (e l’intero contesto produttivo del Paese) a non saper immaginare, progettare e costruire una economia che guarda al futuro.
Questo capovolgimento di prospettiva diventa essenziale se guardiamo alla scuola con occhio riformatore. Le piccole e medie imprese italiane non investono né in ricerca né in formazione continua. Il rinomato “life long learning” che dovrebbe essere l’anima dello sviluppo della conoscenza e delle competenze anche in ambito produttivo, oltre che sociale e culturale, non è praticato in Italia. Se una azienda cercasse operai specializzati, dovrebbe, intanto adeguare le retribuzioni e formare all’innovazione la propria forza-lavoro o i giovani neoassunti, con lo sguardo rivolto alle due grandi questioni che attraversano il pianeta: la presenza sempre più invasiva dell’Intelligenza artificiale e l’emergenza climatica. Purtroppo, invece, quell’azienda non fa altro che cercare le competenze necessarie qui ed ora, già pronte e formate dalla scuola, magari del territorio, al netto di una prossima, possibile delocalizzazione e senza contare che la conoscenza che oggi è indispensabile, domani è già obsoleta.
L’impresa, ma ancor più il legislatore, che sapesse guardare alla complessità di questo contesto, dovrebbe essere consapevole del fatto che studentesse e studenti meglio formati rispetto ai saperi generali, esercitati allo spirito critico, abituati ad incrociare e confrontare argomenti e discipline, potranno essere maggiormente capaci di risolvere i problemi inediti che già il presente ci pone e saranno pronti ad affrontare le sfide ancora ignote del futuro. Invece, coloro che si formano nello stretto contesto produttivo del territorio, con la formazione affidata alle competenze dei tecnici dell’azienda locale, non sempre potranno disporre degli strumenti culturali e cognitivi per affrontare le difficoltà e le innovazioni di un contesto ormai globalizzato e in continuo cambiamento.
La politica scolastica
Il governo Meloni ed il ministro Valditara, di fronte alle sfide politiche dell’istruzione, dello sviluppo e del lavoro, hanno immediatamente scelto la strada più semplice, confortati da una lunga elaborazione precedente di stampo neoliberista, in cui l’economia è il fondamento delle scelte politiche, in cui si formulano “Job’s Act” e “Buona Scuola” e che declinano gli obiettivi del NexGeneretionEU con le azioni del PNRR Draghi – Bianchi, tra cui appunto la riforma degli istituti tecnici e il superfinanziamento degli ITS. È proprio a partire dalla legificazione del governo tecnico post pandemico che prende corpo parte della decretazione successiva sulla scuola secondaria. Eppure, il ministro Valditara, che avevamo conosciuto come relatore della legge 240/2010 (cosiddetta Legge Gelmini che ha tagliato un miliardo al Fondo degli atenei italiani, ridotto i docenti e reso precari a vita molti ricercatori), ha voluto costruire da questi autorevoli spunti, una riforma tutta sua. Lo ha fatto anche con il supporto del Gruppo di Lavoro insediato nel 2023 e coordinato dal Prof. Bertagna, che sin dai tempi della ministra Moratti si dimostra una preziosa risorsa di elaborazione per i governi di centro-destra in fatto di politica scolastica. Sebbene di questo gruppo di lavoro non si sia avuta alcuna notizia, né pubblicazione di decreto istitutivo, come diversamente era accaduto nel 2001, le proposte[2] rappresentate compongono un disegno complessivo che consente l’inquadramento anche delle altre riforme avviate e, in parte già realizzate, nella scuola secondaria di secondo grado, a partire dalle Linee guida sull’Orientamento e dalla connessa figura del tutor (cavallo di battaglia, insieme al metodo della personalizzazione, del pensiero pedagogico del Prof. Bertagna), fino alla esplicita determinazione di ridurre a quattro anni tutti[3] gli indirizzi dell’istruzione secondaria.
Tale determinazione trova compiuta realizzazione nella riforma di punta del ministro Valditara, la Legge 121/2024[4] istitutiva della filiera formativa tecnologico-professionale. Già a partire dal nome “filiera” possiamo comprendere quale sia l’ottica, economicistica, con cui si guarda alla Scuola, dimenticandone il ruolo di “organo costituzionale” della Repubblica per usare l’espressione di Piero Calamandrei[5]. Ci potremmo chiedere, inoltre, quale sia il prodotto finale di questa filiera e ci viene in mente che, probabilmente, in esito al tanto pubblicizzato percorso del 4+2 ci sono proprio loro, i nostri studenti, il prodotto finito, pronto all’uso per la macchina economica di cui saranno un efficace ingranaggio, denominati capitale umano o risorsa umana, ma non più immaginati come i cittadini e le cittadine che realizzano «il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Non abbiamo dubbi, pertanto, sulla natura ideologica del provvedimento, nato per soddisfare «le esigenze del settore produttivo nazionale» e realizzato mediante un intreccio di diversi atti normativi. Infatti, nel corso della complessa elaborazione della Legge 121, che descriveremo più avanti e che chiama in causa numerosi soggetti istituzionali, pubblici e privati, si è reso necessario, per accelerare i tempi di attuazione, avviare la sperimentazione quadriennale per gli istituti tecnici e professionali. La quadriennalità, non essendo ordinamentale, prevede la partecipazione delle scuole all’avviso promosso per decreto dal ministro, previa delibera di adesione da parte del Collegio dei Docenti.
Cosa è necessario deliberare per aderire alla sperimentazione[6]?
Andiamo con ordine:
La riforma e il ruolo delle Regioni
Quanto descritto sopra riguarda i progetti di sperimentazione quadriennale e gli adempimenti previsti per le scuole, ma la Legge 121/2024 è un più ampio provvedimento nato per soddisfare i bisogni formativi del sistema delle imprese. Come dicevamo, l’obiettivo è la formazione di professionalità funzionali alle aziende, non realizzata come formazione continua in servizio, ma a partire dalla scuola e sempre con lo sguardo rivolto ai PCTO e all’inserimento lavorativo. La legge disegna nell’istruzione tecnica e professionale una nuova organizzazione con un diverso equilibrio istituzionale, infatti le Regioni, insieme agli Uffici Scolastici Regionali, in funzione delle esigenze specifiche dei territori, possono istituire reti denominate «Campus» di cui possono far parte i quadriennali sperimentali, gli ITS, le altre secondarie di II grado, le Università, le istituzioni AFAM e i soggetti erogatori dei percorsi di IeFP e IFTS. Cade l’uniformità nazionale con la frammentazione di un curricolo progettato su base locale e le istituzioni scolastiche perdono il ruolo di titolarità della programmazione, stabilendo relazioni stabili di coprogettazione dell’offerta formativa con le aziende e realtà produttive del territorio. Dal punto di vista della formazione, poi, oltre all’abbreviazione dei cicli quinquennali ordinamentali, si realizza di fatto l’impoverimento di tutti i percorsi, compresi quelli afferenti alla formazione professionale. Infatti, con l’adesione alla filiera, gli studenti che hanno frequentato percorsi quadriennali IeFP possono essere ammessi direttamente all’esame di Stato e accedere agli ITS Academy, in deroga al previo sostenimento dell’esame preliminare. L’esonero dall’esame preliminare può avvenire anche nel caso in cui il percorso frequentato ha ottenuto la validazione attraverso un sistema di valutazione dell’offerta formativa erogata predisposto dall’INVALSI. È evidente che l’eliminazione dell’esame obbligatorio indebolisce il valore complessivo dei percorsi IeFP, che sono di competenza delle Regioni o che, in regime di sussidiarietà, possono essere attivati anche dagli istituti professionali statali.
Le ricadute sugli organici e la reazione della scuola
Tra le conseguenze della “riforma del 4+2”, considerata la quadriennalità obbligatoria delle sperimentazioni, non possiamo trascurare la ricaduta sugli organici del personale. Con la riduzione di un quinto del tempo scuola, senza la predisposizione di attività didattica in compresenza, appare difficilmente credibile e comprensibile l’invarianza delle dotazioni organiche, a cominciare dal taglio del 20% sulle cattedre di sostegno.
Comunque, nonostante due anni di martellante propaganda e le forti pressioni esercitate dall’amministrazione a tutti i livelli, è ancora evidente che famiglie e studenti manifestano una chiara diffidenza[8] e che la stragrande maggioranza del corpo docenti ribadisce, con delibere contrarie, la forte opposizione della scuola alla riduzione della qualità rappresentata da una scuola secondaria di II grado a quattro anni. La FLC CGIL ha sostenuto questo movimento di opposizione interno alla scuola e ribadisce la propria contrarietà alla visione ridotta dell’istruzione che si ritrova nella filiera tecnologico-professionale e che, secondo quanto dichiarato dal ministro Valditara, addirittura procederà nel segmento terziario, ovvero nella prospettiva di riconoscere ai percorsi ITS i crediti equivalenti al primo biennio universitario. Nel tentativo di sponsorizzare presso l’opinione pubblica questo segmento, si prospetterebbe pertanto la possibilità di conseguire con il sistema dei crediti, la laurea triennale con un solo anno di studi universitari.
È evidente il rischio di ridurre la funzione educativa globale della scuola e dell’istruzione, con un ovvio impatto sugli organici, ma soprattutto con una ricaduta significativa sulla qualità e sul valore formativo di una scuola abbreviata, che finisce per anteporre i bisogni delle imprese al ruolo dei docenti e delle autonomie scolastiche.
[1] Istat | Rapporto annuale 2023: https://www.istat.it/storage/rapporto-annuale/2023/Capitolo-4.pdf
[2] https://www.flcgil.it/scuola/il-progetto-del-ministro-elaborato-dalla-commissione-bertagna-2023-tutta-la-secondaria-a-quattro-anni-come-la-filiera-tecnologico-professionale.flc
[4] https://www.flcgil.it/leggi-normative/documenti/leggi/legge-121-dell-8-agosto-2024-istituzione-della-filiera-formativa-tecnologico-professionale.flc
[5] Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN), Roma 11 febbraio 1950 [Pubblicato in Scuola democratica, periodico di battaglia per una nuova scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950, pp. 1-5].
[6] La sperimentazione quadriennale della Filiera tecnologico-professionale è stata avviata per la prima volta con il D.M. 240/2023 e bandita per l’anno scolastico 2025/26 con il D.M. 256/2024
[7] Cfr. la Scheda Orientarsi nell’Istruzione Tecnico Professionale per le diverse competenze Stato/Regione e la presenza di soggetti privati
[8] A settembre 2025, secondo notizie di stampa, risultano deliberate sperimentazioni quadriennali solo in 428 scuole sul totale degli istituti tecnici e professionali del Paese, con 10.500 alunni iscritti (7.279 al primo anno, 3.207 al secondo), circa l’1,9% del totale.