Attualità

24 febbraio 2023

SPECIALE CONGRESSO: Pace, ambiente, democrazia. Il ruolo della conoscenza e dei movimenti sociali

Pace, ambiente, democrazia. Queste le tre parole intorno alle quali la FLC CGIL ha costruito la tavola rotonda che si è svolta durante la seconda giornata congressuale a Perugia. Una tavola rotonda che ha visto la partecipazione di Luciana Castellina, giornalista e scrittrice (peraltro presente al congresso costitutivo della FLC CGIL nel lontano 2006) Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, Fabiana Cruciani, dirigente scolastica ITTS “A. Volta” di Perugia, Bianca Chiesa, coordinatrice nazionale UDS, Paolo Notarnicola, coordinatore nazionale Rete degli studenti medi, Francesco Sinopoli, Segretario generale FLC CGIL e la giornalista Giorgia Rombolà.

Tre parole, pace, ambiente, democrazia che sono esattamente la chiave per definire il ruolo che la conoscenza può avere nel suo dire no a tutte le guerre. Ad un anno dallo scoppio del conflitto in Ucraina infatti (che non è il solo, ricordiamolo, nel mondo) si parla di tutto tranne che del vero motivo per cui questa e tutte le altre guerre nel mondo esplodono. E cioè dell’insostenibilità del modello di produzione e consumo industriale che abbiamo ormai assunto come normale e che sta già producendo conseguenze devastanti per l’umanità.

“La questione ecologica distrugge l’umanità”, ha detto Luciana Castellina. “Questo modello di sviluppo ha dei limiti. Non ci sono più le materie prime per continuare a fare quello che si è fatto finora. E così si aggrava la competizione per appropriarsi dei mercati, delle terre, delle vite degli altri. Non si tratta solo di mettere fine a questa guerra ma a tutto questo meccanismo. E la cosa più grave è che nessuno si rende conto di questo. È la fine di un’epoca. Ma nessuno ne parla”.

Ancor più grave che oggi si parli molto più di guerra e troppo poco di pace. Che parlare di pace stia diventando quasi un tabù.  Sono poche le eccezioni, come quella del quotidiano Avvenire, racconta Marco Tarquinio, che con la sezione in prima pagina “Non solo Kiev” richiama giorno per giorno un conflitto in corso, fa il punto della situazione e prova a rispondere alla complessa domanda “Come si fa la pace?” suggerendo la necessità di definire un alfabeto dell’umanità minimo con cui governare le differenze nel mondo. “Perché la guerra si fa in tanti modi. La pace in un modo solo: non permettendo all’altro di dire come dobbiamo vivere”.

Fabiana Cruciani, definendosi “un’artigiana della scuola che tutti i giorni cerca di parlare con i ragazzi”, racconta di aver preso un’iniziativa condividendo con i suoi studenti il suo “quaderno degli esercizi di pace”, un modo per sperimentare ogni giorno la possibilità di mettere in pratica piccole azioni che vanno dal rispetto, al riconoscersi, a prendersi cura l’uno dell’altro. “Un lavoro che non da frutti immediati ma credo sia l’unico modo per sviluppare delle idee nelle giovani generazioni. Abbiamo bisogno di idee. E i nostri giovani, specie dopo due anni di pandemia, hanno bisogno di riprogettare il loro futuro a partire dalla speranza. Noi abbiamo l’obbligo di aiutarli e dire loro che, tutto sommato, quella speranza c’è”.

Sul tema di percezione e voglia di pace, influisce anche un determinato tipo di narrazione delle vittime, lo ha detto Paolo Notarnicola. “Le vittime diventano eroi. Martiri. Tutto questo allontana il tema centrale: la guerra è orrore, non è un modo per difendere la patria, non ci fa diventare eroi. Il ruolo della scuola, della conoscenza, deve essere quello di slegare la pace dalla contrapposizione della guerra. La pace deve essere in grado di reggersi a sé.”

E quando le spese militari superano quelle destinate alla scuola? Questo è un altro enorme problema. Scoppia una guerra e il diritto allo studio viene a mancare già per definizione. Subito dopo i fondi vengono tutti indirizzati all’armamento. Subito dopo si parla di abbassare l’età minima per arruolarsi, di far fare ai nostri studenti alternanza scuola lavoro nell’esercito. Ma la formazione ha e deve avere un ruolo in tutto questo. E parlare di pace, quindi, significa non solo parlare di ambientalismo ma anche di antimafia e di tutte le forme di microconflitto presenti. Significa riconoscere una matrice di classe rispetto alla visione della guerra, riconoscendo che le guerre sono sempre dei potenti sulla pella di chi già vive in condizioni fragili. E nelle scuole questo si dice troppo poco. Lo ricorda Bianca Chiesa quando dice che “la scuola ha un ruolo importantissimo nello scardinare la visione eurocentrica che sta alla base della lettura di questo conflitto e che la prima risposta per creare una cultura di pace è il ripristino dei luoghi di partecipazione nei luoghi della formazione, a scuola”.

Ed è esattamente dal basso che dobbiamo partire. Arriviamo quindi alla democrazia. Mettiamo in discussione questo modello dal basso, perché evidentemente dall’alto la scelta è diversa.

“Abbiamo chiesto ai Ministeri dell’Istruzione e dell’Università che il 24 febbraio, anniversario dell’invasione dell’Ucraina, sia proclamata giornata di mobilitazione nazionale per la pace e la convivenza democratica, promuovendo nelle istituzioni scolastiche e negli atenei momenti corali di riflessione” ha detto Francesco Sinopoli. “Non siamo stati ascoltati. Lo faremo noi. L’appuntamento dopo Perugia è nelle scuole, nei luoghi di partecipazione, nelle piazze. Perché quello che temevamo lo scorso anno, e cioè che a causa della martellante comunicazione si arrivasse ad una assuefazione alla guerra è successo. Noi e i nostri ragazzi ci stiamo abituando alla guerra. E non è quello che vogliamo. Non facciamo attaccare la guerra alla nostra pelle. Perché dalla guerra, lo sappiamo, nessuno ritorna. Nè i morti, nè i vivi”.

Rivedi la diretta della tavola rotonda 

L'autore

Manuela Colaps