Politiche educative

18 agosto 2022

Come, dove, quando e a quali insegnanti aumentare gli stipendi: ce lo spiega la Fondazione Agnelli

Anche quest’anno si presenta il tormentone di agosto: un articolo a firma di Andrea Gavosto (Repubblica, 15/8/22).

Dopo anni in cui etichettava i docenti come parassiti da riqualificare, il direttore della Fondazione Agnelli ci spiega che gli stipendi dei docenti sono bassi perché gli insegnanti lavorano poco, non si aggiornano, lavorano in nero e poi molti di loro non fanno nulla oltre le 18 ore di lezione.

Gavosto ammette che questi dati non riguardano tutti i docenti, ma il discredito va su tutta la categoria. Quindi per avere stipendi più alti gli insegnanti dovrebbero effettuare A SCUOLA le attività che svolgono a casa, raggiungendo così le 33 ore settimanali della media europea.

Non siamo d’accordo!

Il lavoro di un insegnante è già un lavoro a tempo pieno, e la categoria ha sempre dimostrato, come anche nella recente pandemia, la volontà e la capacità di tenere in piedi la scuola, spesso a proprie spese, riuscendo a far scuola anche in condizioni altamente complesse, supplendo a politiche scolastiche nazionali inesistenti e/o inadeguate.

E’ vero, ci sono insegnanti che non svolgono adeguatamente i propri compiti; come ci sono medici che fanno parlare di malasanità; poliziotti e carabinieri che si macchiano di crimini; funzionari pubblici che si fanno corrompere.

In ogni categoria vi sono persone indegne del ruolo ricoperto; ma nessuno si sognerebbe mai di gettare discredito su medici, poliziotti, carabinieri, funzionari pubblici, solo per la presenza di alcune “mele marce”.

Eppure questo fa la Fondazione Agnelli nei confronti degli insegnanti.

L’articolo citato è un pretesto per attaccare uno degli aspetti più importanti e costituzionalmente rilevanti: l’autonomia della scuola e di ciascun docente. L’obiettivo è sottoporre il lavoro dei docenti al vaglio di vari enti, esterni al mondo della scuola e quasi tutti privati.

Ma la proposta di Gavosto non regge neanche logicamente: o ammettiamo che gli insegnanti, alternando il lavoro a casa a quello a scuola, già rientrano nella media europea, ed è quindi più urgente migliorare le strutture ed eliminare la burocrazia, che negli ultimi anni è sempre più invasiva e, spesso, inutile, e aiutare gli insegnanti a lavorare meglio, oppure affermiamo, che i docenti sono per la maggior parte dei disonesti, fanno finta di lavorare e quindi, per essere controllati, devono svolgere tutte le attività a scuola.

Se è vera la prima ipotesi, non serve costringere gli insegnanti a un orario svolto interamente a scuola; una scelta di questo tipo richiede spazi attrezzati, adeguati, ovvero “individuali”, che devono restare aperti per il tempo necessario (non vogliamo che i docenti portino clandestinamente a casa prove e verifiche, lavorando dopo cena, vero dott. Gavosto?).

Se invece è vera la seconda ipotesi, e cioè che gli insegnanti sono degli imbroglioni (insulto volgare, indegno di chi ricopre il ruolo di direttore di una fondazione culturale), allora si metta in campo, seriamente, un sistema di valutazione del lavoro degli insegnanti, ma non di valutazione della partecipazione a corsi fittizi o valutazione di lavori di assistenza al Dirigente Scolastico.

La valutazione deve riguardare il lavoro vero dei docenti, quello che nessuno vuole vedere (preparazione delle lezioni, correzione compiti, studio, ricerca, aggiornamento, rapporti con le famiglie).

È necessario un serio corpo ispettivo, che in ogni scuola, ascolti insegnanti, studenti e famiglie per capire ciò che non va. E così, forse, si scoprirebbe che “i mali” della scuola sono altri, rispetto a quelli che vorrebbero far credere.

Molti riguardano la struttura stessa del sistema scolastico: le classi pollaio, la mancanza di spazi adeguati per una didattica più laboratoriale e meno passiva, la carenza di attrezzature, l’impossibilità di compresenze per una didattica più inclusiva; questioni per le quali è indispensabile un uso intelligente del PNRR, e di cui non scorgiamo segnali.

Tante altre scelte poi andrebbero operate per ridare dignità ad un lavoro sempre più mortificato e ingabbiato da cavilli e vincoli che lo depotenziano.

D'altra parte di che ci meravigliamo? Viviamo in un Paese che ha sottratto dignità al lavoro; ce lo ricordano ogni giorno il precariato, il lavoro nero, lo sfruttamento, le morti sul lavoro!

Le scelte dei politici, la posizione dei media, ed anche questo articolo di Gavosto, ne sono un’ulteriore prova: stanno spingendo per far credere che un dirigente aziendale o un consulente di qualche fondazione privata sia più qualificato, più capace, ad organizzare la scuola di chi veramente ci lavora.

Le parole di Gavosto sono pericolose, perché agli occhi del cittadino comune sembrano di buon senso; per questo andrebbero contrastate con una strategia culturale, politica, sindacale, che parta dagli addetti ai lavori, dagli insegnanti e dagli studenti in primis.

E gli stipendi? Quelli vanno aumentati, così come devono essere aumentati gli stipendi alla maggior parte dei lavoratori italiani. Ma, in un Paese che tollera 150 miliardi di evasione fiscale, in cui si tagliano i servizi e si pensa che le tasse siano da ridurre, in cui si sta pensando ad una “autonomia differenziata delle Regioni”, che aggraverebbe la situazione in generale e in cui i ricchi diventerebbero sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, ciò appare quasi impossibile!

L'autore

Giuseppe Bagni

L'autore

Evelina Chiocca

Presidente nazionale CIIS

L'autore

Giuliano Laccetti

Docente ordinario Università di Napoli Federico II