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Università del futuro

La crescita delle università telematiche. Opportunità o rischio per la formazione superiore?

È ormai sotto gli occhi di tutti il successo degli atenei telematici. Le istituzioni che hanno questa caratteristica conquistano progressivamente numeri sempre più significativi di studenti. In misura cospicua, giovani e meno giovani sembrano snobbare, a loro vantaggio, gli atenei tradizionali. Formule didattiche e curricolari più agili e snelle; annullamento delle distanze dai luoghi di residenza o di attività professionale; possibilità di non essere condizionati per seguire corsi e lezioni da obblighi di presenze e orari rendono compatibile lo studio con altri impieghi o attività, e suscitano evidente interesse in una sempre più vasta platea di studenti desiderosi di accedere a percorsi accademici per titoli validi, formalmente e sostanzialmente, al pari di quelli tradizionali.

Un processo che si profila irreversibile, senz’altro accentuato anche dall’esperienza della pandemia. La civiltà tecnologica nella quale ci stiamo immergendo a passi accelerati, la consuetudine ormai diffusa all’uso degli strumenti digitali costituiscono, e prevedibilmente costituiranno sempre di più, motivi di ulteriore sviluppo di un assetto accademico foriero di potenziale competizione con quello tradizionale.

Siamo di fronte a un’innovazione destinata a produrre conseguenze culturali profonde, ben più incisive di qualsiasi aspetto istituzionale o di ordinamento. Conseguenze che non possono lasciarci indifferenti. È il momento di riflettere con attenzione su questo fenomeno e sulla sua evoluzione. Approfondirne e valutarne i tratti di competizione con il sistema tradizionale per porne in luce gli aspetti deleteri o quelli di potenziale e positiva collaborazione sinergica. Insomma, un’analisi complessiva a più voci dei costi e benefici e delle prospettive di questo diverso e innovativo accesso alla formazione, che scavalchi o integri quella tradizionale, è necessaria e urgente. Di qui l’augurio che la documentazione e le considerazioni che seguono possano costituire un utile avvio a una riflessione per la quale la rivista si propone volentieri come sede di dibattito e di confronto.

Uno sguardo sui numeri

Verifichiamo in primo luogo l’attuale consistenza del sistema delle telematiche. Ci è ben rappresentato dall’ANVUR nel suo “rapporto sul sistema della formazione superiore e della ricerca” del giugno di quest’anno.

Il sistema universitario italiano, come è noto, è costituito da 99 atenei, 68 statali e 31 non statali. Gli atenei statali sono 61, compresi 3 Politecnici e 7 scuole superiori a ordinamento speciale. Per le 31 università non statali è fondamentale la distinzione tra le 20 che organizzano la didattica in presenza e le 11 telematiche. L’offerta formativa delle tradizionali si articola, nell’a.a. 2021/22, in 5.031 corsi di studio; quella delle telematiche nello stesso anno, in 149. Rispetto all’a. a. 2011/12, si è avuto il sostanziale raddoppio dei corsi erogati da queste ultime, a fronte di un incremento di poco meno di 500 corsi, nelle università tradizionali. L’offerta complessiva dell’a. a. 2021/22 è costituta per circa il 3% dai corsi delle università telematiche.     

Le 11 università telematiche hanno registrato complessivamente un forte aumento nell’offerta formativa. Nell’a.a. 2021/22 vi si svolgono, si è detto, 149 corsi, 79 in più rispetto all’a.a. 2011/12, un incremento del 113%. La maggioranza dei corsi fa riferimento all’ambito economico-giuridico e sociale, seguono l’area STEM, quella artistica, letteraria e dell’educazione, e infine l’area sanitaria e agro-veterinaria, caratterizzata da corsi afferenti alle discipline dello sport e delle scienze motorie.

È soprattutto la dinamica degli iscritti alle telematiche che deve destare la nostra attenzione e curiosità. L’analisi si concentra, anche in questo caso, sulle variazioni principali intervenute nel corso degli ultimi 10 anni. Ne emerge una geografia del sistema universitario gradualmente cambiata nell’arco del decennio. Cambiamenti che comportano aspetti positivi, soprattutto se valutati a livello aggregato, cui fanno da contraltare aspetti nuovi, in parte critici, che richiedono, ne è consapevole anche l’ANVUR, “approfondimenti e riflessioni”.

La popolazione studentesca è complessivamente aumentata. Vi è però una sostanziale stabilità degli iscritti alle università tradizionali con una riduzione per le università statali compensata da un aumento per quelle non statali. Una crescita importante si ha, invece, degli iscritti alle università telematiche che ne hanno beneficiato in misura prevalente. Le università tradizionali hanno registrato un leggero incremento di circa 2 mila studenti, le telematiche nello stesso arco temporale li hanno visti crescere di 180 mila unità. Nell’a.a. 2021/22 l’11,5% degli studenti universitari sono iscritti in atenei telematici, a fronte del 2,5% dell’a.a. 2011/12. La fotografia relativa all’a.a. 2021/22 vede, nell’ordine, 1,6 milioni di studenti iscritti alle università statali, 224 mila alle università telematiche e 123 mila iscritti alle università non statali. Un ulteriore dato è significativo, per il nostro ragionamento, sulla comparazione e sulla potenziale sinergia tra i sistemi. Le classi di età degli studenti delle università tradizionali sono differenti da quelle delle telematiche. Nell’a.a. 2021/22, l’80% degli studenti iscritti alle università tradizionali ha un’età inferiore a 26 anni, percentuale che nella stessa fascia di età si riduce al 34% nelle telematiche. In queste, elemento da non trascurare, il 57% degli studenti ha almeno 28 anni. L’incremento di studenti che nel corso degli ultimi dieci anni hanno deciso di iscriversi a un’università telematica è stato notevole. Rispetto a dieci anni fa, quando gli iscritti erano circa 44 mila, il numero è salito a circa 224 mila; 180 mila in più in dieci anni! L’ampliamento dell’offerta ha, senza dubbio, consentito a molti studenti, soprattutto lavoratori, di intraprendere gli studi in discipline attivate solo negli ultimi anni in modalità a distanza. È interessante anche conoscere la tipologia degli studenti e distinguere quanti tra essi erano stati iscritti in precedenza a un’università tradizionale e abbiano poi scelto di proseguire in un ateneo telematico, rispetto a coloro che fin dall’inizio hanno avviato la carriera in un’università telematica. Nell’a.a. 2021/22 ben 101 mila studenti hanno operato questa scelta. Nel 2011/12, tale percentuale si attestava al 40,7%. È un segnale importante di apprezzamento che deve indurci a coglierne appieno i motivi e farne buon uso a vantaggio dell’intero sistema nazionale.

Capire i cambiamenti e i bisogni formativi

Una competizione virtuosa porta benefici per tutti e non può giustificare chiusure pregiudiziali e corporative anche se motivate da un’antica aulica tradizione. Conferma dell’apprezzamento e del gradimento delle telematiche si ha anche dall’andamento delle immatricolazioni. Nell’a.a. 2021/22 le università tradizionali hanno complessivamente registrato 306,5 mila immatricolati, con un aumento di circa 32 mila studenti rispetto a dieci anni prima mentre le telematiche hanno avuto circa 25 mila immatricolati, con un aumento di 20 mila studenti rispetto allo stesso periodo.

È Interessante anche conoscere la provenienza degli studenti rispetto all’area geografica di residenza. Nell’a.a. 2021/22 gli immatricolati nelle telematiche provengono in maggioranza dal Sud, il 28,3%, seguiti dai residenti a Nord-Ovest, con il 23,5%, dal 19% di residenti al Centro, dal 14,5% di residenti nelle Isole, dal 13,1% di residenti a Nord-Est e da un 1,6% di residenti all’estero. Nell’a.a. 2021/22 gli immatricolati residenti in Italia nelle università tradizionali sono aumentati dell’11,5% rispetto a dieci anni prima. Nello stesso arco temporale è aumentato di oltre quattro volte (+444%) il numero di immatricolati alle telematiche. Nello stesso periodo sono significativamente aumentati i diplomi di laurea rilasciati da queste ultime. Passano dai 5.220 ai 34.223 del 2020/21. In quell’anno su dieci diplomi di laurea nove sono rilasciati da università tradizionali e uno dalle telematiche. Le università tradizionali e telematiche riflettono, lo abbiamo visto, tipologie di studenti diverse per classi di età. Di conseguenza anche le caratteristiche dei laureati differiscono sensibilmente. Quasi l’80% delle lauree triennali delle università tradizionali nell’a.a. 2020/21 riguarda la fascia fino a 23 anni, mentre la percentuale scende drasticamente al 20,6% per le telematiche nelle quali, invece, quasi il 60% dei titoli di laurea è rilasciato a studenti con almeno 28 anni.

Anche la dimensione dei master in termini di numero di corsi e di studenti iscritti è particolarmente significativa nel panorama nazionale, con numeri complessivamente superiori a quelli dei dottorati di ricerca e con una presenza significativa dell’offerta delle università telematiche. Al termine dell’a.a. 2021/22 i master di I livello erano complessivamente 1.071, di cui ben il 16% organizzato da università telematiche, cui si aggiungono 924 master di II livello. Quelli delle università telematiche costituiscono il 7%.

Il protagonismo delle telematiche si registra anche nella distribuzione dei docenti tra le tipologie delle università. Nell’anno 2022, i 57.115 docenti nelle università statali rappresentano il 93,5% del totale, erano il 94,6% dieci anni prima; seguono 3.402 presso le università non statali, il 5,6% del totale, erano il 4,9% nel 2012, e, infine, i 582 delle telematiche, sostanzialmente raddoppiati rispetto al 2012. Oggi rappresentano l’1% del totale rispetto allo 0,5% di dieci anni fa.

L’effetto combinato della riduzione dei docenti richiesti per l’accreditamento dei corsi di studio, a fronte dell’esplosione nel numero di iscritti, ha determinato, in questo periodo un rilevante aumento del rapporto studenti/docenti, passato da 152,2 del 2012 a 384,8 del 2022; un indicatore di circa tredici volte superiore rispetto alle università tradizionali.

L’ANVUR ha iniziato nel 2014 le prime visite di accreditamento delle università e dei corsi di laurea. Dal 2017 al 2021, ha completato l’esame di tutte le università: statali, non statali e telematiche. Sono state visitate 80 università tradizionali e 11 telematiche. Delle università tradizionali, 7 hanno ottenuto un giudizio “Molto positivo”, 30 “Pienamente soddisfacente”, 42 “Soddisfacente” e solo una un giudizio “Condizionato”. Le 11 telematiche hanno ottenuto un giudizio in tono minore. Solo una ha conseguito l’accreditamento periodico “Pienamente soddisfacente”; 8 atenei, la maggioranza, una valutazione “Soddisfacente” e 2 un giudizio “Condizionato”.

Il problema principale: la qualità dell’offerta

Anche l’ANVUR, alla luce di tutti questi dati, pone in luce un deciso cambiamento del nostro sistema universitario. Sottolinea un quadro che propone la necessità di alcune approfondite riflessioni in chiave prospettica. Tra queste si avverte l’impellente esigenza, constatato il veloce e costante aumento dei corsi attivati e del numero di studenti che optano per quelli a distanza, di porre attenzione soprattutto alla qualità della capacità formativa di percorsi accademici che sempre più si caratterizzeranno per forme ibride: corsi a distanza, corsi in modalità mista e corsi tradizionali.

Per farci un’idea della qualità dei corsi attuali può essere utile ripercorrere l’origine e l’evoluzione di questo apparato accademico e soffermarci sui modi e criteri richiesti necessariamente per garantire la bontà dei percorsi accademici, la loro accuratezza e la serietà dell’esito finale.

Il fenomeno degli atenei digitali ha avuto inizio con la legge finanziaria per il 2003. L’art. 26 - “Disposizioni in materia di innovazione tecnologica” - ne legittimava l’istituzione e l’abilitazione a rilasciare titoli accademici, condizionandole al superamento di procedure di accreditamento delle Università e dei corsi. Procedure da definirsi con decreto del Ministro di concerto con quello per l’innovazione e le tecnologie. I parametri necessari erano finalizzati a tenere conto della specialità della didattica a distanza rispetto a quella in presenza, tipica dell’intero sistema accademico, e si preoccupava sia dell’infrastruttura tecnica e delle condizioni necessarie alla garanzia del servizio sia della qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento in un contesto così peculiare. I principi hanno trovato una prima definizione con un decreto ministeriale del 17 aprile 2003, che ha declinato i requisiti di accreditamento delle istituzioni. Il decreto aveva istituito anche un comitato di esperti per il controllo sull’operatività delle Università telematiche. Comitato sostituito in seguito dal CNVSU che ha definito i criteri per l’accreditamento degli atenei telematici e anche per l’accreditamento dei corsi a distanza delle Università tradizionali. L’ANVUR ha infine assunto questi compiti con il regolamento delle proprie funzioni.

L’art. 2, del DL n. 262/2006 ha poi disposto che per le stesse finalità “si provvede con regolamento del Ministro dell'Università e della ricerca, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, […] fermi restando i principi e i criteri enunciati nella medesima disposizione e prevedendo altresì idonei interventi di valutazione da parte del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU) sull'attività svolta, anche da parte delle Università e delle istituzioni già abilitate al rilascio dei titoli accademici alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento, non può essere autorizzata l'istituzione di nuove Università telematiche abilitate al rilascio di titoli accademici”. Il divieto è stato sempre riproposto negli anni fino a oggi.

Dal 2003 al 2006 sono state accreditate le 11 Università telematiche a oggi attive sul territorio nazionale.[1]

Questioni normative

Dal 2006, il riconoscimento di nuove Università telematiche ha subito l’arresto di cui si è detto. In un quadro di riordino del settore, la legge finanziaria per il 2007 ne ha rimesso la disciplina dei criteri e delle procedure di accreditamento iniziale e periodico a un Regolamento, da emanarsi ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, fermi restando i principi già sanciti dalla normativa precedente. È stato, quindi, mantenuto salvo il quadro dell’esistente, ma è stato altresì fatto esplicito divieto di autorizzare nuove Università con quella tipologia fino alla definizione del nuovo impianto disciplinare.

Il DM n. 50/2010 aveva previsto il divieto di istituzione di nuovi corsi di studio anche da parte delle Università riconosciute, ma questa diposizione, ritenuta esorbitante rispetto al divieto sancito dalla legge, è stata disapplicata dalla giurisprudenza amministrativa in quanto illegittima. Un tentativo di definizione del Regolamento si ebbe con l’istituzione di un Tavolo tecnico, chiamato a definire la rivisitazione delle disposizioni delle Università telematiche. Il mandato era preordinato a stabilire criteri generali per il primo accreditamento e per la valutazione successiva di corsi di studio integralmente o prevalentemente a distanza, da applicarsi ugualmente anche ai corsi di studio delle Università con presenza mista, o parzialmente a distanza. L’obiettivo era di rendere l’offerta formativa a distanza omogenea con quella delle Università “in presenza” o con offerta “mista”. Il Tavolo tecnico, tuttavia, non ha prodotto alcun risultato. Continuano, pertanto, a non poter essere istituite nuove Università telematiche, mentre quelle esistenti rimangono assoggettate, come visto, alla disciplina di verifica e accreditamento periodico da parte dell’ANVUR.

A queste verifiche periodiche è correlato il contributo finanziario destinato alle Università non statali, di cui anche le telematiche possono beneficiare a partire dal 2005. Quell’anno, infatti, alla formula istitutiva “senza oneri a carico del bilancio dello Stato”, contenuta nella prima formulazione della legge, è stata aggiunta una clausola di rinvio a “quanto previsto dalla legge 29 luglio 1991, n. 243”. La legge che regola le Università non statali legalmente riconosciute e ne disciplina, tra l’altro, la possibile contribuzione pubblica. Opera anche a tal fine il sistema di valutazione periodica dei risultati da parte dell’ANVUR che si svolge sulla base delle linee di indirizzo della programmazione delle Università. È dunque interessante verificare le valutazioni delle Università telematiche e dei correlati contributi pubblici.

I criteri di valutazione

Gli indici di valutazione delle telematiche si differenziano da quelli delle Università che svolgono prevalentemente attività in presenza. Oltre ai rapporti docenti/studenti, sono richiesti requisiti volti a garantire la qualità della didattica a distanza e delle relative dotazioni tecnologiche, l’aggiornamento tecnico, la coerenza delle scelte didattiche con lo strumento di insegnamento adottato e la loro idoneità ad assicurare un’adeguata preparazione degli studenti. Se il giudizio finale è condizionato le Università ricevono indicazioni, da verificare in sede di successive visite, per il miglioramento delle eventuali criticità rilevate e, in caso di giudizio “insoddisfacente”, la sede è soppressa. Alla valutazione dopo il primo quinquennio di attività, per gli esercizi 2016, 2017 e 2019, hanno avuto titolo a ricevere contributi pubblici solo le Università con giudizio di accreditamento periodico positivo. Solo per l’anno 2018 sono state ammesse a contributo anche le Università con giudizio condizionato.

Tradizione o innovazione? Meglio una sinergia

Alla luce di questi dati e di queste considerazioni è giunto il momento di chiedersi se il futuro della formazione superiore svilupperà una competizione accesa tra tradizione e innovazione digitale. Se quest’ultima, senz’altro protagonista, si affermerà vincente, come sembrano dimostrare le prime avvisaglie di una concorrenza che sembra premiare la telematica o se confrontando meriti e demeriti dei sistemi a confronto non sia possibile individuare e proporre soluzioni di compromesso e sinergia a vantaggio della maggiore potenzialità e ricchezza di tutta la formazione superiore. Auspichiamo in proposito un dibattito che affronti tutti i vari aspetti del tema che, comprensibilmente, si riverbera sulla stessa fisionomia delle università tradizionali; che impatta con l’intelligenza artificiale, con la fluidità di corsi frequentabili in ogni dove e in ogni tempo e dunque sulla stessa articolazione degli ordinamenti didattici e sulla loro predeterminazione. Tutti sassi lanciati in uno stagno che è importante smuovere perché si adatti al nuovo ambiente tecnologico nel quale è ormai immerso. Un contesto nel quale tutte le istituzioni formative, quale ne sia il livello e la tradizione, sono inevitabilmente chiamate a inserirsi con intelligenza e con disponibilità, consapevoli, certo, dei limiti e dei rischi da evitare ma anche delle tante nuove opportunità che può offrire.  

La competizione tra università tradizionali e telematiche può essere foriera di evoluzione complessiva del sistema. La disponibilità di corsi di laurea integralmente online contribuisce ad aumentare l’insieme di opportunità a disposizione di giovani e meno giovani, soprattutto dei lavoratori o di coloro che hanno vincoli legati al luogo di residenza. Tuttavia, i corsi online, essendo privi di interazione personalizzata e coerente tra il docente e gli studenti, richiedono a questi ultimi di far leva su un’elevata capacità di apprendimento individuale. La letteratura scientifica, finora disponibile, sugli esiti dell’istruzione universitaria online è ancora ben lungi dall’essere esauriente e consolidata. Focalizzata soprattutto su esperienze statunitensi, si mostra preoccupata del rischio che l’istruzione a distanza possa generare una forma di “inclusione predatoria”. Anche l’aumento della possibilità di accesso all’istruzione terziaria è ritenuto foriero di maggiori rischi per gli studenti; di peggiori risultati accademici nel breve periodo ed economici nel lungo, rispetto agli studenti con caratteristiche simili che optano per i corsi tradizionali.

Sono rischi reali non compensati da vantaggi in grado di ridurne la pericolosità o sono la manifestazione delle paure che sempre hanno accompagnato le rivoluzioni tecnologiche nel corso della storia?

All’auspicata discussione l’ardua risposta. Di certo mi sembrerebbe comunque opportuno incoraggiare la competitività tra università telematiche e tradizionali per favorire maggiori opportunità di accesso all’istruzione superiore a una platea della popolazione ben più vasta dell’attuale. Un confronto tuttavia mai agonistico; proteso piuttosto a ricercare tutti gli interventi opportuni a migliorare la qualità della didattica a distanza e metodi di insegnamento più efficaci e da utilizzare in tutti i casi in cui se ne avverta l’opportunità o la necessità. Miglioramenti da investigare, promuovere e proporre anche per la facile previsione che la didattica integralmente o parzialmente online è destinata a diffondersi in tutte le tipologie di cicli formativi e potrebbe presto costituire parte essenziale della formazione accademica in tutto il sistema nazionale e internazionale.


[1]1.Università Online: Guglielmo Marconi, istituita con DM 1° marzo 2004, Roma; 2.Università Online: Unitelma Sapienza, istituita con DM 7 maggio 2004, Roma; 3.Università Online Internazionale: Uninettuno – UTIU, istituita con DM. 15 aprile 2005 Roma; 4.Università Online: Niccolò Cusano, istituita con DM. 10 maggio 2006, Roma; 5.Università Online: eCampus, istituita con DM. 30 gennaio 2006, Novedrate; 6.Università Online: San Raffaele, istituita con DM. 8 maggio 2006, Roma e Milano; 7.Università Online: Mercatorum, autorizzata con DM 10 maggio 2006, Roma; 8.Università Online: Pegaso, istituita con DM. 20 aprile 2006, Napoli; 9.Università Online: IUL, istituita con DM 2 dicembre 2005, Firenze; 10.Università Online: Giustino Fortunato, istituita con DM 13 aprile 2006 Benevento; 11.Università Online: Leonardo Da Vinci, istituita con DM. 16 novembre del 2004, Torrevecchia Teatina (CH).

L'autore

Fabio Matarazzo