Il presente contributo intende analizzare pratiche educative in contesti di vulnerabilità, ponendo l’accento sulla valorizzazione di tali condizioni non solo come limiti, ma anche come potenzialità. In particolare, l’articolo esplora il processo di co-costruzione del significato dello Spazio Culturale Obù, attivato a Napoli dalla Fondazione Terzoluogo attraverso un innovativo approccio di pedagogia sociale. Si analizza come questo spazio si configuri come un ambiente dinamico di relazione e apprendimento collettivo, promotore della partecipazione attiva della comunità. Infine, si evidenzia il ruolo di Obù come catalizzatore della rigenerazione del tessuto sociale e educativo locale, sottolineandone la funzione nella promozione di un’inclusione sociale sostanziale.
Il presente contributo intende offrire una lettura della tematica proposta dalla prospettiva pedagogica olistica e in considerazione del paradigma dell’embodiment. In particolare, si è voluto trattare del valore dell’esperienza estetica, dunque di una educazione attraverso la risorsa dell’universo sensoriale, nel ridestare il valore dell’intelligenza del cuore, capace di integrare discernimento e sensibilità. Sotto questo aspetto il contributo intercetta un bisogno formativo e educativo laddove l’aridità del cuore può produrre cecità di fronte alla ricchezza e al mistero dell’esperienza esistenziale e laddove la cecità da menomazione visiva richiede un intervento in grado di permettere di “vedere”. Ci siamo dunque interrogate: “vedere in che senso?”
L’articolo ricostruisce l’esperienza educativa del Collettivo G - Gramsci presso la borgata romana di San Basilio all’inizio degli anni Settanta. Attraverso l’analisi storica dell’opera-testimonianza Animazione in borgata, scritta da Maria Rita Parsi, curata da Sabina Manes e arricchita da uno scritto di presentazione di Albino Bernardini, si vuole mettere in luce la rilevanza pedagogica di un progetto che, basandosi sul teatro di “psicoanimazione”, l’attivismo pedagogico e i valori democratici del ’68, ha saputo penetrare all’interno del difficile contesto storico e sociale della borgata-quartiere di San Basilio.
In un tempo attraversato da precarietà esistenziale e crisi di senso, questo contributo riflette sul valore della narrazione, della fragilità e della memoria nella costruzione del Sé. Attraverso uno sguardo pedagogico-esistenziale, l’articolo si articola in tre movimenti: il primo esplora il legame profondo tra corpo, mente e storie di vita, rintracciando nella dimensione biografica la forza invisibile che guida il nostro agire; il secondo indaga la tensione tra identità e vulnerabilità, mettendo in luce come il passato condizioni il futuro e come solo attraverso un confronto critico con la propria storia si possa intravedere una forma di liberazione; il terzo si concentra sulla funzione generativa del racconto e sull’urgenza di una pedagogia della presenza e dell’autenticità, capace di trasformare le ferite in tracce significative.
Nell’oggi di una vulnerabilità sociale conclamata, determinata in parte da politiche educative e di welfare nei confronti di soggetti più fragili, la Pedagogia è chiamata a predisporre dispositivi volti a colmare il divario tra uomini, donne e bambini per la costruzione di un domani più giusto. Intrecciare narrazioni individuali e collettive sembrerebbe la chiave di volta di una proposta educativa liberatoria (Freire, 1970) mirante a costruire coscienze critiche rivoluzionarie. Parrebbe necessario, di conseguenza, usare il cuore nell’avvio di processi trasformativi genuini che conducano gli uomini a guardare nella stessa direzione: quella di una società eterogenea in cui a tutti siano garantite le stesse possibilità di stare al passo, coniugando la logica della redistribuzione a quella del riconoscimento (Alietti, 2022).
Il contributo propone una riflessione teorico-pratica sul ruolo della Pedagogia Clinica nella “cura” del soggetto affetto da Malattia di Alzheimer. Attraverso l’analisi del dialogo tra sapere pedagogico e sapere medico, si evidenzia come il soggetto-paziente rappresenti una forma complessa di vulnerabilità esistentiva. L’articolo mostra come la relazione educativa, il riconoscimento della soggettività e la consulenza pedagogico-clinica possano generare processi trasformativi che restituiscono senso all’identità nella malattia.
L’educazione si configura come un atto di responsabilità e come pratica di liberazione intergenerazionale. La politica educativa attuale promuove, mediante progetti e iniziative quali la public history, le reti di mutualismo e i Centri di Aggregazione Giovanile, un approccio intersezionale all’inclusione, il dialogo interculturale e la resilienza. Il presente contributo si sofferma sull’opportunità di ri-orientare e ri-definire gli interventi educativi nei contesti di vulnerabilità sociale. In tale prospettiva si delinea l’esigenza di realizzare modelli educativi che favoriscono un’evoluzione collettiva e che diano origine a svolte educative innovative, per erigere reti di solidarietà e fiducia per il futuro delle comunità più vulnerabili.
Attraverso il dialogo tra i contributi teorici di Judith Butler e bell hooks – che riflettono rispettivamente sulla comune esposizione alla precarietà e vulnerabilità delle esistenze, e sulla cura educativa come strumento di resistenza capace di trasformare e sovvertire le strutture di potere oppressivo – si intende proporre un posizionamento pedagogico ai margini. Tale posizionamento, riconoscendo la necessità esistenziale di una vita comune, intende assumersi la responsabilità educativa e politica di una cura che vada oltre l’assistenzialismo e il paternalismo, favorendo una sua comprensione come dispositivo in grado di sostenere pratiche di partecipazione, ascolto, pensiero critico e sovversione delle strutture di potere oppressivo.
ll contributo si propone di approfondire in chiave pedagogica il tema della vulnerabilità. Questo sguardo supera la centratura sulla dimensione individuale di tale condizione incentivata dal paradigma neoliberale, e la interpreta come una situazione appresa frutto dell’interazione tra il soggetto e il contesto sociomateriale di riferimento. All’interno di tali riflessioni, verrà approfondito il fenomeno della povertà educativa come caso di studio a partire dal quale ripensare da una prospettiva educativa le strategie di intervento verso le situazioni di vulnerabilità.
La vulnerabilità è un elemento fondante dell’esistenza umana e un principio pedagogico ed etico per la costruzione di comunità solidali. Il saggio analizza il ruolo dell’educazione nel trasformare la fragilità in risorsa, promuovendo un’azione politica basata sulla cura e sulla relazionalità; indaga la connessione tra vulnerabilità e solidarietà politica, mettendo in luce come i movimenti sociali e le pratiche educative possano costituire strategie di resistenza alle forme di esclusione e oppressione contemporanee.