La condanna stessa in primo grado dell’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano da parte del Tribunale di Locri sembrava già un’enorme assurdità, così come appariva come una sorta di accanimento la richiesta della Procura nei suoi confronti di una pena a sette anni.
Ma mai ci saremmo aspettati che, al termine di 4 giorni di Camera di consiglio, i giudici di Locri potessero emettere una sentenza di condanna a 13 anni e due mesi di reclusione non solo quasi doppia rispetto alla richiesta della Procura, evento più unico che raro nella storia giudiziaria italiana, ma frutto di un teorema al cui centro non vi è altro che il sistema di accoglienza del cosiddetto Modello Riace, con il suo tentativo di dare nuova fioritura e speranza ad un’area depressa della Calabria. Un teorema che puntava a smantellare quella esperienza straordinaria di accoglienza e umanità, invidiata da tutto il mondo, condannando chiunque vi avesse preso parte come un criminale, attento solo agli interessi personali e al profitto economico. Un teorema che speriamo venga smantellato nei gradi successivi di giudizio. Ciò che noi sappiamo, e qui ribadiamo con forza, è che Mimmo Lucano e tutti coloro che hanno dato vita all’esperienza di accoglienza umanitaria a Riace sono del tutto innocenti e ci attendiamo una sentenza d’appello di assoluzione piena.
Al di là degli aspetti tecnico-giuridici della sentenza del Tribunale di Locri, per i quali rinviamo alle illuminanti osservazioni di giuristi del calibro di Natalino Irti, ci preme qui mettere in risalto alcuni degli effetti “collaterali” di questa sentenza. Il primo è di natura sociale. Si dice in sostanza che vi sono luoghi in cui ogni opera umanitaria è sollecitata dal profitto e dal trucco finanziario, e se questi ultimi sono messi in atto da pubblici funzionari (da un sindaco, nel caso di Lucano) vanno colpiti con durezza estrema equiparandone i reati a quelli dell’associazione a delinquere (magari di stampo mafioso). È questo il fondamento del teorema giudiziario secondo il quale è stata emessa la sentenza di primo grado con la richiesta di restituzione dei fondi pubblici utilizzati per costruire il modello Riace, che, ribadiamo, ha dato nuova e fertile vitalità ad un’area depressa e isolata della Calabria proprio grazie ai migranti. Il punto è che neppure la Procura ha mai sostenuto che il modello Riace fosse frutto di una truffa orchestrata ai danni di risorse pubbliche. Quale altro sentiero hanno dunque seguito i magistrati giudicanti di Locri nella definizione della sentenza? In base a quali fatti o prove emersi nel dibattimento? O meglio, non emersi nel corso del dibattimento? Si spera che le motivazioni della sentenza facciano chiarezza su questo punto cruciale della vicenda, ma ciò che noi sappiamo è che quelle accuse sono infondate e che la sentenza resta piuttosto un messaggio ambiguo lanciato dai giudici alla società. Lo conferma la lettura dello stesso dispositivo di condanna. E come avverte Natalino Irti, in questi casi “le sentenze si presentano come atti arbitrari e sovvertitori delle sfere costituzionali” (Natalino Irti, Le sentenze dei giudici e quelle della storia, Sole24ore, 1 ottobre 2021).
Il secondo “effetto collaterale” è di natura pedagogica. È evidente e palese la contraddizione tra le parole espresse a Pizzo Calabro dal Presidente della Repubblica Mattarella e quello che emerge dal teorema giudiziario di Locri. Quelle di Mattarella erano parole di speranza per il riscatto della Calabria e del Mezzogiorno d’Italia, perfino come imperativo pedagogico affidato a scuole e università. Le parole, dure come pietre, della sentenza di Locri ci riportano invece al convincimento che nessun riscatto è possibile in un ambiente affamato di denaro e gloria personale. Ma noi sappiamo che Mimmo Lucano è stato uno degli artefici della cultura del riscatto della Calabria e del sud, e ha girato per scuole e università per affermare questo come punto sostanziale della sua attività, e di quella del modello Riace. E per quegli studenti e quelle studentesse egli era divenuto il riferimento costante di una speranza per il futuro diverso, e non di sola necessità di “fuggire dalla paglie della cova” (come scrisse Rocco Scotellaro in una memorabile poesia). Mimmo Lucano si batteva e ancora si batte per il riscatto di un popolo, di una terra, di una regione tra le più derelitte e abbandonate d’Europa. E questo i ragazzi e le ragazze che lo hanno ascoltato nel corso degli anni lo sanno bene. Ma ora? Che succederà ora con una sentenza di condanna di quella misura? Come sarà vissuta la contraddizione dalle nuove generazioni, se non come un cedimento alla disperazione del “tutti uguali”? E noi sappiamo bene che Mimmo Lucano non è mai stato “uno come gli altri” profittatori, ma un generoso, tenace, straordinario artefice di una impresa di riscatto e di speranza. I giudici dovevano tener conto delle ricadute pedagogiche della condanna? Francamente, noi speravamo di sì, ma così non è stato. Per questo la condanna ha il sapore di un teorema, politico prima ancora che giuridicamente fondato.
Il terzo effetto collaterale della sentenza: il rapporto tra il potere, che scrive le leggi della città, e la necessità del cambiamento. Lo aveva già definito Sofocle nelle figure di Antigone e Creonte, ponendo anche a noi persone del terzo Millennio l’interrogativo più forte: cosa si fa quando le leggi sono sbagliate? Le risposte storiche sono note a tutti, oltre ad Antigone, dal processo a Socrate a Gesù Cristo, da Mandela a Gandhi a Martin Luther King: le leggi sbagliate si possono cambiare con metodo nonviolento solo sacrificando se stesso per la verità e la giustizia. Leggi sbagliate? Di certo lo erano e lo sono quelle sull’immigrazione clandestina. Lo erano e lo sono quelle che trasformano Mimmo Lucano in una sorta di trafficante di esseri umani. Lo erano e lo sono quelle che non consentono di vivere a chiunque, soprattutto se straniero, in modo dignitoso. Il modello Riace era tutto questo: un confronto diretto col potere e contro le leggi disumane. Per questo è stato osteggiato e temuto, e ora definitivamente sotterrato con una sentenza che di certo farà piacere a quel potere disumano, ma che resta la prova di una giustizia che ancora ha bisogno di leggi umane, di giudici in grado di non “sovvertire le sfere costituzionali”, di comunità solidali, nel Mezzogiorno e non solo, che non si sentano in pericolo, qualunque cosa facciano per l’altro, per gli altri. Noi siamo con Mimmo Lucano, e con tutti quelli che come lui credono nella speranza di riscatto, per tutte e tutti.
Noi siamo con Mimmo Lucano, perché crediamo che talvolta l’umanità sia superiore alle leggi della città.