La diatriba sull'esposizione del crocifisso nelle aule ha origini lontane, la norma che ne prevede la presenza risale al 1924 e non è mai stata formalmente abrogata, sebbene i principi sanciti dalla Costituzione ne indeboliscano fortemente il portato impositivo.
Previsto per legge ma non obbligatorio, il crocifisso fa ancora discutere, le tante sentenze che si sono succedute dal lontano 1988 hanno sostanzialmente confermato l'idea che il crocifisso esposto in classe non leda la libertà religiosa di chi professa un'altra religione oppure sia ateo.
Eppure i casi di docenti, genitori o associazioni che abbiano provato a metterne in discussione la presenza sono stati assai frequenti nel nostro Paese. L'ultimo risale al 2008, quando un dirigente scolastico di un istituto di Terni, aderendo alla decisione presa a maggioranza dagli studenti, ne aveva ordinato l'esposizione, sanzionando il professore che lo rimuoveva sistematicamente all'inizio della sua ora di lezione.
La sentenza del 9 settembre scorso segna un punto importante: affiggere la croce non può essere un atto impositivo e se il docente ha torto nel ravvedere in questo simbolo una limitazione della propria libertà di espressione e di insegnamento, tanto che ne può persino criticare pubblicamente la presenza, il dirigente che ne ha ordinato l'esposizione e poi sanzionato la rimozione avrebbe dovuto seguire un metodo dialogante. La sanzione disciplinare inflitta al professore è stata quindi annullata, la strada da seguire è il dialogo e la ricerca di soluzioni condivise. Alla scuola quindi viene affidata tutta la responsabilità di mediare un dibattito alimentato da visioni profondamente diverse: l'esigenza di una scuola laica da un lato, l'affermazione della cultura e della tradizione cattolica come componente integrante delle istituzioni.