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Attualità

Creazione e manipolazione del consenso nelle società digitali avanzate

 Comunicazione e informazione: unanalisi materiale

Storicamente, il consenso soprattutto quello politico viene guidato o indotto attraverso delle particolari forme di organizzazione sociale, ma sin dall’antichità è possibile leggere alcuni fenomeni come una forma consapevole di “propaganda” comunicativa. Ovviamente, ogni epoca storica ha utilizzato a piene mani i mezzi di comunicazione disponibili al tempo, qualsiasi essi fossero: dalle orazioni dei filosofi al marmo dei bassorilievi e delle epigrafi, fino ai libri scolastici o le divise.

Con lavvento della comunicazione di massa, limpatto possibile viene ulteriormente amplificato e ipoteticamente rafforzato, sia se esso risulta utilizzato in stati tecnicamente “autoritari” sia se il contesto è quello di forme avanzate o meno di democrazia. Questo indica che equilibri diversi di concentrazione di potere e di risorse distribuiti nella società, organizzano anche se con modalità diverse sistemi di creazione e gestione del consenso. 

Ovviamente la struttura centralizzata dei mass media (radio, cinema, televisione, quotidiani nazionali, per fare qualche esempio) rende sempre limitato l’accesso a questi media e la reale capacità di fare sentire la propria parola e le proprie opinioni da parte di singole soggettività individuali o collettive, soprattutto se non direttamente appartenenti alle classi dominanti dal punto di vista sociale o economico. In questo caso, un tipo particolare di censura assume una dimensione socio-economica, che, se pure eticamente e apparentemente meno condannabile, esercita comunque in maniera altamente efficace la propria azione. Proprio per questo, in questa prospettiva è necessario distinguere le forme di finanziamento dei mezzi di comunicazione, ipotizzando casi diversi. Per esempio, la potenza economica in termini di disponibilità di risorse è esterna al mezzo stesso? Se sì, ha una dimensione statale (cioè vagamente pubblica) e quindi direttamente legata a una parte politica. Questo finanziamento esterno ha un’origine privata, legata al sistema nazionale industriale e commerciale? Oppure il mezzo si finanzia attraverso la vendita (come un canale televisivo a pagamento oppure un libro) o con la concessione di spazi pubblicitari al proprio interno (come un intervallo con pubblicità di prodotti)? In questo ultimo caso, lutilizzo di pubblicità per un autosostentamento dei media ovviamente include la promozione verso l’acquisto di prodotti. Questo comporta almeno due grandi conseguenze. Innanzitutto la perpetuazione esatta di un sistema capitalistico basato principalmente sulla produzione e sul consumo di merci materiali. Poi la naturale predilezione per un palinsesto che non ostacoli la disposizione d’animo all’acquisto, che non sia dunque complesso, disturbante, problematico, pena l’immediata fuga degli investitori/clienti.

Qualcuno, nella letteratura di riferimento (cfr. per esempio Chomsky & Hernan 1988), aggiunge anche che la bassa capacità d’acquisto dei lavoratori abbia portato storicamente al disinvestimento nei mezzi di comunicazione più direttamente rivolti a questi ultimi, ma la dimensione generalista e una articolazione maggiore delle analisi di consumo inficia, almeno ad oggi, questa ipotesi.

La dimensione economica della proprietà editoriale e le nuove “superstar firms”

La quantità di investimenti necessari in un dato momento storico per possedere e fare funzionare un determinato mezzo di produzione comunicativa è un elemento chiave. Proviamo a valutare due casi, lontani nel tempo ma che hanno le stesse conseguenze sul sistema generale della comunicazione.

Probabilmente l’analisi più famosa è quella che ci suggeriscono Curran e Seaton nella loro storia dei mezzi di comunicazione quando seguono l’ascesa dei giornali radicali dei lavoratori, che lo Stato nazionale cerca di bloccare attraverso una serie di costrizioni economiche alla pubblicazione che sono ostacoli spesso insormontabili, come le ingenti cauzioni da depositare prima di andare in stampa. Però, nonostante tra il 1853 e il 1859 le nuove norme sulla responsabilità eliminarono praticamente questo ostacolo, ugualmente non ci furono più giornali radicali che sostenevano le stesse posizioni. Perché? Probabilmente, perché mentre nel 1837 ad un giornale nazionale bastavano mille sterline per andare in attivo, nel 1867 per il lancio di un quotidiano ne servivano 50.000, nel 1918 il Sunday Express, che vendeva 250.000 copie raggiunse il pareggio di bilancio solo dopo aver speso 2 milioni di sterline. Tutto questo fatta salva l’inflazione e solo a causa della radicale trasformazione tecnologica e industriale e del livello necessario di scala per essere competitivi o semplicemente esistenti sul “mercato”. Allo stesso modo, negli Stati Uniti si passa dai 69.000 dollari del 1857 per aprire un quotidiano ai 18 milioni di dollari del prezzo di vendita di un giornale cittadino negli anni ’30.

Negli ultimi 20 anni, il sistema economico mondiale è stato letteralmente dominato da alcune imprese molto grandi, note come “superstar firms”, come Amazon, Apple, Google, Facebook (ora Meta) e Microsoft, in grado di esercitare un potere di mercato smisurato e anche di generare profitti enormi e, sotto alcuni punti di vista, anomali. Infatti, nonostante i rendimenti straordinari per gli azionisti, per tutti gli altri players concorrenti e addirittura per gli stati nazionali su un piano geopolitico la loro preponderanza è fonte di problemi e preoccupazioni.

Questa situazione “comunicativa” infatti sia dal punto di vista globale sia da quello nazionale è da considerarsi veramente problematica, per usare un eufemismo. L’OCSE, un organismo sovranazionale, che raggruppa i 36 paesi più industrializzati e che monitora le varie dinamiche internazionali ha ben chiaro che anche dal punto di vista dei governi nazionali la situazione non riesce a essere controllata:

La disinformazione non è un fenomeno nuovo e continuerà a esistere in tutte le società, indipendentemente dalla forza della democrazia o delle istituzioni dei Media al loro interno. In passato, tuttavia, le limitazioni tecnologiche alla diffusione delle informazioni e la combinazione di una limitata regolamentazione governativa e di controlli e contrappesi offerti dalla stampa e dalle istituzioni dei media e dell’informazione dalla loro governance hanno contribuito a limitarne la diffusione. Ciò ha contribuito a creare democrazie con ecosistemi mediatici e informativi che, pur essendo meno dinamici e diversificati di quelli attuali, erano relativamente stabili e in grado di prevenire un certo grado di polarizzazione e di suscettibilità alla disinformazione diffusa da attori stranieri o nazionali.

L'emergere di spazi di comunicazione online e di piattaforme di social media che consentono a chiunque di essere istantaneamente una fonte di informazioni (o di disinformazione) e di amplificare tali contenuti a livello globale ha rappresentato un cambiamento sistemico e fondamentale. Internet ha cambiato e facilitato la possibilità di creare e condividere contenuti in modi che si stanno solo iniziando a comprendere. (OECD 2022)

Sfruttare i meccanismi psicologici inconsapevoli

Un passaggio fondamentale dal nostro punto di vista avviene quando negli anni cinquanta, soprattutto negli Stati Uniti, l’industria e le agenzie di comunicazione a queste connesse cercano di sfruttare i saperi della ricerca psicologica per utilizzare i moventi inconsci e inconsapevoli di donne e uomini e indurli a acquistare tipologie specifiche di prodotti[1]. Il vero scarto che interessa qui, dal punto di vista della comunicazione dell’informazione, però non è rappresentato dall’induzione all’acquisto, piuttosto dal fatto che non si cerchi di produrre un oggetto che incontri il favore del pubblico – così come si potrebbe pubblicare una notizia o un commento condivisibile –, ma che si cerchino degli elementi per così dire “collaterali” all’oggetto stesso, senza che il pubblico o i consumatori se ne rendano conto, sfruttando dei meccanismi inconsapevoli.

Attraverso varie indagini, dai Focus Group alle indagini su campioni – ma sempre attraverso la lettura successiva dei dati risultanti da parte di esperti competenti –, si individuavano i possibili meccanismi mentali che agevolavano o al contrario rendevano difficile per un “consumatore”, un potenziale acquirente, la scelta del prodotto in questione. Ovviamente non era il prodotto a cambiare, ma la sua “narrazione”, il sistema mentale e linguistico nel quale veniva immerso o che esso stesso produceva nella percezione psicologica dei soggetti coinvolti. Valga come esempio, soprattutto per la ormai accertata nocività del prodotto, lo studio che permise alla Philip Morris, grande produttrice di sigarette, di incrementare le vendite tra il 1955 e il 1956 addirittura del 26% semplicemente modificando la presentazione al pubblico, spostandola dalla “non irritazione” alla “leggerezza”, grazie alle indagini dell’agenzia di comunicazione Weiss & Geller.

I dati materiali della diffusione globale della comunicazione digitale

Per capire bene quale sia il contesto mondiale nel quale ci troviamo, è ora necessario valutare i dati internazionali di diffusione dello sviluppo della comunicazione digitale e, come vedremo, la base strutturale di una rivoluzione tecnologica che è già presente e soprattutto ormai pervasiva.

Quasi il 70% della popolazione mondiale, cinque miliardi e quattrocento milioni di persone, hanno accesso al mondo digitale e questo numero è in aumento continuo con un tasso di incremento annuo tra il 3% e il 5%. Ovviamente luso di internet è maggiormente diffuso nei paesi con redditi pro capite più alti, raggiungendo quasi luniversalità della popolazione con il 93%, mentre in quelli a reddito più basso la percentuale è del 27% (ma è sempre comunque in salita, anno dopo anno).

In particolare, si deve notare che, anche se si guarda ai dati scorporati per età, i paesi con una minore ricchezza diffusa e uno sviluppo tecnologico inferiore raggiungono comunque cifre considerevoli. In Africa, per esempio, a fronte del 33% totale di popolazione che accede alla rete, la percentuale dei giovani tra 15 e 24 anni cresce fino al 53%, cioè più della metà della popolazione di quella fascia d’età. In Europa la stessa fascia raggiunge addirittura il dato quasi limite del 98%.

I dati di ITU 2023, l’Agenzia delle Nazioni Unite a cui si fa riferimento, sono aggregati in due forme diverse: per continenti o aree geograficamente afferenti (con la stupenda inclusione del Commonwealth che agisce da secoli come area economicamente omogenea) e per raggruppamenti di paesi a basso, medio (due fasce) e alto tasso di reddito. In tutte queste aggregazioni vengono considerate anche isolatamente le aree urbane e quelle rurali. Ovviamente non è una sorpresa il risultato su base mondiale della penetrazione (81% aree urbane vs 50% aree rurali) ma colpisce la diffusione in Europa, in America e nel Commonwealth, nelle cui aree rurali almeno l80% della popolazione ha comunque un accesso, con un dato che in Europa arriva addirittura all88%.

Laltro dato fondamentale per capire a quale punto la fruizione della comunicazione sia ad oggi strutturalmente e irreversibilmente mutata è costituito dal numero di contratti per il cellulare e di contratti di banda larga sempre per il cellulare, rispettivamente 111 ogni 100 abitanti e 87 sempre ogni 100 abitanti (in Europa 123 e 110, nel Commonwealth 149 e 106). Praticamente nel mondo ci sono più cellulari che persone: quasi 9 miliardi. Per essere compresi bene però questi dati vanno confrontati con la quantità di traffico internet su dispositivi mobile e su quelli fissi per capire con esattezza la mole di dati che vengono prodotti comunque al mondo: nel 2022 le connessioni mobili hanno spostato 913 EB (esabites) – erano 419 nel 2019 – mentre le connessioni fisse hanno mosso 4.378 EB – 1.991 nel 2019.

La quantità di dati prodotti e trasmessi, la diffusione capillare di mezzi di ricezione e produzione, il completo coinvolgimento delle fasce più giovani sono le prove inoppugnabili di una vera e propria architettura comunicativa che ha ormai superato la massa critica e che quindi non solo agisce senza ostacoli nella propria estensione ma che, proprio grazie a questa massa critica, avanza con velocità sempre maggiore e con una dotazione straordinaria di risorse.

Larticolazione della comunicazione: l’Italia nel 2023

A questo punto, una volta chiarita la capillarità dell’estensione internazionale del fenomeno, proviamo a entrare di più nel caso di un paese industrialmente avanzato: l’Italia.

Secondo i dati Censis del 2023, la televisione raggiunge il 95,9% della popolazione e il 33,6% usa la versione mobile dei programmi televisivi. I telegiornali però sono usati come fonte di informazione solo dal 48%, con una progressiva diminuzione del 10,8 dal 2019 e del 3% dal 2022. Internet viene usato dal 89,1% degli italiani e i social network in particolare dall82%. Si ricordi che l’88,2% della popolazione in Italia possiede uno smartphone (la spesa per i telefoni è cresciuta dal 2007 del 727,9%) e l’83,7% afferma di informarsi attraverso il cellulare.

La comunicazione a mezzo stampa crolla inesorabilmente negli anni: i quotidiani nel 2007 venivano acquistati dal 67% degli italiani, nel 2023 la percentuale è scesa al 22%. Allo stesso modo i quotidiani online raggiungono ormai solo il 30,5% e a questi si affiancano i siti web dinformazione, stabilizzati dopo una forte crescita, che vengono consultati dal 58,1%. Linformazione via libro è utilizzata – ovviamente con pesi differenti rispetto al numero di libri letti – dal 45,8% in versione cartacea e 12,7% in versione digitale.

Impressionanti però sono i dati sui social network: WhatsApp è usato dall84,3% e addirittura dal 93% nella fascia dai 14 ai 29 anni. La stessa vasta diffusione, ma con un gap generazionale ancora maggiore, hanno YouTube, usato rispettivamente dal 62,6% e dal 79,3% dai giovani, Instagram 48,7% e 72,9%, e infine TikTok 28,9% e 56,5%. Il gap generazionale agisce al contrario nel caso di Facebook con il 61,9% sul totale e “solo” il 50,3% della fascia più giovane. In controtendenza, si trovano solo Linkedin, social dedicato a questioni professionali, e i siti porno come Youporn e simili.

Da notare inoltre che alcuni social network a volte sono rafforzati dalla “nuova” funzione di fonti di informazioni, in alcuni casi ricalibrando le vocazioni originarie, come nel caso di YouTube, che da entertainment è passato anche a una dimensione informativa, grazie alla quale dal 2019 al 2023 ha aumentato del 6,6% la percentuale della popolazione che la considera tale, raggiungendo il 18,5%. Fonte di informazione, soprattutto per la fascia giovanile, altrettanto usata è diventata Instagram, per alcuni (il 15,3%) addirittura considerata dichiaratamente una fonte informativa.

In ultimo risulta imbarazzante l’individuazione dei motori di ricerca come Google e altri considerati come fonti dirette di informazioni per il 29,6% (e per giunta in crescita sensibile di 6,2 punti dal 2022). Si pone qui in maniera inequivocabile la questione critica della comprensione reale dell’autorevolezza e dell’attendibilità delle fonti, poiché nel momento in cui si ritiene valida una fonte di fonti altamente variegate, come è un motore di ricerca web, evidentemente non si conoscono con chiarezza gli elementi base del valore scientifico e informativo. In diverse tipologie di test effettuati su studenti, studenti universitari, professori di storia e fact-checkers  (cfr. Gigerenzer 2022) le percentuali di coloro che erano in grado di valutare l’affidabilità delle informazioni e di ragionare criticamente e capaci di verificare quanto letto si sono rivelate addirittura drammatiche: il 10% degli studenti (il 40% nel caso specifico di quelli di Stanford, una delle grandi e rinomate università della Silicon Valley), il 60% dei professori e, per fortuna, il 100% dei fact-checkers, a riprova che il compito era possibile.

Le raccomandazioni come sistema indotto di controllo e delimitazione

La vera questione, a questo punto, si rivela essere la possibilità – dal punto di vista tecnologico e delle risorse economiche necessarie – dellindividuazione sistematica e diffusa di comportamenti digitalmente rilevabili, attraverso lanalisi dei quali, grazie alle risorse dell’Intelligenza artificiale, si possono costruire modelli di previsione con un’altissima accuratezza.

Un esempio eclatante e diffusissimo di questo meccanismo è quello di Netflix, con i suoi attuali sistemi di organizzazione, e che deve il suo grande successo agli algoritmi di raccomandazione, che “ufficialmente” consigliano agli utenti dei prodotti che potenzialmente potrebbero rientrare nei loro desideri o almeno nelle proprie abitudini di visione. Da compagnia di noleggio DVD nel 1997, oggi Netflix produce film che vengono candidati agli Oscar pur non essendo mai stati proiettati in cinema, soprattutto grazie all’efficacia degli algoritmi utilizzati dalla piattaforma. Il suo primo algoritmo si chiamava Cinematech e funzionava essenzialmente sulla base delle valutazioni degli utenti. Ma nonostante la relativa efficacia, la compagnia istituì un premio di un milione di dollari per chi fosse riuscito a trovare un algoritmo che migliorasse i risultati attesi di almeno il 10%. Non può essere indifferente che i vincitori nel 2009 fossero alcuni ricercatori che venivano dal dipartimento di ricerca statistica di AT&T, un colosso della telefonia. Negli anni successivi ci sono stati nuovi premi e nuovi vincitori e i nuovi algoritmi hanno potuto usufruire di database con dati sempre più articolati e differenziati.

La comodità e l’utilità di questo sistema anche dal punto di vista dell’utente sono innegabili, ma si faccia attenzione a due aspetti fondamentali di questo meccanismo. Innanzitutto esse sono il frutto di una sistematica analisi di ogni nostro “comportamento” su quella piattaforma, compreso lo scorrimento dei titoli e il tempo della scelta o della non scelta e, pur senza entrare nelle delicate e problematiche questioni della privacy, queste rappresentano una forma di controllo ben più che pervasivo. Allo stesso tempo, la linea tracciata dalle raccomandazioni spesso impedisce la reale possibilità di conoscere e sperimentare prodotti nuovi, restando sempre all’interno della propria rassicurante “bolla”.

Questo identico meccanismo viene utilizzato nei vari social network, da Facebook a Instagram, passando per X (ex Twitter) e TikTok, e assume varie denominazioni, come per esempio Timeline. Solo che in questo caso, poiché a essi, come abbiamo visto, viene spesso attribuita, forzosamente o meno, la dimensione di strumenti per ottenere informazioni e notizie dal mondo, questa “bolla”, costituita dalla timeline che lalgoritmo ci propone e presenta, costituisce un limite non proprio invalicabile ma sicuramente spesso mai valicato per uscire dalla tipologia di discorso tipica delle opinioni predominanti della bolla di riferimento.

Un dato ulteriore è necessario per comprendere che determinati comportamenti non restano solo nella sfera immateriale e digitale, ma hanno immediata applicazione anche nella realtà tangibile della produzione e della logistica. Nella fattispecie, Amazon, sempre attraverso lanalisi dei comportamenti online, delle visualizzazioni, degli acquisti precedentemente effettuati, e soprattutto di un numero infinitamente grande di utenti e acquirenti è in grado di effettuare delle accuratissime previsioni di acquisto, tanto certe da mobilitare in anticipo la merce nei magazzini più vicini per accelerare poi lintero processo di commercializzazione. Sia nei grandi depositi di scambio sia in quelli vicino alle piccole città vengono accumulati quei prodotti che, attraverso una minuziosa applicazione degli algoritmi sui comportamenti digitalmente osservabili di tutti gli utenti di quell’area, si prevede possano essere acquistati nelle ore successive. La capacità di previsione ha addirittura permesso ad Amazon di sviluppare due modalità ulteriori di acquisto, che vengono oggi definite Prime e Prime Now, le quali si caratterizzano per la possibilità di ottenere la merce in due giorni nel primo caso e in una sola ora nel secondo caso. Questo comporta che anche nei magazzini, i robot che organizzano la merce dispongano vicino alle uscite quei prodotti che saranno potenzialmente acquistati nell’immediato.

Leterogenesi dei fini nelle società digitali

Mettendo insieme alcuni dati notiamo che da più di un secolo la concentrazione e la dimensione della proprietà dei mezzi di comunicazione rendono praticamente impossibile immettersi nel discorso pubblico e quindi, per chi ne usufruisce, accedere a informazioni che non siano quelle mainstream. Vediamo quindi che a partire dalle statistiche dell’accesso e del consumo dellinformazione, nelle società digitalmente avanzate, la concentrazione della proprietà delle piattaforme social e comunque della gestione dei flussi di comunicazione sono saldamente nelle mani di pochi soggetti che agiscono su base mondiale.

Inoltre la sovrastante potenza economica dei nuovi player della comunicazione che diventano anche soggetti strategici della diffusione e del controllo dell’informazione è assolutamente incontrastabile, finanche dagli Stati e dai governi nazionali. La loro dimensione sovranazionale e digitale infatti gli permette di non sottostare quasi mai, salvo casi di comodo, alle legislazioni nazionali, quasi come imperatori di uno spazio dove l’unica regolamentazione è data dalle scelte della proprietà. La diffusione capillare della strumentazione hardware e software, come abbiamo visto, sia su base internazionale sia su base nazionale, e le nuove capacità date dall’Intelligenza artificiale gli conferiscono un potere allo stesso tempo immenso e pericolosissimo in quanto letteralmente incontrollabile.

Registriamo poi che le forme di propaganda, siano esse direttamente politiche o rivolte, come la pubblicità, a indurre all’acquisto di determinati prodotti, hanno iniziato a usare, sin dagli anni ‘50 del ventesimo secolo, tecniche in grado di ipotizzare, individuare e utilizzare moventi psicologici che inconsapevolmente inducevano a una scelta e che nei nostri anni, con un meccanismo simile, le modalità delle interazioni digitali degli individui, grazie alle capacità di elaborazione delle intelligenze artificiali, possono essere monitorate anche in tempo reale e produrre previsioni di comportamento accuratissime.

A queste condizioni oggi si aggiunge un’altra “nuova” tecnologia, in ascesa inesorabile: la LLM (Large Language Model), cioè il modello di rete neurale in grado non solo di comprendere i linguaggi umani generali ma anche e soprattutto di produrre testi che ad oggi sono praticamente indistinguibili da quelli scritti da donne e uomini. In Italia, l’applicativo più conosciuto che si basa su questa metodologia è Chat GPT.

La funzione e l’obiettivo principale di queste ricerche applicate era ovviamente la semplificazione dellinterfaccia essere umano-macchina, in modo da potere impartire ordini e comandi sempre più complessi con sempre maggiore facilità. A titolo esemplificativo si pensi solo al passaggio dalle schede perforate, ai comandi dell’MS DOS, che hanno caratterizzato la prima reale diffusione dei PC domestici, e poi ai sistemi operativi basati sulle icone e sul puntatore. Fare eseguire un compito rivolgendosi alla macchina attraverso il proprio linguaggio naturale è un traguardo incredibile.

Ma come corollario di questa capacità, ovviamente, dal punto di vista di una analisi sulla manipolabilità delle opinioni, la possibilità di creazione discorsiva indotta, capillare e non individuabile, in un contesto dove le condizioni materiali e tecnologiche di questa possibilità, sono ormai costruite e radicate, rischia di diventare un vero pericolo per un dibattito democratico, soprattutto nei paesi più avanzati.

Nella letteratura vengono considerate due possibili problematiche: la “cattiva” composizione dei database di addestramento, che porta a bias comunicativi, e la creazione di fake news, false notizie. I bias, dipendono dal deep learning, la modalità di analisi dei dati testuali che può portare a vere e proprie distorsioni interpretative, seppur basate sui testi incontrati. Notissimi sono i casi nei quali vere e proprie discriminazioni di razza o di genere vengono interpretate come dati oggettivi, come quando si parla dei giusti salari per le donne o dei tassi di criminalità nei gruppi etnici. Le fake invece si basano su dati totalmente falsi. In questo caso, ci sono due possibilità: o l’IA li ha creati partendo da una mancanza di dati specifici e come è nelle sue capacità ha ricostruito degli elementi che sembravano probabili (in alcuni casi sono stati creati anche riferimenti bibliografici inesistenti), oppure le capacità testuali, connesse ai nuovi software in grado di creare immagini e video assolutamente veritieri con semplici comandi che usano linguaggio comune, sono state utilizzate da qualcuno per creare degli elementi che appaiono come veri, pur essendo inventati di sana pianta.

La democrazia in pericolo e la filologia comunicativa

Il pericolo per la democrazia è ben chiaro anche all’OCSE, come abbiamo visto, che sempre in OECD 2022 così scrive:

La diffusione di disinformazione e informazioni errate rappresenta una minaccia fondamentale per lo scambio di informazioni libero e basato sui fatti che è alla base della democrazia. Il modo più evidente in cui le informazioni fuorvianti e false distorcono l’impegno democratico è convincere le persone a credere a cose non vere, il che può essere particolarmente dannoso se finalizzato a demonizzare gli avversari politici, distorcere i dibattiti politici o minare le istituzioni democratiche. Rendendo più difficile l’accesso a informazioni e dati tempestivi, pertinenti e accurati, l’amplificazione dei contenuti della disinformazione e della cattiva informazione può minare la volontà e la capacità del pubblico di impegnarsi in modo costruttivo nella vita democratica e, di conseguenza, la capacità della società di creare consenso.

L’OCSE propone come soluzione il coinvolgimento da parte dei governi nazionali degli altri attori sociali, gli stakeholder,  che ovviamente è sempre una articolazione consigliabile. Quello che però interessa a questa organizzazione internazionale, che ha una spiccata azione neoliberista, è cercare soprattutto di salvaguardare la concorrenza – considerata sempre la panacea – in presenza di monopolisti ormai tanto forti da essere fuori dal controllo anche degli Stati.

Ma il vero pericolo, ancora non chiaro sia in letteratura che nelle consapevolezze dei decisori politici, è la possibilità materiale di questi grandi player di influenzare l’opinione pubblica e ogni singolo individuo, in maniera diretta ma impercettibile, utilizzando l’incommensurabile potenza comunicativa che praticamente a tutti i livelli non lascia molte possibilità di interpretazione corretta dei fatti. Se partiamo infatti dalla mancanza di capacità e di competenze testuali – con l’eccezione dei fact checkers che però non sono dei reali influencer sociali – è veramente difficile comprendere la veridicità di un testo o di una notizia, di valutarne fonti e autorevolezza o scientificità, soprattutto se queste informazioni passano attraverso canali finora utilizzati per fini diversi e che proprio per questo motivo richiedono uno sforzo ancora maggiore per costruire un giudizio valido e efficace.

Ovviamente non è possibile qui indicare una possibile soluzione che non sia stata già presa in considerazione. Però, se si tiene conto della difficoltà sia di confronto economico che di possibile regolamentazione giuridica delle azioni (le disposizioni di salvaguardia della privacy non sono in grado di opporsi, né soprattutto avevano questo scopo), resta solo un ambito nel quale nel medio termine si può cercare di sviluppare un vero e proprio contropotere: l’elevata competenza testuale, con annesse le metodologie di una nuova filologia comunicativa che sappia leggere il testo e saperlo relazionare con il sistema comunicativo esterno e con il mondo storico, sociale e economico, con la capacità di interpretare il valore di fonte in comparazione con i dati esterni.

Questa competenza può e deve essere promossa e incentivata dai sistemi d’istruzione nazionali, con delle nuove aggregazioni di saperi che siano indirizzati esattamente a quanto era difficile anche per gli studenti universitari di Stanford. Alla fine, probabilmente era vero quello che dicevano alcuni: la scuola non deve preparare solo al mondo del lavoro, ma formare cittadine e cittadini, donne e uomini che sappiano prendere la parola.

Almeno, se si vuole vivere in una democrazia.

Bibliografia

Amatriain & Basilico 2013: Xavier Amatriain & Justin Basilico, System Architectures for Personalization and Recommendation, Netflix Techblog, March 27, 2013.

Censis 2024: Censis, Il vero e il falso. Diciannovesimo rapporto sulla comunicazione, 2024.

Chomsky & Hernan 1988: Noam Chomsky & Edward S. Hernan, Manifacturing Consent, Pantheon, New York, 1988 (in it. La fabbrica del consenso, Marco Tropea, Milano, 1998).

Gigerenzer 2022: Gerd Gigerenzer, How to Stay Smart in a Smart World Why Human Intelligence Still Beats Algorithms, Penguin Books, Londra, 2022 (in it. Perché l'intelligenza umana batte ancora gli algoritmi, Raffaello Cortina, Milano, 2023).

ITU 2023: Measuring digital development, Facts and Figures 2023, ITU Publications, Ginevra, 2023.

OECD 2022: OECD, Building Trust and Reinforcing Democracy. Preparing the Ground for Government Action, https://doi.org/10.1787/76972a4a-en.

Packard 1957: Vance Packard, The Hidden Persuaders, David Mc Kay, New York, 1957 (in it. I persuasori occulti, con il saggio I persuasori occulti rivisitati negli anni ottanta, Einaudi, Torino, 1989).


[1] Vance Packard, pubblica The Hidden Persuaders, I persuasori occulti, proprio per raccontare questi tentativi 

L'autore

Claudio Franchi