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CNR 100 anni dopo. Quale futuro per la ricerca italiana

Il CNR compie 100 anni e celebra questa scadenza con una lunga serie di iniziative che ne promuovono la storia, il ruolo, i risultati, le prospettive. 100 anni in sé non sono pochi anche se nel confronto con le altre istituzioni scientifiche nazionali, dall’Accademia dei Lincei alle più storiche Università, finiscono per rappresentare una tappa tutto sommato parziale e limitata. Ma possono fornire l’occasione per cogliere, attraverso una rivisitazione del percorso fatto, quegli elementi che siano in grado di caratterizzare, e validare, il percorso ancora da fare. Il CNR è un’istituzione di ricerca del Novecento, con analogie e differenze con le altre istituzioni estere paragonabili. Ma più che un confronto vorremmo provare a proporre una riflessione sulle scommesse (o le sfide) che ci riguardano e quanto queste siano condizionate dal percorso finora fatto e dagli esiti che si sono determinati. Il tutto confessando che le considerazioni qui espresse sono anche il risultato di una personale esperienza che ha accompagnato, con ruoli e sedi diverse, praticamente la metà del periodo considerato, tale pertanto da riflettersi inevitabilmente nei commenti.

La ricerca, la politica, le risorse

La storia iniziale è relativamente nota. Pensato in un contesto internazionale all’epoca della prima guerra mondiale (il Consiglio Internazionale delle Ricerche, con sede a Bruxelles, del 1919), sotto la spinta di un matematico di fama e di frequentazioni internazionali nonché senatore del Regno (Vito Volterra), presto ci si accorge che l’idea iniziale fatica non poco a trasformarsi in realtà concreta, anche per le turbolenze di quegli anni. Volterra già dirigeva l’Ufficio Invenzioni, da lui trasformato nel 1918 in Ufficio Invenzioni e Ricerca, per promuovere studi nel campo della fisica, della chimica, della metallurgia e dell’ingegneria, a testimonianza di una convergenza (auspicata) tra le esigenze industriali, le aspettative militari e la potenziale offerta della ricerca e della tecnologia. In altri termini, se l’idea di promuovere ricerche finalizzate allo sforzo bellico e alla collaborazione industriale anche sovranazionale aveva trovato un terreno favorevole negli anni del conflitto, convertire questa idea (e dotarla di uno status e delle relative risorse economiche) diventa problematico anche per una personalità lungimirante e di potere come Volterra. Il primo atto formale è un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del febbraio 1919 che istituisce una Commissione per la “costituzione del Consiglio Nazionale di Ricerche” (si noti il “di”) al fine di promuovere «ricerche a scopo industriale e per la difesa nazionale». Ma devono passare altri quattro anni abbondanti (anni “pesanti”…) fino al 18 novembre 1923 quando un decreto del Presidente del Consiglio Benito Mussolini istituisce il Consiglio presso l’Accademia dei Lincei, di cui peraltro Volterra era Presidente. Ed è appunto questa data che dà il via all’Ente e che non da oggi si considera come l’avvio.

La convergenza di interessi tra la volontà dello scienziato imprenditore e il nascente regime fascista presto si scontra con due elementi che caratterizzeranno quasi sempre la storia dell’ente: la scarsità di risorse e il primato della politica sulle sue scelte. Nel 1927 a Volterra, ebreo e certamente non fascista, succede Guglielmo Marconi che rappresenta l’asso che il regime gioca nella partita. Membro del Consiglio del Fascio, premio Nobel, scienziato di prestigio ma anche prossimo all’industria, il nuovo Presidente ha tutte le caratteristiche per consolidare il nuovo ente, che guiderà per un decennio fino alla sua prematura morte, anche ottenendo il finanziamento per la nuova sede, realizzata a fianco della città universitaria e, grazie a un primo incremento di bilancio, progettando la realizzazione di alcuni “istituti nazionali”, ovvero di laboratori su grandi tematiche di interesse nazionale. Ma nel frattempo si era rotto l’equilibrio iniziale: il paese aveva scelto l’autarchia, la scienza doveva essere al servizio del disegno politico e del crescente sforzo bellico, la dimensione internazionale non era più un obiettivo e, di conseguenza, dovendo sostituire Marconi, Pietro Badoglio, al ritorno dalla campagna d’Africa, rappresentava un coerente e convincente presidente per la nuova fase.

Se l’avvicendamento dei primi tre presidenti ben illustra il problematico ventennio iniziale di vita dell’Ente, si può ragionevolmente sostenere che la vera nascita vada associata al Decreto Luogotenenziale del marzo 1945 che definisce il CNR come organo dello Stato, con una propria personalità giuridica e posto alle dipendenze della Presidenza del Consiglio. Tutti elementi che esemplificano la volontà di assegnare all’Ente un ruolo nella ricostruzione del Paese e che il Presidente Colonnetti, matematico, ingegnere e antifascista, accompagnò per dodici anni fino al 1956. Anni caratterizzati da andamenti alterni di bilancio e da una sostanziale discrasia tra il ruolo e le risorse, tale da penalizzare la realizzazione delle diverse iniziative in cantiere, a partire dal ridotto numero di persone impiegate direttamente nella ricerca dell’ente. Un elemento che ha connotato tutta la storia, almeno fino alla fine del secolo scorso, è costituito dalla presenza dei “comitati” ovvero dal fatto che il Consiglio in quanto tale era il punto di convergenza di attività e proposte articolate per tematiche e discipline a cui concorrevano i singoli comitati, con composizione variabile ma con la presenza dell’accademia, della finanza, della pubblica amministrazione e della politica. Un secondo elemento, quasi una naturale conseguenza della debolezza e della scarsità di risorse, nonché dalla costante influenza dell’Università nelle scelte, riguarda la modalità organizzativa che ha visto negli anni la prevalente presenza di Centri di studio e Gruppi, caratterizzati da accordi e collaborazioni tali da caricare sui partner (spesso accademici) i costi della ricerca e del personale, salvo poi premiare la collaborazione con riconoscimenti vari. Entrambi questi elementi verranno sostanzialmente modificati dai processi di riforma che, con una certa schematizzazione, possono essere incardinati sui passaggi chiave quali la Legge 283 del 1963 (istitutiva del Ministero di coordinamento della ricerca, senza portafoglio), la stagione dei progetti finalizzati (a partire dalla metà degli anni ’70), l’istituzione del Ministero Università e Ricerca con portafoglio alla fine degli anni ’80 e l’avvio del ciclo di riforme avviate dal riordino del sistema ricerca con l’abolizione della funzione di Agenzia attraverso la soppressione dei comitati nazionali di consulenza a partire dal 1999.

Questioni organizzative e di ruolo. Rapporto con le comunità scientifiche

Il CNR di questo millennio è dunque un ente che ha perso la funzione di “agenzia nazionale” a cui tutti potevano rivolgersi per promuovere attività e ricerche (una funzione esercitata dai Comitati nazionali di consulenza), ha visto venir meno l’Assemblea nazionale costituita dai Comitati e quindi ha perso la “rappresentanza” dell’insieme delle comunità scientifiche, non svolge più la funzione istituzionale di predisporre la “Relazione sullo stato della ricerca”, ha strutturato la propria attività di ricerca in istituti, articolati su più sedi e dalla forte caratterizzazione tematica (anche per accorpamenti di pre-esistenti strutture realizzati in epoche e con modalità diverse) e associati in – pochi – Dipartimenti nazionali. I Dipartimenti a loro volta non esplicitamente disciplinari, esercitano una funzione sostanzialmente “a metà strada” tra un approccio top-down come espressione della centralità di visione della Presidenza e uno bottom-up come risultato della proiezione dell’operatività degli istituti e delle domande raccolte sul territorio, con l’ovvia conseguenza di una non chiarezza di ruolo e col rischio di collocarsi in un limbo non meglio definito. Trattandosi di una istituzione di ricerca sia a livello centrale sia a livello periferico vi sono poi i diversi “Consigli scientifici” e, sempre per quanto riguarda il territorio, si segnalano le concentrazioni territoriali (le “Aree di ricerca”) che hanno rappresentato lo sforzo di dare identità, anche sul versante localizzativo, a realtà che hanno spesso dovuto faticare a trovare sedi coerenti e idonee al lavoro di ricerca.

Un Ente quindi “presidenziale”, con un Consiglio di Amministrazione espressione di quelli che possono essere considerati gli stakeholder, dai Ministeri alla CRUI e a Confindustria e con la presenza testimoniale di un rappresentante del personale eletto.

Statuti e regolamenti che si sono succeduti negli ultimi anni hanno poi dovuto affrontare la difficoltà di processi mai completati e a loro volta esposti a nuovi input e a nuove visioni. Il più recente, e forse il più ambizioso, processo è attualmente in corso sotto il titolo “Piano di riorganizzazione e rilancio”, formalmente approvato alla fine dello scorso anno e la cui implementazione avviene nello scenario costituito dal terremoto organizzativo generato dall’attuazione del PNRR che vede l’Ente coinvolto su una molteplicità di fronti.

La frammentazione dell'intervento pubblico nella ricerca

Quali, dunque, le criticità che sono sul terreno oggi? In primo luogo la difficoltà a rappresentare un modello coerente e univoco di istituzione scientifica principale del Paese e questo per una serie di ragioni. In primo luogo la stratificazione dei lasciti e delle esperienze passate, spesso disomogenee e, soprattutto, mai valutate in termini di lezioni apprese, casi di successo da sviluppare e interventi da correggere. Se infatti nessuno può ragionevolmente mettere in discussione la qualità della ricerca svolta, in particolare per alcune eccellenze e per la copertura spesse volte pioneristica di tematiche di frontiera o multidisciplinari, risulta difficile trasferire questo giudizio sull’insieme di tutte le attività, in particolare perché il processo di riduzione sistematica delle risorse disponibili e di incertezza circa le prospettive future ha spesse volte alimentato uno spirito di sopravvivenza o di fantasia organizzativa che ha frenato una visione chiara e prospettica circa le scelte da intraprendere. Per non parlare poi dei richiami, anche questi periodici, a riferimenti internazionali a cui adeguarsi (uno fra tutti il Fraunhofer tedesco nella sua capacità di rapportarsi alle esigenze delle imprese e alla loro capacità di finanziamento). Richiami che sono avvenuti in contemporanea a quando, in particolare negli ultimi venti anni, si è proceduto con il varo di modelli alternativi di intervento pubblico come con l’Istituto Italiano di Tecnologia e la Fondazione Human Technopole (modelli sostenuti con un finanziamento pubblico garantito e pluriennale e alleggeriti dai vincoli della pubblica amministrazione). Il tutto non rinnegando la funzione di “incubatore” di altre realtà scientifiche, funzione nata già nella seconda metà del secolo scorso con la ricerca nucleare e della fisica delle particelle (CNRN, poi CNEN/ENEA e INFN) e sviluppatasi con l’Agenzia Spaziale e col contributo all’INGV e all’INAF. La considerazione generale che se ne può trarre non è certo quella di una marginalità dell’Ente ma neppure quella di una centralità che avrebbe avuto bisogno di ben altri messaggi, sostegni e indirizzi programmatici.

La motivazione del personale

Un elemento centrale nella prospettiva dell’Ente riguarda il suo personale. Abbiamo già ricordato che il vero salto di qualità nasce giusto sessanta anni fa con la legge 283 che istituendo il Ministero di coordinamento della ricerca (senza portafoglio) investe nei fatti sul CNR, assegnandogli implicitamente il ruolo ministeriale, sia sul versante della rappresentatività del settore (attraverso l’elezione dei Comitati), sia su quello gestionale (rafforzando la sua capacità amministrativa generale nella sede centrale), sia, infine attraverso la propria rete scientifica distribuendola sul territorio in sedi autonome e in altre condivise con l’Università. Con la creazione venticinque anni dopo del Ministero dotato di proprie risorse, pur in presenza di un dualismo di attività che ha caratterizzato per alcuni anni il “quadro di comando” del sistema, l’Ente ha modificato il proprio organigramma e ha indirizzato la capacità amministrativa centrale non più a governo del sistema nazionale “esterno” ma a gestione della propria attività “interna”. Con l’ovvia conseguenza di una accresciuta difficoltà operativa nel rapporto tra la propria rete scientifica e l’amministrazione, accompagnata da una tendenza a burocratizzare relazioni che faticavano a essere comprese nella loro complessità.

La struttura del personale, la sua distribuzione nei diversi ruoli e nelle varie sedi, il ricorso a canali esterni di finanziamento come unica possibilità per sopperire alla cronica penuria con risorse lavorative “a termine”, salvo poi impiegarle in maniera continuativa nei processi ordinari di funzionamento, sia amministrativi che scientifici, hanno rappresentato uno storico collo di bottiglia per poter affrontare una credibile programmazione, hanno generato frustrazioni e, soprattutto, fughe verso soluzioni meno precarie o considerate di maggior prestigio. Con questi presupposti l’Ente risulta sottodimensionato come numeri complessivi, con una piramide delle età sbilanciata verso le fasce terminali e con flussi di ingresso (e di carriere) allineati con le “ondate” dettate dalle opportunità. Si obietterà che questo corrisponde anche al modello universitario che presenta caratteristiche simili ma, rispetto a questo, presenta l’aggravante che nei momenti in cui l’Università ha offerto opportunità di inserimento, si sono determinati dei flussi in uscita dal CNR che hanno sistematicamente “scremato” le funzioni scientifiche più rilevanti.

Costruire oggi una politica del personale (scientifico, tecnico e amministrativo) risulta perciò una priorità che deve essere basata, per quanto possibile, su criteri definiti, tempi certi, prospettive leggibili e verificabili, ovviamente accompagnate da una valutazione possibilmente non solo formale e consapevole dei contesti e delle difficoltà affrontate. Il tutto anche per evitare “scorciatoie” legate all’inseguimento dei titoli, degli attestati e delle pubblicazioni…

Le potenzialità

Un terzo elemento di riflessione riguarda l’identificazione di cosa il CNR è e rappresenta, quasi sempre accompagnato da una più chiara identità per come viene percepita sia dentro che fuori. Se il logo CNR costituisce un asset di sicuro richiamo («come sostiene il CNR» compare spesso nei resoconti anche giornalistici…) fatica però a essere concretamente associato a qualcosa di identificabile. La stessa natura di “Consiglio” che spesse volte viene mal tradotta dagli interlocutori con Centro o Comitato, indica sostanzialmente la possibilità di far convergere competenze e conoscenze e di fornire un supporto attraverso l’utilizzo di una base ampia “a disposizione”. Diventa perciò fondamentale favorire l’interazione e indirizzare i percorsi di accesso (e di domanda) verso il nodo più pertinente in grado di fornire la risposta più consona. Era questo l’auspicio attraverso cui sono stati istituiti i Dipartimenti e una delle motivazioni che hanno generato le Aree di ricerca che hanno goduto di alterne fortune ma che tuttora costituiscono una realtà che necessita di un pieno dispiegamento di potenzialità che non si possono limitare alla logistica, ai parcheggi o alla mensa.

Il CNR costituisce, come consistenza e considerazione generale, una “piattaforma tecnologica”, o meglio un insieme di piattaforme tematiche e territoriali, dai confini flessibili, che però devono diventare di dominio pubblico, nella loro composizione, nella loro capacità operativa, nell’offerta di conoscenze e competenze. Questo processo di condivisione, certamente non nuovo e più volte in passato avviato, deve raccordarsi con gli strumenti oggi disponibili e deve favorire quell’adeguamento organizzativo che accompagna naturalmente l’attività di ricerca e ne impedisce il rischio di ingessamento.

Organizzarsi per piattaforme può anche aiutare al superamento, auspicabilmente indolore, del modello dei Dipartimenti che non ha costituito una risposta convincente alle esigenze di coordinamento, oltre a favorire una maggior presenza nel contesto internazionale che rappresenta l’ultima dimensione delle considerazioni qui espresse.

Un patrimonio di conoscenze e tecnologie di valore internazionale

Abbiamo già ricordato il ruolo svolto dal “traino internazionale” nella nascita dell’Ente e nei passaggi chiave, a partire dagli accordi Euratom e dalle relative proiezioni sul processo europeo del mercato unico negli anni cinquanta del secolo scorso fino ad arrivare all’Unione Europea e alla sua crescita numerica e funzionale. In altre sedi abbiamo ragionato sul ruolo svolto dallo “spazio comune” promosso da Ruberti e poi diventato European Research Area (ERA) senza tralasciare il coordinamento tra le istituzioni di ricerca nazionali per armonizzare il panorama sovranazionale. Tutto questo ha trovato nuove motivazioni nel quadro degli scenari europei promossi dal vigente Programma Quadro, in particolare col Consiglio Europeo dell’Innovazione, con l’Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia, con il Consiglio della Ricerca Europeo, con le Missioni e i Partenariati. Operare su questa dimensione non costituisce certamente una novità per il CNR e i risultati, misurati attraverso i contratti acquisiti, rappresentano un buon indicatore. Ma la modalità partecipativa non è probabilmente ottimizzata in quanto oscilla tra l’adesione del singolo gruppo di ricerca, che presenta una maggior flessibilità ma soffre di deficit informativi e l’approccio centralizzato che finisce col livellare le diverse opportunità magari sacrificandone alcune.

Ripensare l’operatività per piattaforme, naturalmente flessibili e intrinsecamente aperte all’inclusione di competenze non presenti, può quindi costituire un passo in avanti nel realizzare interfacce funzionali e per superare una sorta di dipendenza che altre volte, in passato, ha finito per modellare la struttura organizzativa interna rispetto a organigrammi esterni.

Identità e ruolo, personale, modello organizzativo, dimensione internazionale, accanto a un ripensamento sulle risorse con un'enfasi specifica a cosa succederà al termine della bolla costituita dal PNRR, sono dunque le basi di una riorganizzazione che in forma sperimentale il Piano di rilancio dovrà mettere in atto. Il CNR è solo uno degli attori ma è sicuramente il principale di quella che cinquanta anni fa era stata definita come la seconda rete scientifica. Oggi siamo in presenza di reti di reti, con appartenenze e confini mobili, e i nuovi attori, anche nel panorama italiano lo stanno a testimoniare. Scegliere di riposizionare il CNR non limitandosi soltanto a motivarne l’esistenza sulla base del passato e dei risultati raggiunti ma, piuttosto, a rigiustificarne la prospettiva e l’esigenza rispetto alle scadenze future e alle sfide che ci attendono diventa un percorso fattibile solo se si riesce a operare, in forma integrata sugli elementi che abbiamo schematicamente commentato e poi riassunto. Il quadro politico con cui ci si confronta non è quello che ha avviato il processo di rilancio ma non è certo la prima volta che gli attori deputati a realizzare non sono quelli ipotizzati all’avvio del percorso. Questo in passato ha generato andamenti alterni e effetti condizionati. Ma non deve costituire l’alibi per non giocare tutte le carte. Solo così la scadenza del centenario potrà essere considerata non come un mero anniversario ma, anzi, potrà costituire una sorta di trampolino verso il futuro. E come si conviene in questi casi gli auguri sono in primo luogo a noi stessi come cittadini di questo paese, perché, come per il PNRR, un’occasione così non si ripresenterà a breve.

Alcuni riferimenti bibliografici

Bianco L. (2014): La ricerca e il belpaese, Roma, Donzelli.

Maiocchi R. (2003): Gli scienziati del duce. Il ruolo dei ricercatori e del CNR nella politica autarchica del fascismo, Roma, Carocci.

Quadrio Curzio A., Silvani A. (2018): Enti di ricerca e accademie nazionali: la cooperazione nella dimensione europea, in Collana Europa vol. II, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.

Quadrio Curzio A., Silvani A., Fortis M., Cerniglia F. (a cura di) - (2023): Le Piattaforme tecno-scientifiche in Europa. Ricerca, Economia, Innovazione, Collana della Fondazione Edison, Bologna, Il Mulino.

Simili R., Paoloni G. (2001): Per una storia del Consiglio Nazionale delle Ricerche, vol. 1 e 2, Bari, Laterza.

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L'autore

Alberto Silvani