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Oltre ai dati: prospettive sulla ricerca, l'innovazione e l'economia in Italia

“Questo appuntamento annuale era un momento di riflessione importante sia per il mondo scientifico che per quello politico. Oggi tutto questo non c’è più e io credo che la mancanza di una simile occasione abbia contribuito alla crescente disattenzione della politica nei confronti della scienza”. 

Con queste parole Lucio Bianco, già Presidente del CNR, commentava il ruolo svolto dalla Relazione sullo stato della ricerca nel bel libro sulla storia e le prospettive del CNR, scritto in forma di conversazione con Pietro Greco una decina di anni fa (La ricerca e il bel paese, Donzelli editore 2014).

La Relazione rappresentava un momento formale nel processo di programmazione delle politiche pubbliche sulla ricerca e, come tale veniva allegata al Bilancio di previsione per l’anno successivo, derivando dalla legge istitutiva del Ministro, senza portafoglio, per il coordinamento della ricerca (Legge 283 del 1963). Si trattava, dunque, di un documento fondamentale per il legislatore e gli organismi istituzionali competenti in questo campo, la cui preparazione, e la successiva presentazione e discussione, era, allo stesso tempo l'occasione per ragionare sui dati, commentare le scelte, renderle "partecipate", anche in ragione del fatto che tali scelte necessitavano, per la loro attuazione, dell'utilizzo di risorse non gestite direttamente dal Ministro in quanto in capo ad altri Ministeri o alla Presidenza del Consiglio. Dal 1989 sarà il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, istituito con la legge 168, ad assumere legittimamente la responsabilità della programmazione, del finanziamento e delle politiche della ricerca, sugli enti e le istituzioni direttamente amministrate, al posto del CNR, che, tra l'altro, rientrava, sebbene con un ruolo specifico, tra questi enti. La funzione di coordinamento, che motivava la Relazione, veniva confermata a livello interministeriale, diventando di conseguenza "più fluida", fino a una sua successiva revisione con i governi di centro-sinistra alla fine del secolo scorso, non ripristinando in ogni caso la Relazione.

Nei quasi quaranta anni che ci separano dal 1989, lo spazio documentativo e informativo è stato coperto da diversi attori. Tra questi “l’Annuario Scienza Tecnologia e Società” di Observa[1], pubblicato annualmente dal Mulino dal 2009 e precedentemente da Ergon. Senza dimenticare l’ampia pubblicistica maturata in ambito europeo, di norma alimentata da fonti nazionali, dall’Istat a studi promossi ad hoc.

Più recentemente (2019) il CNR ha ripreso a predisporre questa Relazione, non avendo però vincoli istituzionali ma in ragione del suo ruolo di maggior ente scientifico nazionale e utilizzando le competenze di politica scientifica al suo interno. E di questo abbiamo già parlato su questa rivista (cfr. Una scommessa per il rilancio del sistema paese, 11/12 - 2019Chiudere trent’anni di solitudine, 3/4 - 2020).

L’ultima edizione - quarta della nuova serie - chiusa a settembre dello scorso anno è stata presentata in un convegno a gennaio 2024 ed è scaricabile dal sito. È un documento corposo di circa 250 pagine, suddiviso in cinque capitoli di testo e un sesto contenente le tabelle e le figure che rappresentano gli indicatori.

CNR: Ricerca e innovazione

Le considerazioni più generali sono contenute nel capitolo 1 che illustra il finanziamento competitivo della ricerca e sviluppo per le sfide sociali e tecnologiche. In questo capitolo lo stesso indice dei paragrafi rappresenta un elenco delle problematiche e delle criticità, dalla limitata numerosità dei programmi, all’andamento discontinuo dei finanziamenti, dall’indirizzo verso obiettivi collegati alle “tecnologie abilitanti” e alle “grandi sfide sociali” a un auspicato cambiamento di rotta, reso anche possibile dalla consistente iniezione di risorse del PNRR.

A questo proposito le considerazioni finali del capitolo evidenziano come la conversione verso le tecnologie abilitanti e le grandi sfide, che caratterizzano la programmazione europea e le sue risorse, sia stata piuttosto tardiva (risale per l’appunto al disegno del PNRR) e non risulti certo favorita da una gestione accentrata sul Ministero che ostacola anche la condivisione di risorse e progettualità con altre forme di finanziamento, incluse quelle degli altri ministeri, non aiutando così la costituzione di reti di collaborazioni tra diversi organismi. A questo si aggiunge la discontinuità nel lancio dei bandi e la dilatazione dei tempi tra annunci, attivazioni, esecuzioni e rendicontazioni/liquidazioni che rendono la programmazione scarsamente praticata (e praticabile…). Il capitolo si conclude con una considerazione sulla gestione: per evitare sovrapposizioni o effetti avversi si rende necessaria una valutazione non limitata alla rendicontazione scientifica e finanziaria ma in grado di includere i processi e i loro effetti sui cambiamenti attesi. La lista dei suggerimenti è quindi chiara e necessita di una sua messa in opera.

I successivi quattro capitoli approfondiscono verticalmente alcuni - rilevanti - aspetti.
Nel capitolo 2, dedicato all’esperienza dei dottori di ricerca, ci si interroga sull’importanza assegnata alle esperienze internazionali nei corsi di dottorato rispetto ai tempi di ingresso nelle carriere accademiche. Dal quadro che ne esce risulta che nella maggioranza dei casi l’esperienza internazionale non accelera l’avvio del percorso accademico, ponendo di conseguenza alcuni interrogativi circa l’apertura del sistema nel suo insieme nei confronti di nuovi stimoli ed accresciute competenze, anche qui tenendo conto dell’importanza delle relazioni/network che si vengono a stabilire.

I due successivi capitoli trattano in sequenza la “questione brevettuale” e il modello - attuato dal CNR - di trasferimento tecnologico. Sul primo tema (brevetti) il posizionamento italiano è coerente, come specializzazione, con gli altri paesi europei ma, a differenza delle economie leader (USA, Cina, Corea del Sud) non risulta concentrato sulle tecnologie emergenti. Inoltre difetta per il numero complessivo di brevetti. Segnali incoraggianti sembrano emergere dalle capacità innovative stimolate dall’emergenza pandemica e, ancora una volta, dalle risorse aggiuntive associate a una stretta collaborazione tra imprese, università, enti pubblici di ricerca e, in generale, la Pubblica Amministrazione. Questa considerazione sostiene anche il messaggio contenuto nel capitolo sul trasferimento tecnologico dove, a partire dal confronto con alcune realtà internazionali di riferimento, emerge un quadro sostanzialmente positivo nel percorso di avvicinamento al mercato, un percorso, però, che non può essere svolto unicamente dall’ente di ricerca ma che presuppone il concorso di altri attori e un sostanziale contributo finanziario, volto anche a promuovere e sostenere la creazione d’impresa. Va però sottolineato che la positività complessiva risulta calmierata da alcune criticità su cui intervenire che penalizzano la performance delle strutture dedicate allo scopo. Criticità che vengono commentate e su cui vengono indicati suggerimenti e interventi.

Infine il capitolo 5 dove si analizza la fiducia nella scienza, letta attraverso l’esperienza dei vaccini e l’utilizzo dei dati Eurobarometro in diversi paesi. Il risultato è una crescente fiducia nella scienza, rafforzata dalla casistica pandemica ma collocata in una tendenza già espansiva. Dentro questa fiducia sembrano contrapporsi due visioni. La prima, definita come “salvifica” in quanto portata a risolvere, attraverso la scienza, tutte le questioni, incluse quelle collegate alla non rinnovabilità delle risorse utilizzate e ai cambiamenti dovuti all’eccesso di sfruttamento “ambientale”. La seconda “tangibile” in quanto migliorativa delle condizioni di vita, dalla salute al confort, e quindi con un impatto positivo sulla società. La correlazione tra livelli di conoscenza e di istruzione premia la scienza tangibile e manifesta una certa varietà (modularità) della fiducia, associata a una messa in discussione di modelli troppo semplificati nel rappresentare una realtà complessa come quella delle relazioni scienza-società.

La parte più quantitativa della Relazione è contenuta nel Capitolo 6 che aggiorna e contestualizza la fotografia. Trattandosi di dati in serie storica emerge una lenta ma costante crescita della spesa in ricerca e sviluppo rispetto al PIL, dove, a differenza del recente passato, sembra incrementarsi lo stanziamento pubblico rispetto alla spesa pubblica totale. Cresce anche il personale addetto alla ricerca in rapporto alla forza lavoro, in questo caso grazie al contributo delle imprese. Viene confermata l’eccellente performance italiana nelle pubblicazioni scientifiche, sia come numero, sia come impatto (letto attraverso le citazioni), rafforzata anche dall’alto numero di collaborazioni internazionali. Il grado di innovazione delle imprese italiane, come viene rappresentato dalla CIS (Community Innovation Survey), posiziona l’Italia in coerenza con gli altri paesi europei, sebbene l’European Innovation Scoreboard (EIS) confermi un grado di innovazione distante dai paesi leader a un livello complessivamente “moderato” e quindi bisognoso di interventi correttivi. I dati tuttavia indicano lievi miglioramenti, e quindi presentano una tendenza positiva, ma non in tutti gli ambiti esaminati. Ad esempio è il caso di dottori e dottorandi di ricerca che manifestano un gap con i principali partner internazionali.

Che quadro fornisce questa Relazione? Luci ed ombre, come correttamente ricordato nella premessa del volume dalla Presidente Carrozza (si veda in proposito l’intervista per il centenario dell’Ente sullo scorso numero di questa rivista) e come confermato dai partecipanti alla tavola rotonda che ha chiuso la mattinata di presentazione al CNR, una tavola rotonda che ha visto la presenza del presidente dei Lincei e di rappresentanti del mondo industriale e accademico.

OCSE: lo stato dell’economia italiana

Diventa quindi interessante leggere “in parallelo” la rappresentazione dell’economia italiana che viene fornita dal Rapporto OCSE pubblicato a gennaio OECD Economic Survey, Italy 2024, che pur non discostandosi da quanto già contenuto in precedenti indagini e rapporti di altre fonti, fornisce una serie strutturata di commenti e raccomandazioni, contestualizzate alla situazione attuale.

L’insieme delle raccomandazioni, contenute nella decina di pagine dell’executive summary, sono aggregate in tre capitoli principali: sostenere lo sviluppo economico mantenendo però sotto controllo il debito pubblico; rafforzare il potenziale di crescita rendendolo però più inclusivo; realizzare concretamente la decarbonizzazione dell’economia. Il rapporto, nella sostanza, evidenzia come ci si trovi oggi di fronte ad una sorta di spartiacque dove il “vecchio”, con i suoi retaggi e i suoi vincoli, rischia di sopprimere il “nuovo” con tutte le sue potenzialità, in particolare perché non ancora compiutamente espresse. Gli esempi che vengono portati riguardano il sistema fiscale (a un livello troppo elevato ma soprattutto disomogeneo rispetto alle contribuzioni) e, soprattutto, ancora debole nel contrastare l’evasione, il contrasto alla corruzione, la semplificazione delle procedure giuridiche e amministrative.  Il tutto in un quadro in cui la denatalità e l’invecchiamento vanno nella direzione di un accrescimento del debito pubblico o, in alternativa, in un peggioramento, già percepito, dei benefici e degli interventi di welfare. La necessità di interventi strutturali confligge con la tendenza a posticipare le decisioni impopolari e con quella ricerca di consensi “elettorali” che introducono ulteriori distorsioni e disparità.

Possono essere la ricerca e l’innovazione lo strumento per far pendere la bilancia nella direzione auspicata? Riprendendo l’alternativa tra scienza salvifica e scienza tangibile e adattandola ai dilemmi/scelte contenute nel rapporto OCSE, non vi è dubbio che nei prossimi anni sia necessaria una forte iniezione di scienza tangibile, dove gli effetti siano registrabili sull’insieme della popolazione, e in particolare delle sue fasce più deboli, mentre i costi non siano però proiettati sulle generazioni future. Il repertorio delle “soluzioni” che la ricerca offre, ognuna delle quali non neutra e quindi accompagnata da pro e contro, va pertanto tarato sui problemi che si vogliono affrontare, sulla lista delle priorità, sugli effetti attesi in una visione di medio lungo termine. La cosiddetta “transizione green” rappresenta un buon studio di caso, nelle alternative che pone, nella ripartizione dei costi, negli scenari che va a costruire. E nelle reazioni che suscita. Il recente convegno dell’Alleanza Clima Lavoro, promosso da Sbilanciamoci e tenuto alla Camera del Lavoro di Torino a fine gennaio ha dimostrato che concreti passi in avanti sono possibili proprio in un settore, quello dell’automotive, che ha rappresentato un modello per l’industrializzazione del secolo scorso e che è oggi investito da una trasformazione epocale.


[1] Observa Science in Society è un centro di ricerca indipendente che promuove la riflessione e il dibattito sui rapporti tra scienza e società, favorendo il dialogo tra ricercatori, policy maker e cittadini. L’edizione 2024 dell’Annuario (edizione speciale per il ventennio), di prossima presentazione, si caratterizza per la particolare ricchezza di contenuti e per offrire un’ampia panoramica sulle dinamiche attuali e le tendenze più significative nei rapporti tra scienza, tecnologia e società, dalla percezione pubblica alla fiducia verso gli scienziati e le istituzioni, dalle fonti di informazione agli orientamenti nei confronti delle tecnologie. Comprende anche un elenco di eventi relativi a queste tematiche e presenta una lista ragionata di film e serie tv che hanno raccontato la scienza e la tecnologia negli ultimi due decenni.

L'autore

Alberto Silvani