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Valutazione

Il voto a perdere

La cosiddetta “scuola senza voti” desta di recente grande interesse e curiosità, ma suscita anche non poche polemiche. Tradizionalmente la scuola, soprattutto la scuola secondaria di secondo grado, trova nel voto la sua più naturale espressione di istituzione deputata a formare giovani ragazzi e ragazze, offrendo loro una vasta conoscenza in diversi ambiti - letterario, scientifico, storico-filosofico, linguistico, artistico, ecc. - il cui livello di apprendimento deve essere misurato in termini numerici al termine di un processo formativo che può essere più o meno lungo, spesso a seconda della complessità dell’argomento insegnato e dei tempi necessari a “digerirlo”. Un approccio di questo tipo al voto numerico si basa, dunque, su un sistema scolastico di tipo trasmissivo, in cui chi insegna deve mettere a disposizione di chi impara le proprie conoscenze, misurandone il livello di apprendimento in maniera quanto più possibile oggettiva con l’ausilio di griglie di valutazione.

Va da sé che un siffatto sistema possa avere un impatto fortemente negativo sulla motivazione di studenti e studentesse, perché fa sì che la scuola possa venire associata a una sorta di “tribunale” in cui vengono emesse “sentenze” in grado di condizionare - se non addirittura di determinare - il futuro scolastico e professionale di uno studente o di una studentessa. La scuola diventa il luogo del giudizio, della punizione e della selezione, piuttosto che dell’ascolto, della condivisione di saperi e della formazione nel rispetto degli stili di apprendimento di ciascuna persona.

Voto numerico e didattica per competenze
Sebbene non abbia messo in discussione l’impianto della scuola basata sul voto numerico, un primo tentativo di aggiornare la scuola rendendola più vicina alle esigenze formative del complesso mondo contemporaneo è stato quello dell’introduzione della “didattica per competenze” che, ai sensi del DM 139/2007 e DM 9/2010, devono essere obbligatoriamente certificate per coloro che abbiano completato il ciclo decennale obbligatorio di studi.

Si è trattato di una rivoluzione per la scuola italiana, in quanto le conoscenze non sono più il fine ultimo della prassi didattica piuttosto uno strumento propedeutico allo sviluppo di abilità e competenze. Le une riguardano la sfera del “saper fare” applicando regole e ragionamenti sulla base di un modello dato o di una conoscenza acquisita; le altre pertengono all’utilizzo delle conoscenze acquisite e delle abilità sviluppate anche al di fuori dell’ambito scolastico, allo scopo di comprendere e risolvere problemi mettendo in atto le più opportune strategie.

Alla luce di questa innovazione, risulta evidente come un sistema scolastico basato sulla dicotomia insegnamento e relativo apprendimento a vari livelli (da quello scarso a quello eccellente) di singole discipline non sia più adeguato a rispondere ai nuovi bisogni formativi. Tutte le discipline devono, invece, concorrere allo sviluppo delle competenze che, non a caso, devono essere certificate collegialmente dall’intero Consiglio di classe sia per quanto riguarda gli assi culturali che accomunano le discipline (asse dei linguaggi, asse matematico, asse scientifico-tecnologico, asse storico-sociale) sia per le competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria (imparare ad imparare, progettare, comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire e interpretare l’informazione).

La recente introduzione della didattica per competenze ha sicuramente cambiato l’approccio alla didattica, ma non ha scardinato l’impianto di una scuola basata sul voto, la cui inadeguatezza è stata ulteriormente messa in evidenza negli anni della pandemia in cui il famoso “brutto voto” in molti casi ha turbato – forse eccessivamente – giovani ragazze e ragazzi già fortemente provati, con esiti talvolta fatali. In effetti, la questione del voto si qualifica come squisitamente docimologica – oltre che politica – e poco ha a che fare con le metodologie e le finalità didattiche che vengono perpetrate in maniera talvolta inerte.

Studi recenti in ambito psico-pedagogico (cfr., tra i molti, Stella 2016, Trinchero 2017, 2018, Corsini 2023 e la bibliografia ivi citata) hanno, invece, dato voce a molti dei sentimenti negativi associati al voto numerico provati da studenti e studentesse, inserendo in una cornice teorica scientificamente fondata il senso di preoccupazione, stress e ansia associato al tempo pre/durante/post-verifica.

In termini molto semplici e sintetici, si può affermare che questi studi – e la relativa applicazione di essi nelle classi in cui si adotta la valutazione senza voto – hanno portato all’eliminazione del voto compulsivo assegnato a ogni singola prova a vantaggio di una valutazione in itinere basata sull’osservazione sul lungo periodo del processo di apprendimento vissuto quotidianamente dal singolo studente e dalla singola studentessa. L’accumulazione dei voti è, infatti, priva di senso se si vuole intendere la valutazione come realmente formativa.

Ripensare il sistema di istruzione
Il voto può e deve essere formulato solo al termine di un percorso che può durare tutto il tempo necessario, anche un intero anno, come mostra la scelta di alcune scuole di abolire la tradizionale distinzione del tempo scuola in quadrimestri o trimestri. Il voto viene sostituito da un giudizio descrittivo formulato in itinere che sia in grado di far comprendere a studenti, studentesse e famiglie in modo esplicito, preciso e dettagliato quali sono i punti di forza e di debolezza di una prova o di un elaborato, quali gli aspetti da potenziare e quali da migliorare.

Una prospettiva di questo tipo stravolge nel profondo la scuola italiana e proprio per questo è forse temuta e respinta, anche se non mancano esempi di scuole virtuose in cui la sperimentazione è stata avviata e, nei casi più felici, procede. Tra queste, il Liceo Morgagni di Roma, il Liceo Copernico-Luxemburg di Torino e il Liceo Meucci di Aprilia.

Affinché una sperimentazione di questo tipo possa prendere sempre più piede e, finalmente, sistematizzarsi, è necessario un lungo processo di messa in discussione del sistema scolastico e un’accurata formazione dei docenti che possa offrire loro tutti gli strumenti metodologici necessari per elaborare una adeguata progettazione didattica, compresa l’elaborazione degli strumenti di osservazione, di valutazione e di autovalutazione.

La sperimentazione “senza voto” prevede una trasformazione della struttura della lezione, con predilezione di attività laboratoriali e di tutoraggio tra pari, chiamati di volta in volta ad autovalutarsi. In questo modo, durante la lezione gli studenti e le studentesse diventano responsabili della propria crescita culturale attraverso metodologie inclusive, esperienziali e a carattere cooperativo, in un clima di libertà e privo di competizione.

Viene privilegiato un dialogo formativo costante, fatto di stimoli e feedback continui che consentono ai docenti di modificare e migliorare in itinere la propria azione didattica in funzione degli obiettivi scolastici da raggiungere e agli studenti e alle studentesse di sviluppare le proprie capacità metacognitive, autovalutative e il proprio metodo di studio.

Scuola “senza voto” non significa però scuola “senza valutazione”. In effetti, per quanto concerne le modalità di valutazione, nel corso dell’anno gli elaborati possono essere valutati ricorrendo a un “profilo di competenze” elaborato per gruppi di materie afferenti al medesimo asse culturale. Il medesimo “profilo di competenze” può auspicabilmente essere dotato di un sistema di conversione del giudizio in voto numerico perché la valutazione numerica, in ottemperanza alla normativa vigente, deve essere espressa in sede di scrutinio finale, al termine di un processo formativo vissuto in serenità.

Da quanto brevemente riferito in questa sede, si può osservare come la questione del “voto” esca allora dai propri confini meramente docimologici per entrare in sfere più ampie e complesse che riguardano la formazione delle coscienze, l’acquisizione di un metodo di studio adeguato, la capacità di orientarsi con consapevolezza tra i propri prodotti nonché di autovalutarsi, competenze la cui validità non può essere messa in discussione da nessuna scelta politica.

Bibliografia

G. Stella, Tutta un’altra scuola! Giunti, Firenze 2016
F. Batini, Insegnare per competenze, I Quaderni della Ricerca #2, Lœscher, Torino 2013
E. Morin, La testa ben fatta, trad. it. di S. Lazzari, Raffaello Cortina, Milano 2000
C. Corsini, La valutazione che educa, Franco Angeli, Milano 2023
Trinchero R. (2017). Nove concetti chiave per un’istruzione informata dall’evidenza. pp.113-125. In FORMAZIONE & INSEGNAMENTO vol. XV

Trinchero R. (2018). Valutazione formante per l’attivazione cognitiva. Spunti per un uso efficace delle tecnologie per apprendere in classeItalian Journal of Educational Technology, 26(3), 40-55.

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L'autore

Rossella Iovino

Docente presso Liceo Statale A. Meucci di Aprilia

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