Politiche educative

27 ottobre 2021

Valutazione, una ferita ancora aperta del sistema scolastico

Lo scorso 20 ottobre la FLC CGIL ha organizzato un convegno dal titolo “Valutazione: prospettive a confronto”, alla cui registrazione integrale rinvio chiunque voglia approfondire.

Abbiamo chiamato a discutere con noi personalità del mondo accademico, della scuola e delle istituzioni. Abbiamo presentato un documento in cui abbiamo definito, con precisione, una posizione frutto di mesi di discussione pubblica e collettiva. Ne ho discusso personalmente con il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, al termine di una intensa tavola rotonda.

La mole di lavoro sviluppata dalla FLC CGIL è rigorosa e imponente, su un tema, la valutazione, di sistema e degli apprendimenti, ormai diventato centrale in ogni dibattito sul futuro della scuola, in Italia e in gran parte d’Europa. Così centrale che ogni tentativo di trasformazione o di riforma del sistema scolastico non può che passare da quell’analisi sulla valutazione.

Ne sono testimonianza i dibattiti in corso in Francia, Spagna, Gran Bretagna, perfino in Finlandia, considerata da molti come l’avanguardia tra i sistemi scolastici europei. Ovunque si discute come valutare le nuove generazioni, di docenti e studenti, che evidentemente presentano bisogni cognitivi, relazionali ed emotivi quasi del tutto inediti. E ovunque si cercano spunti per soluzioni non semplicissime da trovare. Tuttavia, ovunque, si ha la sensazione che quando si parla di valutazione si parla della situazione “ontologica” del sistema scolastico.

Anche in Italia, dunque, si è aperto, anche grazie alla nostra iniziativa, un dibattito, che ha dato ottimi frutti, perfino stando alle polemiche di questi ultimi giorni, le quali dimostrano quanto la valutazione sia in realtà una ferita ancora aperta del nostro sistema scolastico, e non ancora rimarginata. Soprattutto, abbiamo definito un documento in cui la valutazione non si chiude a imbuto sulla questione Invalsi, ma pur dicendo cose chiare sull’utilizzo delle prove invalsi e sulla deriva di questa impostazione si apre alla ricerca di nuovi sensi, nuovi significati e nuovi progetti di riforma.

Questa era la sfida del 20 ottobre. Ora, è accaduto che alcuni organi di stampa invece di comprendere l’altezza di questa sfida, di contribuire a sbrogliare la complessità dei temi posti sul tavolo, si sono limitati a “fare sintesi”, o sostenendo una falsità (“la FLC CGIL vuole chiudere l’Invalsi” e dunque anche il suo segretario generale si oppone ai test per sua figlia, con una orrenda e scorretta semplificazione personalistica) oppure sostenendo che il sindacato non si pone domande sulla necessità di introdurre innovazioni nella didattica o piuttosto rifiuta la formazione obbligatoria e altre amenità.

Le cose non stanno così, e vale la pena ribadire, ancora e sempre di nuovo, le nostre posizioni

Nessuno ha messo in dubbio il ruolo dell’Invalsi e l’uso diagnostico che possono avere gli esiti delle prove, soprattutto per la programmazione di percorsi di autovalutazione che le singole istituzioni scolastiche possono e devono mettere in cantiere, come attività ordinaria di miglioramento. Peraltro nessuno ha bistrattato il lavoro dell’Invalsi, sia nel nostro documento sia nel corso degli interventi al convegno. Noi contestiamo l’uso che si fa delle prove standardizzate Invalsi, diventate strumento distorto per una cattiva valutazione, fatta di graduatorie e di presunta premialità basate esclusivamente su criteri metricistici. Contestiamo la modalità censuaria delle prove che ha spinto nei fatti verso una deriva implicita del sistema nazionale di valutazione sintetizzabile nel modello della school choice.

Del resto quando la misurazione diventa l’obiettivo, cessa di essere una buona misurazione. Ribadiamo alcuni concetti: si discuta degli obiettivi e delle finalità, si scelgano modelli coerenti con una idea di scuola, si mettano da parte le prove standardizzate per passare ad un modello campionario

Su questo siamo stati suffragati ampiamente dalle posizioni favorevoli di illustri filosofi dell’educazione e pedagogisti, da associazioni di insegnanti, dai nostri dirigenti scolastici.

Ma soprattutto decidiamo che le informazioni sul sistema scolastico,  i suoi divari e ritardi noti e arcinoti, servano a qualcosa, cioè a produrre investimenti nella scuola a partire proprio dalle fragilità che sono da anni individuate: riteniamo prioritaria la diffusione del tempo scuola in tutto il paese, da attuare attraverso l’ampliamento degli organici, recuperando almeno quelle che avevamo prima della stagione Tremonti-Gelmini; così come riteniamo indifferibile un investimento specifico nella formazione a partire da quella in ingresso, al fine di garantire una reale percorso di valorizzazione del personale scolastico.

Quanto poi alla qualità dell’insegnamento e delle scuole: da anni chiediamo il rafforzamento del corpo ispettivo, non con funzione punitiva - perché la valutazione non deve essere mai punitiva - ma per individuare, in un modo dialogato, le difficoltà delle scuole. Del resto la nostra storia, recente e passata, ci ha visto sempre in prima linea per la scuola pubblica, costituzionale e democratica e per la valorizzazione del personale scolastico, richiedendo politiche scolastiche espansive che prevedano investimenti anche nella formazione e nel reclutamento del personale scolastico. Siamo stati promotori di altri momenti di approfondimento e seminari sulla professionalità docente ed ATA, sul sistema di reclutamento, sulla didattica innovativa: possiamo pregiarci dell’etichetta di “sindacato propositivo”, capace di avviare discussioni, problematizzare le criticità, proporre soluzioni. Soprattutto la nostra discussione è servita per ritornare sulla valutazione degli apprendimenti, che deve essere anch’esso uno strumento di riflessione degli alunni e dei docenti in un percorso di crescita. Dagli errori devono nascere opportunità, non sonore bocciature. Per questo ci siamo fatti promotori della riforma del sistema di valutazione degli alunni della scuola primaria, dove il voto numerico, di per sé asettico, è stato sostituito da una valutazione descrittiva e discorsiva che riesce a meglio orientare l’alunno nella sua coscienza critica e formativa. La valutazione di un alunno non deve essere un obiettivo, ma un indicatore di miglioramento.

Il vero problema è l’assenza di una responsabilità politica che assuma i problemi, assuma i dati, assuma le istanze delle parti sociali e ne faccia sintesi: oggi a stagnare è la politica, che si accontenta delle fotografie dell’Invalsi, anzi le utilizza per scopi classificatori, per alimentare la solita macchina del fango contro il pubblico impiego, contro la scuola, contro gli insegnanti, che nel giro di pochi mesi, dopo la Dad e la pandemia, sono passati da “eroi” a “fannulloni”.