La rivista

Politiche educative

Organi collegiali, libertà di insegnamento, identità culturale

Ricominciamo la nostra riflessione sugli organi collegiali a cinquant’anni dalla loro istituzione perché riteniamo che in questo momento debba essere aperta la discussione e il confronto e recuperare un filo che non si è interrotto, ma che, a un certo punto, anche nel lavoro della nostra organizzazione, più che interrompersi, si è come affievolito. Sicché, ancor di più oggi, abbiamo davvero tanto bisogno di riprendere in mano questo problema con volontà e determinazione perché esso è parte di un problema più grande che riguarda la scuola ma anche l’intera nostra società e la stessa qualità della nostra democrazia.

Una tematica, questa di oggi sugli organi collegiali scolastici, che non può essere appannaggio di poche persone che magari se ne occupano da tempo e con competenza, ma che deve uscire in campo aperto e interessare la sfera della politica che su questo ha la responsabilità dell’iniziativa concreta e delle soluzioni.

Una battaglia storica

La battaglia per l’istituzione degli organi collegiali fu una battaglia nostra, una battaglia confederale, inscritta dentro la più generale battaglia per la democrazia e i diritti civili e sociali che furono poi conquistati in una stagione particolare, quale fu quella degli anni ’70 del secolo scorso; una stagione che forse è irripetibile, ma che rimane a noi cara anche per la conquista delle 150 ore nelle fabbriche e per le conquiste che sono rimaste nella storia del nostro movimento sindacale.

Da questo punto di vista abbiamo il dovere oggi di ripartire da lì, di riattualizzare quei contenuti in una stagione politica che ha dei tratti profondamente diversi. E ripartire dal tema della partecipazione democratica che, come ci ricorda Massimo Baldacci, deve uscire da una dimensione sterile e predicatoria anche perché essa è questione che riguarda non solo la sfera della conoscenza e quella scolastica ma ha in sé i tratti della questione generale, dal momento che ha ormai attinto la dimensione politica ove si guardi alla partecipazione al voto da cui si è allontanata una larga parte degli strati sociali di nostro riferimento.

La collegialità e la crisi della partecipazione

Ma, rimanendo nel nostro campo, è indubbio che nella scuola si verifica un forte indebolimento della partecipazione con il rischio che ciò comporta su uno dei pilastri della nostra società civile e democratica che è la libertà di insegnamento anche declinata nella sua dimensione collegiale.

Si pensi alla funzione e al funzionamento del Collegio dei docenti, oggi messi in gravissima difficoltà dagli interventi di dimensionamento della rete che ne intacca e ne inficia la stessa struttura di organo di libera progettazione.

Ma questa particolare situazione di difficoltà del Collegio dei docenti in realtà fa parte di una più diffusa generale difficoltà di tutti gli organi e dei luoghi della partecipazione democratica, organi e luoghi che subiscono un processo di progressivo snaturamento.

Un processo che per altri versi riguarda anche la struttura delle relazioni sindacali e la forza dello strumento contrattuale, come ci ha ricordato il Prof. Ricciardi. Il nostro contratto non a caso è stato il luogo e lo strumento dell’affermazione della scuola come comunità educante, vieppiù rafforzata dall’aggettivo che abbiamo aggiunto proprio nell’ultimo contratto del 2019/21, come comunità educante democratica, essendo questa qualificazione la cifra ontologica ed esistenziale di una vera relazione didattica ed educativa che voglia essere produttiva di conoscenza e di cittadinanza nel rispetto e nella valorizzazione di ogni figura professionale che fa parte dell’attività educativa, ivi compreso il lavoro generale tecnico e amministrativo fino, naturalmente, a quello della dirigenza; senza dimenticare il ruolo dei protagonisti dell’educazione che sono gli studenti e, per quanto riguarda la comune responsabilità nella crescita della persona in formazione, la parte genitoriale che è elemento importante nella e della comunità scolastica.

E bisogna pur dire che all’affievolimento partecipativo di cui stiamo parlando non è estranea la montante torsione aziendalistica a cui sono state sottoposte da molti anni anche le istituzioni scolastiche che con sempre maggiore difficoltà resistono a questa offensiva funzionalista del liberismo che si crede trionfante in ogni angolo della vita quotidiana delle persone.

Di questa temperie negativa fa parte il ruolo del dirigente scolastico in quanto viene continuamente spinto verso una funzione manageriale che mal si attaglia alle comunità libere basate su legami non burocratici ma variabili perché funzionali alla crescita umana e culturale delle persone. Un luogo, quello scolastico, che è estraneo ai dettami dell’ideologia della ragione produttivistica che viene posticciamente calata su di un corpo non inerte ma vivo quale è quello della scuola che prima che di oggetti è fatto di persone in continuo rapporto di scambio umano e conoscitivo.

La deriva aziendalista

Il percorso imposto alla scuola in questi ultimi venti anni invece va in una direzione managerial/aziendalista che conduce allo snaturamento del contesto e delle professioni perseguito anche con interventi politici e legislativi che non hanno certo fatto il bene della scuola, ma che, anzi, hanno messo in discussione la stessa missione fondamentale dell’istituzione. Tutto ciò è parte di un’idea semplificatoria e distorta di cosa sia la democrazia, ridotta di fatto al rito della votazione periodica oltre il quale non è data nessun’altra forma di partecipazione e di incisione sulle scelte che riguardano la vita delle persone: qualsiasi elemento di dissenso va ridotto al silenzio. Lo stesso Parlamento è diventato un luogo di non confronto e di discussione e lo abbiamo visto in mille episodi e, per quanto ci riguarda più da vicino, nelle decisioni concernenti il dimensionamento della rete scolastica che sta portando al ridisegno dell’insediamento dei presìdi scolastici: un progetto che registra una forte opposizione non solo nostra ma degli studenti e degli enti locali. Ma lo abbiamo visto anche con le scelte di controriforma che si stanno attuando sulla filiera tecnico-professionale e sul liceo cosiddetto del made in Italy.

Il ruolo degli organi collegiali

La nostra opposizione a questi processi è molto netta, soprattutto quando si verifica ciò che sta accadendo in questi giorni, e cioè uno stravolgimento dei poteri degli organi collegiali le cui delibere di bocciatura delle proposte ministeriali di adozione delle sperimentazioni del liceo made in Italy e della filiera tecnico-professionale vengono superate da una decisione solitaria del dirigente scolastico. Ora, queste scelte di opposizione e di forte critica che esprimono i Collegi dei docenti e i Consigli di istituto sono un segno di vitalità, che va salvaguardata e difesa: cosa che, come sindacato FLC CGIL, stiamo facendo schierandoci e chiedendo gli accesi agli atti per contestare la validità delle procedure che non possono coartare la volontà degli organi collegiali perché per noi basta la contrarietà di uno solo di questi organi perché nessuna decisione possa procedere e avere validità.

Le forze parlamentari allora non possono far passare questi fatti sotto silenzio e non possono lasciare soli i sindacati e le scuole in questa battaglia che chiama in causa i processi democratici del nostro Paese; una battaglia che va oltre uno specifico terreno di scontro dove il ministro e le forze governative tendono a intestarsi un successo della sperimentazione che non c’è perché rigettata dalle famiglie, dagli studenti, dai docenti tramite i loro organi di rappresentanza.

Un disegno antidemocratico

Questa battaglia ha tanto più valore dopo l’approvazione della legge sulla cosiddetta autonomia differenziata che, per quanto riguarda la scuola, stravolgendo i fondamenti della Costituzione, trasferisce di fatto le norme generali dell’istruzione dallo Stato alle Regioni, con tutto quel che ciò significa in termini di personale, contratti, concorsi, programmi che perderanno il loro carattere nazionale per assumerne uno di localismo regionale.

Un'operazione di questa natura deve trovare la ferma opposizione dei democratici di questo Paese perché essa svela a tutti un'idea chiara, che è di smantellamento del sistema di istruzione e di neo privatizzazione di esso. Per quanto riguarda noi, diciamo chiaramente che la nostra organizzazione, rispetto a un progetto di questa natura, si opporrà strenuamente con tutte le proprie forze e con tutti gli strumenti democratici che potremo utilizzare.

L'autore

Gianna Fracassi

Segretaria Generale FLC CGIL.