Il Coordinamento Genitori Democratici nasce infatti proprio negli stessi anni degli organi collegiali: un convegno a Roma voluto da Tullio De Mauro ne sancisce il battesimo ufficiale.
È una nascita sostenuta dai partiti di sinistra che, con cautela, si rivolgono a una categoria di difficile definizione anche sociologica e che rimanda alla sfera del privato, che solo da poco aveva trovato dimora anche nel PCI con la campagna referendaria sul divorzio.
Gli organi collegiali della scuola si iscrivono in quella straordinaria stagione di riforme degli anni ’70.
La partecipazione, come in quella fase è stata intesa, è infatti categoria che appartiene a una stagione specifica del nostro paese, quella in cui prendeva forma un modello di stato sociale moderno che individuava nella sanità pubblica, nella scuola pubblica e nella previdenza pubblica i presidi di una sicurezza collettiva e individuale che avrebbero migliorato le condizioni di vita di milioni di persone. Alla domanda di democrazia diffusa si rispose con un alto grado di rappresentatività politica in molti consigli di gestione, quindi anche in quelli scolastici, individuando nella partecipazione in sé un valore assoluto.
Una partecipazione importante, ma con molti limiti
Anche nella scuola, si è pensato che fosse sufficiente “essere dentro” per gestire meglio, controllandoli direttamente, i processi operativi. Ignorando, nel contempo, la necessità di formazione di competenze specifiche per i genitori, confuse con l’interesse e il diritto conquistato ad avere servizi; così come sono state ignorati gli effetti, in termini di inevitabili reazioni difensive, talvolta inconsapevoli o negati a livello esplicito, da parte degli insegnanti, che spesso hanno sentito minacciata l’assolutezza del proprio ruolo. Tutto ciò ha prodotto, da una parte, chiusure e muri di gomma, dall’altra delusione e frustrazione di fronte a una rappresentanza legittimata, ma priva di un’effettiva incidenza.
Non si può perciò restare sorpresi di fronte alla constatazione del progressivo affievolimento dell’interesse sociale nei confronti della partecipazione scolastica. Constatazione che però non deve spingerci a indulgere verso la nostalgia di un’età dell’oro (tentazione che ci attraversa spesso anche a sinistra) perché essa può divenire una pessima consigliera che ci impedisce di leggere e interpretare la complessità del presente.
Sotto gli occhi di tutti c'è la rappresentazione di una genitorialità fragile, spesso antagonista nei confronti degli operatori della scuola mediaticamente enfatizzata, che è diventata uno stereotipo dominante: la banalizzazione della generazione dei genitori whatsapp ci consente di rifugiarci nell’idea di una irriformabilità dell’esistente.
Anche il termine partecipazione avrebbe bisogno di una “revisione” semantica: cosa intendiamo realmente con partecipazione dei genitori? Partecipazione, cooperazione o potere parentale? collettiva (come rappresentanza istituzionale) o individuale (come collaborazione alla vita della scuola, della classe)? Come rispondiamo al familismo strisciante che dalla riforma Moratti in poi ha permeato i testi ministeriali col ribadito primato educativo della famiglia?
I difficili, spesso conflittuali, rapporti scuola-famiglia
C’è un visibile sgretolarsi dell’alleanza tra famiglie e scuola in una fase in cui si radica sempre più tra molti genitori la convinzione che la scuola debba essere in continuità con la famiglia. Che debba piegarsi e conformarsi a quel clima di morbide protezioni, indulgenze, complicità, assenza di regole e timore di farle rispettare che caratterizza in molte famiglie della classe media il rapporto tra genitori e figli. Mai come oggi ci sono state tante denunce a dirigenti scolastici e insegnanti per una bocciatura o per una sanzione. Nel familismo dilagante dei nostri tempi, si sta facendo sempre più debole l’idea che la scuola per sua natura e ruolo sia e debba essere un luogo educativo diverso da quello della famiglia. Non divergente o contrastante, ma diverso perché più aperto, più ricco, più plurale di quanto possa mai esserlo qualsiasi contesto familiare. Spazio pubblico oggettivamente inclusivo in cui si incontrano alla pari ragazzi di diverse condizioni sociali e culturali. Spazio plurale in cui si manifestano, senza la pretesa di prevalere, diverse opinioni, punti di vista, sensibilità culturali, scelte religiose. Spazio di relazioni tra adulti e giovani, e di giovani tra loro, in cui far maturare consapevolezza civica, intelligenza e rispetto delle istituzioni, condivisione dei principi e delle regole della convivenza democratica, motivazioni alla partecipazione attiva alla vita della comunità, esperienze di solidarietà. Il rarefarsi dei luoghi della socialità condivisa ha consentito il radicarsi di un individualismo diffuso, di quella che è stata definita come la società dell’inimicizia.
Abbiamo tutti la nostra parte di responsabilità: il ministro Valditara ha, in un incontro con le associazioni genitori, manifestato il suo impegno a ratificare nel Patto di corresponsabilità per i genitori il consenso informato non solo per le attività extracurricolari, con buona pace dell’autonomia e della libertà di insegnamento.
Ma noi perché abbiamo consentito che il Patto di corresponsabilità, invece di un rito laico dell’anno scolastico che inizia, nella definizione comune di diritti e doveri, di obiettivi e responsabilità condivise, si trasformasse in uno dei tanti adempimenti burocratici da firmare sciattamente in segreteria?
Un nuovo patto tra adulti
E allora bisogna dedicare tempo a un nuovo patto tra adulti. E, intanto, questa socialità dei ragazzi – che sostituisce ogni altra relazione tra pari che una volta era in famiglia, per strada, nel caseggiato, etc. – può essere fonte di avventura apprenditiva. A condizione, però, che venga valorizzata la ricerca, il laboratorio, etc. con al centro il gruppo di ragazzi che lavorano in modo cooperativo.
Sia chiaro, se la scuola ridiventasse come nel 1961 – con la bacchetta magica o grazie a qualche editto dall'alto – non si risolverebbe tutto questo. È necessaria la fatica politica – per una volta in senso proprio e alto – di un nuovo grande patto sociale. E un tempo lungo per ricostruire il presidio del limite grazie alla ri-costruzione esplicita di quel patto implicito tra adulti docenti e adulti genitori, per concorde adesione.
Bisogna sostituire l'impossibile scuola trasmissiva con la scuola laboratoriale rigorosa. Una cosa che si cerca di fare in tante scuole grazie a un lavoro straordinario di migliaia di docenti, spesso lasciati soli.
Spesso nelle scuole vediamo la vivacità dei comitati genitori o di associazioni che si contrappongono ai Consigli di istituto visti come organismi spesso allineati con la dirigenza. Democrazia dal basso versus rappresentatività? Dobbiamo ripensare a nuove forme di partecipazione. È un lavoro di lunga lena quello cui siamo chiamati e a cui non ci possiamo sottrarre.
Ma ora, a fronte di una svolta autoritaria e veloce nel legiferare, non possiamo che con convinzione e risolutezza difendere gli organi collegiali che rappresentano la nostra trincea democratica.