La rivista

Politiche educative

Proposte per una nuova funzionalità del Collegio docenti

Era di maggio, il maggio 1974. Nei giorni 12 e 13 viene sconfitta la Democrazia Cristiana, impegnata nel referendum abrogativo della legge sul divorzio, affondata da un voto straordinario. Poi, dal 23 al 26 si svolge ad Ariccia il secondo Congresso nazionale della CGIL Scuola con le conclusioni di Agostino Marianetti, segretario generale aggiunto della CGIL, e un intervento nel dibattito di Luciano Lama, segretario generale della CGIL.  Annoto, per chi non conosce il Sindacato, che la presenza del segretario generale e del segretario aggiunto della CGIL allo stesso Congresso di categoria non era affatto abituale, anzi. Nel documento conclusivo si affronta anche il tema degli organi collegiali, oggetto di una lunga e complicata vertenza con il Governo e il Ministero iniziata grazie alla minaccia di uno sciopero generale a sostegno della scuola lanciata dalle Confederazioni. In quel documento si afferma che tutto sommato il DPR 417[1] può andare, perché sancisce con puntualità lo stato giuridico del personale docente contro gli arbitri dei presidi che usavano trasferire d’ufficio, da una parte all'altra del Paese, i docenti sospetti di non essere ligi nell’interpretare le loro direttive e quelle del Ministero. Si esprime grande soddisfazione per il 420 perché si stabiliscono finalmente, per la prima volta, per i “non docenti” l'unico lavoro chiamato con la negazione di un altro uno stato giuridico e una disciplina a partire dallo specifico del loro lavoro. Si esprime soddisfazione anche per il 419, per le sperimentazioni previste dagli articoli 2 e 3. Ma è sul DPR 416, ovvero sugli organi collegiali di scuola e territorio, che si concentra la denuncia dei limiti sia per il modello familistico imposto dal Ministro per gli organi di scuola, sia per la composizione escludente il sociale per gli organi territoriali.

Proseguendo, arriviamo al 28 maggio del 1974, 50 anni fa, il giorno della strage di Piazza della Loggia a Brescia: muoiono otto persone per lo scoppio di una bomba destinata a colpire il movimento sindacale; cinque di essi sono insegnanti, nostri compagni, che non potevano che essere lì, in quella piazza. La sfortuna ha voluto che si trovassero vicini a quel maledetto cestino ma non potevano che essere in quella piazza, in una manifestazione antifascista convocata dalle Confederazioni bresciane, perché essere insegnanti significava vivere quel lavoro con una forte dimensione politica volta al cambiamento e alla coerente difesa dei valori democratici affermati nella Costituzione.

Gli archivi e la memoria

Sui decreti delegati cosa troviamo negli archivi, a partire dal bell’archivio nazionale della FLC CGIL?

Si possono trovare dei documenti molto interessanti. Fra questi vi è uno studio sugli organi collegiali e sulla loro nascita che mostra la fibra straordinaria di queste strutture se si pensa che esse governano da 50 anni, bene o male, il sistema di istruzione.

La ricerca di una valente ricercatrice fiorentina, l’unico studio scientifico disponibile (!) sulle origini degli organi collegiali, ne ha ricostruito il percorso segnalando, tra l'altro, che negli anni ‘70 Francia, Germania dell'Ovest, Finlandia e Belgio sperimentavano strade molto più avanzate relativamente alla partecipazione dei genitori.

Non esiste invece una documentazione scritta, quindi non si trova nulla negli archivi, della crisi politica del 2001, quella che portò alle elezioni del maggio con la vittoria della “Casa delle Libertà”.

Sul finale dell’attività parlamentare, quando si decide quali siano le poche leggi che, per la loro importanza, devono essere discusse e approvate prima dello scioglimento delle Camere, i Sindacati scuola confederali ottengono un incontro con il Presidente della Camera, on. Violante, nel quale chiedono che fra queste vi fosse la riforma degli organi collegiali. Eravamo preoccupati di un’autonomia delle istituzioni scolastiche (in attuazione dall’anno 2000) senza una connessa riforma degli organi collegiali. Il Presidente Violante convenne con noi e si impegnò in tale direzione, ma una serie di pressioni esterne, a partire da Confindustria, impedirono il concretizzarsi di quella volontà da noi espressa scrivendo così la parola “fine” a ogni ipotesi riformatrice dell’impianto del 1974.

 L'autonomia differenziata

Veniamo a una terza questione, che intendo trattare in premessa, quella che va sotto il nome di “autonomia differenziata”. FLC CGIL ha promosso un camper attorno al quale, in tutte le città del nostro Paese, sono organizzate iniziative di varia natura con al centro di ognuna il tema dell'”Unità del Paese”.

All'indomani dell'approvazione in Senato del DdL Calderoli è evidente a chiunque che il piatto “ricco” di questa secessione, oltre all’accaparramento delle risorse, altro non è che l’istruzione, con tutto il rispetto per materie fondamentali come l'ambiente, la sicurezza e altre ancora. Il pezzo grosso è l’istruzione, sono i programmi di insegnamento (dopo che tanti presidenti di Regione sono diventati virologi, potete forse pensare che non si sentano letterati, filosofi, storici, ecc.?), il controllo della professione docente, della libertà di insegnamento, dei programmi delle istituzioni, dei dirigenti scolastici.

Ora il fatto è che di fronte a noi abbiamo persone che non giocano di fioretto ma sono usi a giocar di mazza, come facevano tanto tempo fa. Nella battaglia contro la riduzione dell’Italia a un album filatelico, il ruolo degli organi collegiali è fondamentale.

Partecipazione e dimensionamento

Finito con le premesse, la mia convinzione è che siamo in presenza di una grande emergenza democratica nella scuola rispetto alla quale il Sindacato può intervenire con tutti gli strumenti che gli sono propri. Pur consapevoli, come afferma il prof. Mario Ricciardi, che ci sono delle questioni che sfuggono alla contrattazione e alle sue prerogative e che su di esse deve intervenire la politica, augurandomi che la sinistra, tutta, faccia la sinistra interessandosi di scuola (I care!) e non limitandosi solo a dire che la scuola è importante come accade con poche meritorie eccezioni.

Ma ora intendo soffermarmi sulla crisi dei processi partecipativi affrontando il funzionamento degli organi collegiali di scuola a seguito del forte processo di dimensionamento economicista delle unità scolastiche.

Il dimensionamento in corso da anni sta agendo come una bomba sulla vita concreta di ogni scuola e muta radicalmente la scansione del tempo e delle relazioni in ogni istituto. È indubbio, infatti, che quando le scuole con oltre 200 insegnanti e/o con decine di plessi sparsi nel territorio diventano la norma, l’approvazione di ogni atto si trasforma in una muta approvazione (una presa d’atto) e che ogni discussione diventa proibitiva: non bastano certo tre minuti a intervento (pari a circa 10 ore di discussione) per produrre in tale consesso qualcosa di partecipato.

Tutto ciò porta a far sì che il Collegio diventi un luogo di approvazione perché non ci sono le condizioni organizzative che consentano un percorso partecipativo e un confronto con il dirigente e il suo staff. Dirigente che, a sua volta, si ritrova sempre più schiacciato e compresso su un profilo esecutivo-amministrativo per il quale, per altro, molto spesso non ha un curriculum professionale di competenze e non ha una preparazione adeguata.

In questo quadro il lavoro collegiale, inteso come lavoro cooperativo, diventa – sempre più spesso – una “varia ed eventuale” che si colloca dopo i processi assertivi degli organi di scuola e dopo l'attività del singolo docente. Con la crescente messa in discussione del lavoro cooperativo, già complesso nella realtà che abbiamo alle spalle, si incentiva una dimensione del profilo docente come quello interpretato dal prof. John Keating ne L’attimo fuggente: entro in classe, affascino i ragazzi e la mia dimensione professionale termina lì.

Invece – com’è noto – il lavoro va programmato con attenzione, c’è un confronto e un’attività condivisa con i miei colleghi perché gestiamo un progetto di vita, la realizzazione di un sogno per dirla con Danilo Dolci, un investimento su quel bambino o su quella bambina, insieme costruiamo un percorso e abbiamo bisogno del tempo per poterlo discutere.

Dentro tutto ciò si inscrive non solo l'elemento della democrazia, che è fondamentale, e della partecipazione, che è altrettanto fondamentale, ma si inscrive la natura stessa del nostro sistema scolastico che è sancita dal secondo comma dell’art. 3 della nostra Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Per concludere su questo aspetto, non sfugge che la “comprensività”, in assenza di qualsiasi discussione e decisione democratica relativamente alla politica scolastica sul territorio e alla conseguente definizione della nuova rete scolastica in una fase nella quale calano i nati ma crescono i bisogni anche in fasce fino ad ora poco o nulla coinvolte da processi di istruzione generalizzati (gli adulti), è passata da modalità “eccezionale” finalizzata a  preservare la presenza della scuola in aree territoriali difficili perché scarsamente urbanizzate e popolate a modalità ordinaria di ristrutturazione della rete scolastica a fronte della riduzione degli alunni.

La quantità del personale in servizio nelle scuole comprensive o accorpate e degli alunni/studenti è lievitata rapidamente verso l’alto fino a raggiungere – mediamente – dimensioni che di fatto modificano la natura stessa degli organi collegiali di scuola.

L'azione del sindacato in difesa del Collegio docenti

La democrazia e la partecipazione negli istituti scolastici oggi è, quindi, una grande questione aperta.

Al riguardo c’è, a mio avviso, una questione che non voglio sottacere e che rappresenta un motivo di orgoglio per noi tutte e tutti e che riguarda la contrattazione.

Essa è stata, con tutte le sue difficoltà dovute a controparti fortemente ostili, un argine contro le derive autoritarie e individualistiche. È bene averne piena consapevolezza, perché è un dato inconfutabile. È, inoltre, un elemento di orgoglio per il sindacato aver operato, talora in perfetta solitudine, a difesa dei processi di partecipazione democratica, l’aver difeso, ampliato e valorizzato la democrazia e la partecipazione nella scuola contro ogni deformazione aziendalistica.

L’azione del sindacato si è sviluppata su due fronti.

Il primo è relativo alla riforma del rapporto di lavoro pubblico, che ha determinato nei fatti un legame stretto tra attuazione dell’autonomia scolastica e rafforzamento del ruolo degli organi collegiali di scuola con l’ingresso di un nuovo soggetto, la RSU.

Essa è diventata protagonista nelle relazioni all’interno della scuola, mai in conflitto con le competenze degli organi collegiali, che la FLC CGIL ha sempre difeso, ma a loro supporto su materie che per legge non sono mai state di competenza degli organi collegiali: si pensi, ad esempio, all’organizzazione del lavoro o ai temi relativi al salario accessorio.

Il secondo fronte riguarda i contratti nazionali che, grazie all’iniziativa costante della FLC, si sono fatti carico di supplire all’assenza di un ridisegno della democrazia e della partecipazione nella scuola dopo l’introduzione dell’autonomia scolastica.

Di più, è stato difeso e valorizzato il ruolo degli organi collegiali evitando derive autoritarie di ogni sorta. 

Alcuni esempi:

  • l’introduzione delle funzioni obiettivo con il CCNL del 1999 (poi diventate funzioni strumentali nei contratti successivi);
  • i finanziamenti previsti dal contratto per progetti riguardanti le aree a rischio e a forte processo immigratorio;
  • il ruolo che il contratto ha riservato al Collegio docenti nell’attivazione delle funzioni obiettivo (oggi strumentali) per quanto riguarda le attività da svolgere;
  • l’attribuzione al Collegio dell’individuazione dei docenti destinatari dell’incarico riconoscendo alla contrattazione competenza in merito al compenso da riconoscere;
  • il ruolo del Collegio docenti in merito alle scelte riguardanti il Piano annuale di formazione del personale.

L’ultimo contratto, quello 2019-2021, infine, opera una forte valorizzazione del ruolo degli organi collegiali e delle loro competenze nell’intento, fra l’altro, di porre un argine democratico alle decisioni autoreferenziali del Ministero.

Alcune proposte

Ebbene, a fronte dell’analisi che ho proposto, suggerirei le seguenti piste di lavoro in preparazione della nuova piattaforma contrattuale fermo restando, dico un’ovvietà, che non ci sono, oggi, le condizioni perché si possa realizzare una fase riformatrice nella scuola tale da modificare, in avanti, l’impianto del 1974.

Anzi, siamo di fronte a una vera e propria strategia di limitazione delle decisioni spettanti al Collegio docenti ed al Consiglio di istituto e ad azioni di vera e propria intimidazione ogni qual volta l’autonomia decisionale (autonomia di rango costituzionale, vorrei ricordare) entra in campo, come sta avvenendo – ad esempio – verso quelle scuole che hanno respinto l’introduzione del docente tutor considerandola non coerente con il proprio Piano Triennale dell’offerta formativa.

Vediamole:

  1. l’organizzazione del lavoro, per quanto riguarda l’articolazione funzionale all’assunzione delle decisioni all’interno di ogni scuola (ognuna di esse diversa dall’altra – per sedi e quantità di personale e alunni – come effetto del dimensionamento per via amministrativa), deve diventare competenza della contrattazione che ne può promuovere la costituzione a opera del Collegio docenti a livello di singola istituzione scolastica perché aspetto strettamente legato all’efficacia di ogni specifica offerta formativa;
  2. le competenze definite dalla Legge per ogni singolo organo collegiale non sono modificabili ma è anche evidente, ugualmente, che i processi di riorganizzazione della rete scolastica non possono riversarsi automaticamente sulle condizioni di lavoro e minare la collegialità (componente essenziale dell’azione educativa e dell’incisività dell’azione individuale e collettiva), magari ridotta a stancanti riunioni on line convocate per ogni esigenza.

Ciò significa che la contrattazione di scuola dovrà definire:

  • l’articolazione delle sedi decisionali relativamente ai docenti (es.: strutture dipartimentali, commissioni, gruppi di lavoro) con particolare attenzione ai luoghi nei quali le condizioni organizzative sono tali da renderne difficile l’esercizio;
  • l’individuazione di figure emanazione del Collegio docenti con compiti di facilitatori dei processi collegiali (es.: coordinatori, referenti, responsabili, componenti di team, ecc.);
  • i tempi, retribuiti, per le attività collegiali eccedenti perché determinate da una maggiore complessità dell’attività preparatoria;
  • la possibilità di definire strutture decisionali ex novo comunque di competenza del Collegio docenti (Dipartimenti, Commissioni, articolazioni del Collegio docenti rispondenti ai cicli di istruzione confluiti, ecc.) utili per migliorare l’efficacia del lavoro cooperativo e della collegialità.

Concludo con un’ultima considerazione.

Si chiuderanno a maggio 2024 le iniziative nazionali legate ai cento anni dalla nascita di don Lorenzo Milani. Di lui vorrei ricordare una frase che considero più attuale oggi di quando venne scritta. «Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola […] Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola […]».

Più attuale oggi che allora perché ritengo il tema della professione docente (a fronte dei massicci pensionamenti di questi anni e dell’immissione di centinaia di migliaia di docenti nati negli anni ’90) sia di straordinaria attualità. E per dire come la penso ricorro a quanto disse un gruppo di ragazzi di una classe di scuola media della loro professoressa morta in piazza della Loggia: «La professoressa ci diceva che tutto è politica, in particolare è politica la scuola e che i suoi colleghi che non capivano che l'essere insegnante è politica non avevano capito nulla».

Io credo che quelle parole ci dicano con chiarezza ciò che serve anche ora, cioè che bisogna sempre «Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto» (don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici).


[1] Il DPR 417 del 31 maggio 1974 è uno dei 5 decreti delegati che discendono dalla Legge delega 477 del 1973. Il 416 istituisce gli organi collegiali; il 417 si occupa dello stato giuridico di docenti, direttivi e ispettori; il 418 riguarda i compensi per il lavoro straordinario, il 419 si occupa di sperimentazione e ricerca educativa, e di aggiornamento professionale; il 420 dello stato giuridico del personale non docente.

L'autore

Enrico Panini

Ex segretario generale FLC CGIL