Quest'anno ricorrono 50 anni dall'introduzione degli organi collegiali, organi che riguardano anche la partecipazione studentesca, perché per la prima volta, nel ’74, anche gli studenti sono stati ammessi all'interno dei processi decisionali della scuola. Sono organi a cui noi ancora oggi siamo particolarmente legati, specialmente i Consigli di istituto e di classe, perché, di fatto, costituiscono gli unici strumenti che noi studenti abbiamo per essere rappresentati. Non avendo noi, ad esempio, i delegati sindacali, questi organi sono l'unico mezzo per poter partecipare, intervenire, votare ed essere parte attiva di quella che dovrebbe essere la scuola intesa come spazio democratico.
I decreti delegati che li istituiscono nascevano proprio nell'ottica di democratizzare gli ambienti e gli istituti scolastici e di far sì che le istanze di tutte le parti potessero essere rappresentate e discusse, ma anche nell’ottica di costruire strumenti di controllo che rimettevano direttamente alla comunità scolastica (studenti, docenti, personale ATA, genitori) le principali decisioni riguardanti la scuola.
La crisi della partecipazione e della rappresentanza
Senza dilungarmi troppo sugli aspetti storici, vorrei mettere in evidenza quelle che sono le criticità che oggi gli Organi collegiali vivono, a partire dagli aspetti che riguardano la partecipazione studentesca.
Noi oggi vediamo, infatti, che questi sono in crisi: non rappresentano più quei luoghi di democrazia che volevamo diventassero, anche a seguito di una serie di riforme bipartisan che, di fatto, hanno via via svuotato di significato di questi organi (specie il Consiglio di istituto), attribuendo, sempre più, maggiori responsabilità al dirigente scolastico e mutando quell'idea di istruzione come luogo di partecipazione attiva in favore, invece, di una scuola vista sempre più come luogo di erogazione di un servizio, con il diretto effetto di inficiare quell'idea di scuola come comunità che noi ci aspettiamo dalla pubblica istruzione.
Tra gli ulteriori strumenti di partecipazione che poi ci si è riusciti a ritagliare a livello studentesco cito solamente le consulte studentesche. Sono degli organi provinciali con livelli regionali e poi nazionali. Anche questi spesso si sono svuotati di significato, divenuti un rituale di cui si riesce a vedere raramente una reale efficacia.
Ad oggi possiamo quindi dire che nella scuola pubblica gli studenti hanno difficoltà a essere rappresentati e hanno difficoltà a far giungere le proprie istanze a tutti i livelli. Da qui, quindi, nasce la necessità di mobilitarsi con altri mezzi. Penso, ad esempio, alle occupazioni, di cui negli ultimi mesi si è anche parlato abbondantemente. Sono tutte situazioni che descrivono quella che è una necessità: il bisogno di essere ascoltati. Un bisogno che è negato sempre più, a discapito proprio di quei principi su cui si fondavano gli Organi, tra cui quello di rendere gli studenti parte di un processo democratico.
Oggi, infatti, di fronte ai provvedimenti che il ministro Valditara – dalla riforma della condotta alle dichiarazioni in merito alle sospensioni e all’allontanamento – appare evidente che la linea sia quella di criminalizzare i giovani e renderli esclusivamente fruitori passivi della didattica.
Manca del tutto, invece, una visione da parte del Ministero che contempli la possibilità che noi studenti possiamo dire e affermare qualcosa di giusto nell’interesse della scuola. Dinanzi a tutto questo, appare evidente quale debba essere una delle principali battaglie da portare avanti insieme.
Partecipazione come educazione alla cittadinanza
Crediamo che sugli organi collegiali si possa e si debba discutere di una riforma che possa dar di nuovo spazio e importanza a quella che di fatto è stata una vittoria di tutti. Oggi a maggior ragione, specie dal punto di vista studentesco, servirebbe ritrovare e ridare significato a quello spazio di rappresentanza, proprio perché lo slancio maggiore che noi studenti possiamo dare alla scuola pubblica è proprio quello di partecipare, di essere parte attiva e di non essere solo uno strumento passivo. Se questo non è nell'agenda del Governo è chiaro che per noi studenti si delinea uno scenario di conflitto e contestazione, nell’interesse della società del domani, perché non educare le nuove generazioni a essere parte di un processo democratico significa non educarle alla cittadinanza.
La politica del Governo va in tutt'altra direzione, basti pensare ai provvedimenti sulla condotta, un disegno che trasforma la cittadinanza e la Costituzione, questa materia di 33 ore annue differente da istituto di istituto nella sua applicazione, in uno strumento su cui poter rimandare a settembre. Per ironia della sorte, per questo governo la Costituzione e la cittadinanza attiva sono strumenti tramite cui poter punire, svuotando di significato gli anticorpi che dovrebbero servire invece a educare a partecipare e a costruire assieme la società del domani.
L'augurio che faccio è quello di poter continuare a costruire assieme, sindacati e associazioni studentesche, istanze e rivendicazioni da portare avanti con tutta la comunità della scuola e della conoscenza.