Con un mondo che cambia così rapidamente, quello che serve è avere una mente plastica in grado di apprendere continuamente. By doing, come si dice in inglese.
(Massimo Cacciari, 2025)[1]
Il primo Collegio docenti
Come ogni primo settembre, ha preso il via il nuovo anno scolastico con la riunione del primo Collegio docenti; presenti il corpo docente stabile a tempo indeterminato, compresi i nuovi assunti e un numero incerto di precari per i posti vuoti che, per motivi diversi, in parte originati da contingenze “di fatto”, sono rimasti scoperti. Il Collegio di apertura dell’anno scolastico e i conseguenti appuntamenti interni prima dell’inizio delle lezioni hanno la funzione di costruire concretamente la programmazione dell’offerta formativa della specifica autonomia scolastica, anche adeguando a essa gli indirizzi del Ministero o l’eventuale adesione a percorsi di sperimentazione. Un compito identitario e vitale che in questi anni, malgrado le volitive ma non effettuali dichiarazioni del “tutti in cattedra dal primo settembre” dei ministri di turno, è stato fiaccato non solo dalla mancata revisione e rivisitazione normativa degli organi collegiali ma dai ritardi e dalle gravi disfunzioni riguardo alla gestione in particolare del personale precario. A macchia di leopardo, tali appuntamenti rappresentano la possibilità di dare corso a un più o meno allargato dibattito interno con il vantaggio dell’innesto di altre esperienze e di nuove generazioni di insegnanti. Compreso il diritto, in quanto tale uguale per tutti, del singolo docente, anche precario, di esercitare appieno una professionalità – le cui caratteristiche di libertà sono tutelate dalla Costituzione – altrimenti relegata a ruoli esecutivi di altrui scelte didattico-pedagogiche, a corollario di una differenza di trattamento non solo economico.
Il precariato come meccanismo strutturale di sistema
I dati aggiornati a dicembre 2024, secondo le stime della FLC CGIL, indicano quota 250.000 posti precari, di cui 195.000 di personale docente, 52.000 di personale ausiliario, tecnico e amministrativo e centinaia di educatori nei convitti. Un numero che oggi potrebbe essere più alto, stante la riduzione di 5.660 posti comuni docente 2025/2026 e per l'incertezza, almeno per il momento, del buon esito delle autorizzazioni alle assunzioni, pari a 48.504 posti rispetto a 52.885 cattedre vacanti. Un saldo di posti che andranno a concorso PNRR 3 e con 14.000 posti precari per nomine al 30 giugno da organico di fatto. Il massiccio ricorso al precariato risulta ormai un consolidato fattore di funzionamento del sistema d’istruzione pubblica in Italia. Un sistema che ogni anno esprime un deficit, pregiudicando all’avvio alle singole scuole autonome la possibilità di operare al meglio riguardo a collegialità, dibattito, ricerca educativa per una realizzazione generativa di autonomia didattica. A ulteriore conferma di queste debolezze, emerge il paradosso dell’esaurimento delle candidature da cui attingere per le assunzioni pur in presenza di decine di migliaia di idonei dei concorsi precedenti, inchiodati alla precarietà dai disordini del sistema di reclutamento con cattedre, specie nel sostegno, rimaste vuote per mancanza di candidati. Mancano investimenti sugli organici, assunzioni sui posti in deroga sul sostegno (oltre 130.000) e volontà politica di usare le graduatorie degli idonei: una denuncia che, se ascoltata, conterrebbe gli indirizzi per cancellare il precariato anziché riprodurlo sempre di più come elemento di sistema[2]. Lavoro povero, stage e tirocini non pagati, scarsi riconoscimenti economici, dequalificazione, disparità di trattamento segnano l’ingresso al mondo del lavoro per le nuove generazioni, questa la realtà quotidiana che si cela dietro la narrazione trionfale della premier Meloni: «Numeri incoraggianti, che confermano l'efficacia delle misure messe in campo ci spingono a proseguire con determinazione su questa strada: più opportunità, più lavoro, più crescita per l’Italia» (1° settembre 2025)[3].
Il “grido d’allarme” dei dati INVALSI e il rinnovamento didattico
Tale meccanismo di indebolimento dell’autonomia scolastica ha costituito senz’altro un pregiudizio notevole a quell’invocato ma mancato conseguimento di un livello medio di competenze adeguate nelle materie di base e al mancato superamento dei divari territoriali (specie Nord-Sud) registrato da INVALSI. Il dato inedito 2025, secondo l’analisi nel dettaglio di Andrea Gavosto e Barbara Romano pubblicata nei primi giorni di agosto su La Voce. Info, avrebbe riguardato il decremento di punteggio in italiano e matematica nel Nord Ovest e ancor di più del Nord Est e una tenuta nel Sud, però esito di un peggioramento altrove[4]. Sin dalla tarda primavera scorsa vi è stato un interesse mediatico incentrato sul tema del mancato successo della scuola in Italia. Una focalizzazione parziale, frutto di una lettura impropria dei risultati INVALSI 2025: si tratta di dati destinati in origine al supporto e all’autodiagnosi per il miglioramento della singola scuola e del sistema e non tanto, e almeno non prevalentemente, all’enfatizzazione funzionale degli insuccessi educativi. Un “grido d’allarme” a rischio di divenire un tramite, unito agli appelli al rinnovamento didattico, espressi dallo stesso ministro in carica, per sostenere d’autorità negli stessi mesi indicazioni e norme come avvenuto, ad esempio, per un passaggio rilevante quale l’elaborazione e la presentazione delle Nuove indicazioni nazionali per la scuola primaria e dell’infanzia 2025. Al tempo, a esito di una protesta delle associazioni sindacali e professionali il Ministero dell’Istruzione e del Merito stabilì di aumentare da 1000 a ben 2000 caratteri lo spazio concesso alle scuole per la consultazione. Un allarme contraddetto dopo un mese, con un disinvolto commento dei dati OCSE PISA sulla matematica: «Siamo al top in Europa. Evidentemente c’è un problema storico molto di lunga durata se il Nord si distacca dal Sud del paese»[5].
Autonomia scolastica, progettazione didattica e restaurazione
Innovazione didattica e continuità didattica sono concetti di frequente richiamati nelle politiche MIM tramite suggestive parole, come se bastasse enunciare concetti quasi fossero valori in sé, intrinsecamente costruttivi ed efficaci. Nella realtà, invece, di una ormai quasi limitata possibilità di dialettica interna per ciascuna autonomia scolastica, esse compaiono a suggello di un‘autonomia scolastica, didattica e organizzativa, rimasta nel tempo un processo incompiuto, esaltata verbalmente dal Ministro ma nei fatti, a sottrazione di risorse e poteri, in progressiva dismissione. La funzione strategica fondamentale della progettazione didattica subisce progressivamente una sottrazione di capacità e di tempo data dal rendere sempre più esecutivo il lavoro docente con incombenze non di insegnamento. Il contesto didattico di ciascuna scuola in cui, secondo la legislazione vigente, si prevedrebbe il dovuto conferimento al ruolo di protagonista e di principale qualificato interlocutore al corpo docente per la formazione e per i bisogni territoriali, è indebolito sin dai primi giorni. Al contempo si procede, in sostituzione, con indirizzi di attribuzione apicale e gerarchica di responsabilità e competenze alla dirigenza scolastica con un’organizzazione del lavoro gerarchico-piramidale. Un riordino gerarchico da cui non è escluso il corpo docente al suo interno, con l’introduzione di figure intermedie di staff (tutor e orientatori, ad esempio, ne sono una premessa) e con la tendenza alla trasformazione di figure di staff in figure di line, come già informalmente avviene in alcune scuole, per lo staff del Dirigente.
La depredazione della professione
La libertà di insegnamento si realizza in ogni scuola nella collegialità e nella pratica di autonomia didattica. L'assetto organizzativo e didattico delle autonomie scolastiche ha come punto cardinale la centralità della funzione docente, deputata alla costruzione di un progetto formativo attraverso un documento (PTOF). È il documento interno per l’esterno, approvato dal Collegio docenti con i pareri degli altri organi collegiali, che esprime l'identità culturale e formativa sul piano didattico-educativo e organizzativo-gestionale che la singola scuola adotta nella sua autonomia.
Nel maggio scorso, nelle Conclusioni della ricerca di Fondazione Agnelli e Fondazione Rocca sui Divari scolastici in Italia, è stato proposto, tra le soluzioni, di costituire un vero e riconosciuto middle management nelle scuole a sostegno della dirigenza e corresponsabilità e incentivi sulle azioni che dipendono dalle scuole[6] Un intento non nuovo, a coronamento di pedagogie e ideologie meritocratiche. Si nega l’incompatibilità nella comunità educante e nella relazione di insegnamento-apprendimento di gerarchie tra gli insegnanti prefigurando una rapace appropriazione di aspetti didattici e organizzativi (e di riflesso economici) di competenza del profilo docente, di ogni docente e del Collegio docenti nel suo insieme. Un quadro che è accompagnato dal diffondersi del fenomeno di un’eccessiva neuro diagnosi e medicalizzazione dei percorsi di fronte a problemi di comportamento o di apprendimento. Un eccesso che rappresenta un segnale del venir meno del peso della pedagogia e delle scienze dell’educazione nella scuola e un rischio di etichettamento e di stigma per gli allievi e le allieve, a partire dalla denuncia della stessa Garante per i diritti dell’infanzia Marina Terragni nel luglio scorso: «Capita che difficoltà momentanee, perfino fisiologiche nella crescita del bambino, vengano considerate invece l’incipit di un disturbo e siano oggetto di neuro diagnosi precoce e non invece di un progetto educativo che costituirebbe la vera prevenzione e perfino la vera cura»[7].
L’accentuato ricorso alla delega a “esperti” prospetta un implicito disconoscimento del ruolo docente come principale esperto dei processi di insegnamento e del ruolo delle scienze dell’educazione, e apre la strada alla frantumazione della figura, con deprivazione dell'esercizio di professionalità in ruoli esecutivi per la maggioranza dei docenti. Una strada che è una scelta di politica dell’istruzione, la stessa che allontana dalla scuola della Costituzione e dalla possibilità di rendere la libertà di insegnamento non solo un’aspirazione valoriale. La libertà d’insegnamento è un fatto che si realizza nell’attuare il proprio orientamento didattico-pedagogico, nella quotidiana e conseguente azione didattica, nella cornice della collegialità e delle competenze di ogni autonomia scolastica.
Il processo di insegnamento e apprendimento. E l’inclusione?
Tra le suggestioni di fine estate, in vista del nuovo anno scolastico, mentre le cronache riferivano dell'insuccesso dei risultati della scuola italiana e degli allievi e in costanza di annunci ministeriali di rinnovamento didattico, il 20 di agosto sulle pagine del “Corriere della Sera" il Presidente e psicologo dell'associazione Hikikomori (ragazzi chiusi in una stanza) Marco Crepaldi, intervistato da Walter Veltroni, denunciava una stima di duecentomila casi di adolescenti coinvolti, prevalentemente della scuola secondaria. Una rinuncia alla vita sociale, un «fallimento dello step del passaggio evolutivo dall'infanzia all'età adulta» considerata conseguente alle forti pressioni di realizzazione sociale cui sono sottoposti i ragazzi e le ragazze, alla richiesta a scuola di risultati di successo, compreso il confronto con i coetanei[8]. Negli stessi giorni comparivano nella stampa di settore dichiarazioni del Ministro riguardo alla non significatività del rapporto tra numero degli allievi per classe e livelli di apprendimento. Già nel 2020, in La scuola di prima classe, Andreas Schleicher, direttore del settore Education and skills presso OCSE, per esempio affermava, alla luce dei dati OCSE PISA, che si trattasse di un mito da sfatare: «[…] non c'è evidenza a livello transnazionale che la riduzione del numero degli alunni per classe sia la strada migliore per innalzare i risultati». Al di là del mettersi d’accordo su cosa si intenda per risultato e per insegnanti migliori, egli riteneva, in coerenza con le proposte di interventi di premialità e differenziazione interna al profilo docente, che si trattasse invece di «un intervento che può comportare un cattivo uso di fondi che sarebbero stati meglio spesi se allocati altrove per esempio in aumenti di stipendio per gli insegnanti migliori»[9]. Come in classe si fosse come a teatro, con un copione da recitare a un pubblico indistinto e con premio al miglior attore.
E l'inclusione? Dopo le tante dichiarazioni del Ministro a favore di una scuola inclusiva, pare sia in corso un’amnesia generale riguardo ai più fragili, riguardo al recente passato dell’esperienza del COVID, riguardo al valore della dimensione emotivo-relazionale nell’apprendimento, alla rilevanza della relazione tra pari. È in capo a ogni docente e al lavoro collegiale, la possibilità di avvalersi, nell’esercizio della libertà di insegnamento in ogni ordine e grado di scuola, di tecniche derivanti da consapevoli scelte psicopedagogiche. Si potrebbero introdurre l’apprendimento cooperativo, giochi psicologici, tecniche di psicodramma, giochi di ruolo, di rilassamento, di comunicazione non verbale, di movimento creativo. Un contesto favorevole all'inclusione prevede spazi, occasioni, interazioni personali e collettive, richiede tempo e sguardo alla persona, richiede gruppi classe non numerosi. Vale anche per l’ingresso nel mondo digitale e per l’uso dello strumento dell’Intelligenza artificiale. Il principio "Imparare facendo" (Learning by doing) della didattica esperienziale ha al centro l’azione concreta, l’esperienza personale, sin dalla fine del XIX secolo nelle campagne dell’Inghilterra, agli albori delle scuole nuove e dell’attivismo pedagogico. Scuola progressiva e scuola attiva, la didattica laboratoriale utilizza lo spazio del fare, il laboratorio, per applicare l’apprendimento che si genera con l'esperienza diretta per costruire insieme competenze, nessuno escluso.
Il solo sentiero diretto per migliorare permanentemente i metodi dell'istruzione e dell'insegnamento consiste nel concentrarsi sulle condizioni che esigono, promuovono e mettono alla prova il pensiero. Il pensiero è il metodo di imparare intelligente, dell'imparare che impiega e ricompensa la mente. (…) l Per pensare efficacemente si deve aver avuto o avere attualmente esperienze che ci offrano delle risorse per affrontare le difficoltà del presente.
(John Dewey,1916)[10].
La didattica esperienziale, nella sua figliazione di didattica laboratoriale, costituisce peraltro un architrave della sperimentazione di Filiera tecnologico-professionale promossa dal Ministero stesso, persino laddove le politiche dell’istruzione hanno come obiettivo la formazione per il mercato del lavoro e non l’assunzione della centralità della persona. Fare laboratorio nel gruppo classe richiede organizzazione, tempi distesi, una progettazione motivante e comprensiva degli aspetti delle dinamiche di gruppo. La compatibilità di questi fattori con la riduzione del tempo scuola previste per la sperimentazione di Filiera e la preannunciata riduzione a quattro anni della secondaria di secondo grado sono questioni rimaste estranee al perimetro degli annunci delle attuali politiche dell’istruzione.
Educare è sempre una vocazione radicata nella speranza. Noi insegnanti crediamo fermamente che l'apprendimento sia possibile, che nulla possa impedire a una mente aperta di cercare il sapere e trovare il modo di conoscere
(bell hooks, 2022)[11].
Interrogarsi in sede collettiva e dare vita, in alternativa, a leadership collettive che permettano di dare soluzioni di cambiamento riguarda tutti coloro che dedicano impegno e interesse all’insegnamento e all’apprendimento.
La posta in gioco è alta.
Bibliografia
[1] Massimo Cacciari. La scuola va al contrario Intervista di Emanuela Giampaolo “La Repubblica Bologna”, 3 settembre 2025
[2] www.flcgil.it@3972289 FLC CGIL: Valditara si confronti sui numeri, scuola sempre più precaria Comunicato stampa della FLC CGIL www.flcgil.it@3972289 48.500 assunzioni di docenti non cancellano il precariato nella scuola. Comunicato stampa della FLC CGIL www.flcgil.it@3972289 Docenti immissioni in ruolo 2025 2026. Autorizzate 48.504 assunzioni a fronte di 52885 posti www.flcgil.it@3972289 Dimensionamento scolastico: organici dirigenti scolastici e dsga, modificate le previsioni per l’a.s. 2026/2027 immissioni in ruolo 2025 2026
www.flcgil.it@3972289 Organici docenti 2025/2026: il ministero pubblica il Decreto interministeriale e le tabelle
www.flcgil.it@3972289 Scuola l'inverno demografico non può essere una scusa per tagliare
www.orizzontescuola.it In Piemonte due terzi dei docenti di sostegno precari: Nord in crisi e flop mini-call veloce. Dati e prospettive
[3] https://www.rainews.it/articoli/ultimora/meloni-bene-dati-istat-sulloccupazione-avanti-cosi--60df0a29-0068-4372-afd1-988c908c785d.html
[5] https://askanews.it/2025/09/07/istruzione-valditara-risultati-test-pisa-mostrano-divario-nord-sud/
[6] Fondazione Agnelli Fondazione Rocca (2025) Divari scolastici in Italia. Un'indagine sulle differenze di apprendimento nei territori e tra le scuole. Camera dei deputati 29 maggio 2025 pag.31.
[7] https://www.avvenire.it/famiglia/pagine/bambini-difficili-basta-neuropsichiatria-meglio-l-educazione
[8] https://www.ilcorriereblog.it/2025/08/20/gli-hikikomori-ditalia-ora-sono-duecentomila https://www.corriere.it/cronache/25_agosto_20/ragazzi-chiusi-camera-hikikomori-segnali-3e10bd56-7f88-441a-aba1-60a1fc6e0xlk.shtml
[9] Schleicher A. (2020), Una scuola di prima classe. Come costruire il sistema scolastico per il XXI secolo. Bologna: Il Mulino, 62
[10] Dewey J. (1949) Democrazia e educazione. La Nuova Italia, Firenze. 204
[11] Bell hooks (2022) Insegnare comunità. Una pedagogia della speranza. Milano Meltemi editore. 29.