La segretaria generale della FLC CGIL affronta i temi più importanti sui quali il sindacato si è impegnato negli scorsi anni e che affronterà nei prossimi mesi. La narrazione ottimista del Governo non trova riscontro nella realtà. I settori della conoscenza sono in affanno tra definanziamento e tentativi di privatizzazione. In un contesto difficile e spesso ostile, la CGIL oppone al disegno autoritario e gerarchico del Governo la sua visione del cambiamento: riconoscimento e valorizzazione del lavoro anche in termini economici, fine del precariato, ampliamento degli spazi di partecipazione e di democrazia nei luoghi di lavoro… I prossimi appuntamenti.
In apertura di un nuovo anno è inevitabile guardarsi indietro e fare un bilancio dell'anno appena passato. Il secondo dell'era meloniana, caratterizzato da un'offensiva, sostenuta mediaticamente, su più fronti, in particolare contro la CGIL, accusata di fare opposizione pregiudiziale al Governo. Pare che l'Italia vada a gonfie vele: occupazione record, più soldi a sanità e istruzione, immigrazione sotto controllo… mentre i soliti profeti di sventura predicono disastri. Eppure lo stesso presidente Mattarella non ha esitato, nel messaggio di fine d'anno, a sottolineare i gravi problemi ancora irrisolti nel nostro paese.
Ci aiuti a correggere questa aggressiva narrazione?
La narrazione ottimista della Presidente del Consiglio si scontra purtroppo con una realtà abbastanza diversa. Il dato dell'occupazione, migliorato, non è comunque tutto merito suo. Intanto c'è da dire che il tasso di occupazione in Italia resta tra i più bassi d'Europa, poco più del 62%. Ma bisogna sottolineare che si partiva da una situazione molto negativa: il periodo del Covid aveva registrato una caduta verticale dell'occupazione, parliamo di centinaia di migliaia di posti lavoro; noi siamo in ripresa ma anche in virtù delle misure straordinarie che sono state avviate, tra cui il PNRR, che ha immesso tante risorse nel nostro sistema. Dunque i risultati ci sono, ma i trionfalismi sono fuori luogo, anche perché c’è un tema di qualità del lavoro, vale a dire di lavoro povero e precario, che non solo non viene affrontato ma addirittura con il recente Decreto lavoro, peggiorato.
Il nostro Paese è bloccato sull'oggi e manca una politica di sviluppo che guardi in prospettiva. Si riduce la produzione industriale, anche per le crisi che stiamo vivendo a livello internazionale, ma è bassa anche la domanda interna e, contemporaneamente, si riduce il risparmio delle famiglie, in sostanza si spende meno, ma non si riesce a mettere soldi da parte. È in aumento la povertà assoluta, come denunciano importanti organizzazioni nazionali e internazionali, permangono quindi sul versante sociale grandi divari e grandissime disuguaglianze. E infine non si vedono investimenti su grandi processi di transizione e in particolare sulla ricerca, al netto di quanto stanziato dal PNRR che dovrebbe poi produrre delle ricadute anche in termini di risorse. Insomma manca una visione dello sviluppo che deve seguire il nostro paese. Una cosa è certa: non possiamo campare di solo turismo o delle produzioni agricole nostrane.
Infine, ma non da ultimo, abbiamo due grossi problemi che riguardano la scuola e la sanità. Su quest'ultima lo stanziamento è stato ridotto rispetto al PIL, con le conseguenze che conosciamo. Sulla scuola, per il secondo anno consecutivo, non ci sono investimenti, anzi sono state ridotte le risorse sul personale, il taglio sugli ATA è stato posticipato, ma c’è (e su questo torneremo tra poco). L'unico passettino è stato fatto sugli insegnanti di sostegno: sono state autorizzate circa 1.800 nomine a fronte di 130 mila richieste. In realtà quasi nulla. Anche sulla carta docente ci sono interventi per dare con una mano e togliere con l'altra: l'hanno estesa ai supplenti, ma hanno ridotto l'importo ("fino a 500 euro"). Sui nostri settori la legge di bilancio è, direi, preoccupante. Sono confermati i tagli lineari all'università e il blocco del turn over per AFAM, università e ricerca. Si apre un serio problema di tenuta del sistema universitario che corrisponde alla visione di questo Governo e di questa maggioranza: si definanziano le università più piccole e si concentrano le risorse su alcuni atenei di eccellenza, indirizzando la gran massa degli studenti verso le telematiche. Con conseguente abbassamento della qualità dell'offerta formativa e allontanamento della cultura dal territorio. Oltre a ciò si prefigura una ulteriore precarizzazione della docenza con la pessima riforma del pre-ruolo.
Sulla ricerca le cose non vanno meglio. L'unica misura è stato lo stanziamento di circa 9 milioni di euro per la stabilizzazione dei ricercatori precari al CNR. Ma questo non è merito del Governo, piuttosto del Parlamento, dove le opposizioni hanno deciso di far convergere sul CNR le risorse a loro disposizione.
Quindi le chiacchere stanno a zero.
Questo doveva essere l'anno del rinnovo del contratto del Comparto Istruzione e Ricerca, scaduto il 31 dicembre 2024. Lasciava ben sperare l'anticipo sui futuri aumenti contrattuali che il Governo a dicembre 2023 aveva elargito nelle tredicesime dei lavoratori della scuola…
Le tredicesime del 2023 le avevamo definite "il pacco di Natale" e tali si sono rivelate. Le tredicesime del 2024 sono state più povere…
Ma sui rinnovi a che punto siamo?
Quest'anno dovrebbero aprirsi le trattative per il triennio 2025-2027 e invece vanno ancora rinnovati i contratti 2022-2024. Ricordo che in quel triennio l'inflazione è balzata al 18% e il Governo ha proposto aumenti del 6%! Noi continueremo la nostra battaglia su salari e stipendi perché la perdita di potere d'acquisto di tutti i lavoratori e di quelli della conoscenza in particolare è certificata. È sorprendente e sconcertante che il datore di lavoro-stato scelga di ridurre gli stipendi dei suoi dipendenti, penso per lanciare un messaggio anche ai settori privati. La legge di bilancio ha aumentato dello 0,22% le risorse disponibili, insufficienti non solo per tamponare gli effetti dell'inflazione, ma anche per tutte le operazioni di valorizzazione e promozione del personale, questo nonostante si conosca il gap salariale esistente anche nei confronti di altri settori pubblici, per non parlare del resto d'Europa. Il ministro Valditara si vanta di concedere incentivi a figure di sistema: insomma dare poco a pochissimi e pochissimo a tantissimi. I ministri Valditara e Bernini sono stati sordi di fronte alle centinaia di manifestazioni della nostra categoria e alle proposte che venivano presentate, ma sono stati anche assenti nella stesura della legge bilancio, non li abbiamo visti battersi per chiedere risorse aggiuntive. Le hanno trovate però per le scuole paritarie. Non hanno ascoltato nessuno, nemmeno il Presidente della Repubblica che, nel suo messaggio, ha ricordato il ruolo degli insegnanti. Mattarella ha fatto due esempi di veri patrioti: gli insegnanti e i medici. Ma il ministro non conosce il mondo della scuola, non sa quanta fatica ci voglia, soprattutto in questa fase, a formare le persone, cittadine e cittadini consapevoli, come indica la Costituzione, e per questo non servono risposte selettive e divisive.
Il negoziato è stato avviato?
Le trattative per il momento sono ferme perché manca l'Atto di indirizzo definitivo, ma che dovrebbe essere in dirittura di arrivo. Penso che nei prossimi mesi si aprirà la fase contrattuale.
Le organizzazioni sindacali nel corso dell'ultimo anno sono state divise. Questo forse ha indebolito il movimento. Adesso la CISL cambierà segretario generale, pensi sarà possibile un riavvicinamento?
Non commento le dinamiche interne delle altre organizzazioni. Ribadisco che la battaglia della CGIL è sacrosanta ed è sul merito sindacale. È certamente una battaglia politica, uno sciopero ha sempre una valenza politica, ma non nel senso che intende chi, anche nei ranghi del governo e della maggioranza, ci attacca ferocemente, tentando di spingerci fuori dal terreno sindacale, come fossimo un'opposizione partitica. Cosa che non siamo mai stati. Purtroppo per loro, i temi presentati nelle motivazioni degli scioperi entrano tutti nel merito della condizione dei lavoratori e delle lavoratrici…, insomma qualcuno mi deve spiegare, se sia necessario o meno aumentare gli stipendi nei nostri settori. Se non attivi la mobilitazione, evidentemente, pensi che non sia necessario. Qualcuno mi deve spiegare se non era necessario, lo scorso anno, contrastare il dimensionamento scolastico e, quest'anno, i tagli. Secondo qualcuno di fronte a questa legge di bilancio, i cui effetti ho spiegato prima, il sindacato avrebbe dovuto stare zitto e buono. Tutte le questioni che ho citato riguardano la vita quotidiana delle persone, le condizioni del loro lavoro e, soprattutto, hanno un impatto anche sugli alunni e gli studenti che frequentano le scuole e le università; nel caso della ricerca hanno un impatto sul futuro del paese e sulle sue scelte strategiche. E questa è politica. E lo sciopero è uno degli strumenti che hanno lavoratrici e lavoratori, che ha il sindacato per far sentire la loro voce. Francamente, sentire che venga definito uno strumento usurato mi indigna.
Se sarà possibile un rilancio dell'unità sindacale nei prossimi mesi, non saprei. Ovviamente è auspicabile. Vedremo.
Quello che emerge dalle cose che dici è che ci sia uno scontro di visioni sul ruolo, le funzioni, gli obiettivi dei sistemi di istruzione e formazione e della ricerca. Oggi soprattutto nella scuola, ma anche nell'università si sente una sorta di crisi di identità, una sorta di inadeguatezza di fronte al mondo che cambia, di fronte al disagio giovanile… Ci vorrebbero riforme profonde ma finora, e non solo per responsabilità di questo Governo, gli interventi sulla scuola e sull'università hanno prodotto confusione, incertezze, demotivazione tra personale e studenti. Quali sono le proposte del sindacato?
Tra i bilanci di fine anno che mi sono divertita a leggere nei giorni scorsi, mi ha colpito l'elenco delle riforme importanti introdotte nella scuola. Tra queste c'è il diario…
… quello dove si segnano i compiti a casa?
… Quello. La cifra politica di questi 2 anni sulla conoscenza è chiara: il definanziamento e l'apertura al privato. Uno schema che si replica sulla scuola e sull'università, parzialmente sulla ricerca, anche se qui la precarizzazione è talmente alto che il sistema si depotenzia da sé. Tra l'altro queste notizie su presunti accordi con Musk sono allarmanti: i patrioti che delegano a un multimiliardario la nostra sicurezza nazionale è incredibile. Lì il made in Italy e la difesa dei confini non valgono.
Il modello è quello che dicevo prima ed è declinato con una serie di interventi il cui fine, da un lato, è ridurre lo spazio pubblico, dall'altro affermare un sistema gerarchico e autoritario. Tutti gli interventi approvati vanno in questa direzione, basti pensare alla valutazione, alle misure disciplinari, alla riduzione degli spazi di partecipazione – penso in particolare alla revisione degli organi collegiali –, alla governance delle università…, nella direzione, cioè, di irrigidire i rapporti tra chi lavora in settori che, invece, hanno senso come comunità cooperante, per imporre scelte dall'alto, nella scuola attraverso la deformazione della figura del dirigente scolastico, non più leader educativo, ma longa mano dell'amministrazione. Scelte imposte dall'alto, perché la partecipazione e l'ascolto non fanno parte dello stile politico di questo governo. E forse si capisce, visto che riforme fiore all'occhiello sono state bocciate democraticamente dalle scuole e dagli utenti, come il liceo del made in Italy e la filiera tecnico-professionale. È chiarissima la visione ideologica. Ma la cosa che di più mi sgomenta è la mancanza di senso dello stato e della correttezza istituzionale che porta un ministro ad andare a manifestare contro un'altra istituzione, un altro potere dello stato. Sono ministri di parte che non si sentono obbligati di ascoltare quella parte del paese che non ritengono sia la loro, non ammettono dissensi.
Da chi calpesta la dignità della propria funzione con stridenti sgrammaticature istituzionali non accetto critiche sull'operato della mia organizzazione, sul merito delle proposte che avanza e sugli strumenti democratici che usa per esprimere le sue proteste. E non accetto neppure la narrazione farlocca che noi non stiamo nel merito delle questioni.
Ribadisco la nostra posizione, su questo davvero intransigente: noi siamo per il cambiamento, i nostri settori hanno bisogno di riforme, ma questo non può passare attraverso la riduzione degli spazi pubblici e le privatizzazioni. La scuola, l'università, la ricerca, l'alta formazione devono restare pubbliche.
Hai parlato della riduzione degli spazi di partecipazione. Per la verità è un tema affrontato anche dal presidente Mattarella nel suo messaggio. Tra qualche mese si eleggeranno le nuove RSU. Di solito a queste votazioni la partecipazione è molto alta. Dato il clima ostile nei confronti del sindacato, c'è qualche preoccupazione che la gente perda interesse?
Noi speriamo sia alta anche quest'anno. La situazione è difficile. Nei nostri settori, soprattutto nella scuola c'è tanta fatica, lo accennavo prima. Anche a questa fatica faceva riferimento il presidente Mattarella, oltre alla bellezza e alla missione istituzionale del lavoro di chi fa formazione. Un richiamo opportuno perché la scuola è molto faticosa e in alcuni contesti territoriali lo è anche di più, perché è l'unica agenzia formativa presente. Sulla scuola si scarica di tutto, il disagio sociale, i problemi delle famiglie, la difficoltà di contesti che aiutano i giovani a trovare una loro strada. E ancora, la scuola è lasciata sola di fronte a una fase di cambiamenti profondi che coinvolgono i modelli di apprendimento e di insegnamento, i saperi, basti pensare alle innovazioni tecnologiche nell'accesso alle informazioni e all'intelligenza artificiale con tutte le potenzialità positive e negative. Di fronte a tutto questo manca una proposta politica che, attenta alle istanze che vengono dalle comunità scolastiche, quindi disposta ad ascoltare, investa risorse non solo economiche, promuova discussioni, protagonismo, susciti interesse.
Le RSU si occupano di problematiche inerenti al rapporto di lavoro. Nei nostri settori ci sono molte questioni aperte sulla ridefinizione dei profili professionali, dei carichi di lavoro, delle mansioni, delle progressioni di carriera. Con quale programma la CGIL si presenta agli elettori e alle elettrici, o meglio quali sono i punti forza del programma?
Prima di tutto bisogna riconoscere tutele e diritti sul piano contrattuale, ma anche e soprattutto di salario. Noi continueremo a richiedere lo stanziamento di nuove risorse, perché è inaccettabile il congelamento dei salari. Poi la stabilizzazione del personale precario, la sburocratizzazione del lavoro. Questi sono aspetti fondamentali della nostra iniziativa e rispondono alla missione delle Rsu nel luogo di lavoro.
Con il cambiamento della funzione della dirigenza cui accennavi prima e la revisione o il ridimensionamento degli organi collegiali, il ruolo delle RSU si complica.
Sì, attraverso la valutazione il Governo cerca di mettere il cappio al collo dei dirigenti, snaturandone la funzione e con l'intervento sugli organi collegiali il modello autoritario e gerarchico è disegnato. In un tale contesto le RSU assumono un'importanza ancora maggiore. Già facendo un bilancio dell'esperienza ormai ventennale, si può dire che abbiano fatto un lavoro straordinario attraverso la contrattazione nei singoli luoghi di lavoro. È il sindacato presente nel luogo di lavoro che attraverso gli strumenti contrattuali difende e valorizza il lavoro dei singoli e di tutti, è il sindacato che parla e ascolta i problemi di quel luogo di lavoro e cerca soluzioni condivise, anche attraverso le assemblee. Vorrei aggiungere che oggi, più di ieri, c'è bisogno di tutelare il lavoro lì dove si svolge anche perché questo modello autoritario mina di fatto l'autonomia delle scuole e la liberta di insegnamento, entrambe sancite dalla Costituzione e depotenzia gli organi collegiali. Un rinnovato neocentralismo che con l'autonomia differenziata si moltiplicherebbe per 20. Un disastro. La RSU rimane quindi l'unico presidio a difesa delle professioni e dell'autonomia didattica e organizzativa.
Non c'è il rischio che si sostituiscano al Collegio docenti?
Non è quello che è stato in questi anni. I ruoli sono ben distinti, il Collegio che si occupa delle scelte didattiche e le RSU sulle questioni che riguardano il rapporto di lavoro e la destinazione delle risorse. Sulla riforma degli organi collegiali stiamo lavorando a una proposta condivisa con le associazioni professionali. In occasione dei 50 anni dall'istituzione degli organi collegiali abbiamo organizzato un convegno nel quale si è discusso, anche in modo critico, di questa esperienza, dell'importanza che ha avuto e della necessità che si rinnovassero, visto che la scuola non è più quella di 50 anni fa[1]. Ci sarà una battaglia parlamentare su questa riforma, quindi è importante che la CGIL, ma anche gli altri sindacati e le associazioni professionali, facciano sentire la loro voce, possibilmente un'unica voce. Il punto per noi fondamentale è che la partecipazione va allargata e va garantita la collegialità nelle scelte delle scuole autonome.
Per tutte queste ragioni nella campagna per il rinnovo delle RSU vogliamo sollecitare il protagonismo di quanti lavorano nei nostri settori per dimostrare che, quando crede nei propri rappresentanti, la gente va a votare. Io credo e spero che chi lavora nella conoscenza dia una risposta diversa in controtendenza a quanto succede alle elezioni politiche, dove l'astensionismo è altissimo, e che lo faccia non solo per scelte personali, ma anche per responsabilità educativa.
Quali le priorità per il 2025?
L'anno appena iniziato sarà complesso e ci aspetta molto lavoro. Tra le priorità indico sicuramente il rinnovo del contratto, per cui non ci stancheremo di rivendicare risorse aggiuntive. E naturalmente il contrasto al definanziamento dei nostri settori. Un grande impegno sarà finalizzato affinché le votazioni per le RSU vedano un'altissima affluenza e un successo per le liste CGIL. La stabilizzazione del personale precario, che è sempre stata una nostra battaglia, anche perché nei nostri settori il precariato ha una forte incidenza, sarà oggetto di numerose iniziative. Ovviamente ci sarà l'impegno per la riforma dei modelli partecipativi, tema, come ho detto più volte in questa conversazione, molto rilevante. E infine, ma non da ultimo, la campagna referendaria per cancellare l’autonomia differenziata, tema sul quale la FLC CGIL è stata protagonista sia nella raccolta firme che nell’orientamento dei cittadini e cittadine, per i quattro referendum sul il lavoro promossi dalla nostra organizzazione e per il referendum sulla cittadinanza.
Questi sono gli impegni, ma solo fino a maggio.
[1] Si rimanda al numero speciale di ottobre 2024 dedicato ai cinquant’anni degli organi collegiali https://www.articolotrentatre.it/rivista/ottobre-2024