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UN ANNO SCOLASTICO AL BIVIO

Con l'inizio dell'anno scolastico 2025/2026 e il rientro in classe di circa 7 milioni di studenti e un milione e 200 mila dipendenti, la Federazione Lavoratori della Conoscenza (FLC CGIL) osserva con profonda preoccupazione il panorama dell'istruzione pubblica italiana. Ciò che si sta delineando non è semplicemente un nuovo ciclo didattico, ma un anno che rischia di essere vissuto pericolosamente, sotto l'egida di interventi che minano le fondamenta di una pedagogia democratica e inclusiva.

Il ministro dell'istruzione, con una chiara agenda ideologica, sta imponendo un carattere autoritario e dirigista al sistema pubblico d'istruzione, contraddicendo apertamente la libertà di insegnamento e l'autonomia scolastica. L'obiettivo appare duplice: da un lato, illudere che si possa ripristinare autorevolezza e rispetto della scuola attraverso un modello pedagogico e culturale di destra; dall'altro, intervenire direttamente su questioni che dovrebbero essere di spettanza delle scuole. Questo approccio si traduce in un drastico ritorno al passato, a una scuola da "libro Cuore", inadeguata per un contesto in profonda trasformazione.

Si cambia per tornare indietro

Le manifestazioni di questa visione sono molteplici e concrete. Partiamo dalle Indicazioni Nazionali, il cui contenuto rappresenta per noi un inaccettabile passo indietro. Si pensi anche all'intervento sull'uso degli smartphone in classe, che banalizza una questione complessa, spesso già normata nei regolamenti d'istituto, trasformandola in un mero divieto anziché lasciare libere le scuole di valutarne l'opportunità didattica.

L'elenco è purtroppo lungo e preoccupante: dal progetto di riforma della partecipazione negli organi collegiali, che pende come una delega in bianco, alla filiera tecnologico-professionale 4+2, alla riforma dell'istruzione tecnico-professionale, al liceo del Made in Italy. Non possiamo, poi, ignorare gli interventi sulla valutazione, con il ripristino dei voti e le modifiche alla condotta, che restituiscono un'immagine di scuola ottocentesca, ma soprattutto allontanano la motivazione degli studenti e delle studentesse a partecipare al loro processo di apprendimento e rendono semplicemente trasmissiva la relazione educativa.

Un'offensiva particolarmente emblematica riguarda l'esame di Stato, che torna a essere denominato "esame di maturità", richiamando un'epoca lontana, il 1923, e un approccio paternalistico verso studentesse e studenti. L'introduzione delle prove Invalsi, il superamento del colloquio su quattro discipline e l'intera impostazione autoritaria dimostrano una distanza siderale dalle più attuali elaborazioni pedagogiche. Questa prospettiva, ben lungi dal rafforzare la scuola pubblica, sembra piuttosto orientata a giustificare il suo impoverimento, per convogliare maggiori risorse verso il sistema privato, in nome di una malintesa libertà di scelta educativa.

Retribuzioni basse e definanziamento

A questa nuova "offensiva" si aggiungono, e si aggravano, i problemi annosi e mai risolti: la precarietà e le basse retribuzioni. I dati sul precariato sono una chiara sconfitta del Governo: si è arrivati nell’anno scolastico appena trascorso a oltre quota 300 mila, escludendo le supplenze temporanee. Le immissioni in ruolo annunciate, 41.901 nuovi docenti, pari al 76,8% dei posti disponibili, sono numeri altamente inferiori alle cattedre da coprire e assolutamente insufficienti a contrastare la precarietà, in aumento da quando questo Ministro è in carica.

Per quanto riguarda le retribuzioni delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola italiana, queste si collocano ai livelli più bassi in Europa. L'annuncio di 240 milioni di euro aggiuntivi da parte del Ministro si traduce, in realtà, in una "mancia" o una "miseria": circa 124 euro lordi all'anno per dipendente, ovvero poco più di 10 euro lordi al mese, e per un solo anno. Queste risorse, peraltro, non sono aggiuntive, ma derivano dal taglio del Fondo per il Miglioramento dell’Offerta Formativa e da fondi già finalizzati ad altri scopi. Non solo non avranno nessun effetto strutturale sugli stipendi, ma dimostrano la chiara mancanza di volontà politica di affrontare seriamente il tema del rinnovo contrattuale.

Le iniziative

Di fronte a questo quadro desolante, la FLC CGIL non rimarrà inerte. Insieme a una vasta platea di associazioni riunite nel Tavolo per la scuola democratica, stiamo promuovendo per il 18 ottobre iniziative in tutti i territori per dire un deciso no al revisionismo storico che è alla base delle nuove indicazioni nazionali.

E non ci fermeremo qui. In un contesto generale cupo sul versante internazionale, caratterizzato dall'aumento delle spese per il riarmo, dai tagli e riduzioni per effetto dei nuovi parametri europei, da una stagnazione della crescita economica, da dati allarmanti su produzione industriale e consumi, la nostra battaglia non è legata solo alla giusta difesa del lavoro. Se tutto ciò si dovesse tradurre in un attacco feroce al sistema pubblico, con ulteriori tagli e mancanza di investimenti nei settori della conoscenza, metteremo in campo tutte le iniziative di mobilitazione necessarie.

La scuola, l'università, l’Afam e la ricerca sono necessarie per rafforzare quei valori che sono alla base della nostra Costituzione e per contrastare la regressione in atto sul versante dei principi democratici. La FLC CGIL continuerà a battersi per una scuola pubblica, statale, democratica, inclusiva e ben finanziata, unica garanzia per il futuro del Paese.

L'autore

Gianna Fracassi

Segretaria Generale FLC CGIL.

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