Attualità

14 gennaio 2022

Francia. La rabbia delle scuole si riversa nel più grande sciopero degli ultimi 20 anni

A poche settimane dalle elezioni presidenziali, la Francia assiste allo sciopero della scuola, il più partecipato, quantitativamente e qualitativamente, in questi primi vent’anni del XXI secolo, indetto da quasi tutte le sigle sindacali. Nonostante il tentativo di delegittimazione del ministro dell’istruzione Blanquer, il quale aveva contrastato i sindacati sostenendo che “non si sciopera contro il virus”, la rabbia del mondo della scuola francese è esplosa in modo quasi unanime il 13 gennaio scorso. E il successo della partecipazione allo sciopero, definita epocale da tutti i giornali transalpini, è stato talmente evidente che il premier Castex ha invitato a tarda sera i leader sindacali a dialogare direttamente con lui (per oltre 3 ore), e con i ministri dell’Istruzione e della Sanità (collegato online perché positivo al covid). Paradossalmente, in quelle stesse ore, il presidente della Repubblica Macron discettava di necessaria riforma dell’università - più vicina alle imprese e alle necessità del mercato - dinanzi alla Conferenza dei rettori.

Ciò che i quotidiani rilevano il giorno dopo è che la forte mobilitazione ha coinvolto anche i capi d’istituto e gli ispettori, cosa davvero quasi del tutto inedita e inattesa. Dirigenti e ispettori hanno sostenuto la lotta e la rabbia del personale scolastico, degli studenti e delle famiglie, dopo due anni di crisi sanitaria. Sul piano puramente statistico, solo nel 2003 furono toccate le stesse punte di partecipazione, quando gli insegnanti in sciopero protestarono contro la riforma delle pensioni di Fillon. In quell’anno, si raggiunse un tasso di partecipazione del 74%, mentre nel 2022 si sono toccate punte del 90% e una media alle scuole primarie del 75%. Inoltre, notevole, per i numeri francesi, è stata anche la partecipazione ai cortei: circa diecimila persone a Parigi, dove hanno portato la solidarietà la sindaca e candidata socialista alle presidenziali Anne Hidalgo e il leader di France Insoumise Jean-Luc Melenchon, il quale ha definito il ministro dell’istruzione un “utile idiota”. In tutta la Francia hanno invaso le piazze e le strade oltre centomila persone. Insomma, lo sciopero del 13 gennaio è riuscito a mettere assieme un fronte dall’enorme valore simbolico.

Il punto è capire se e come i leader sindacali daranno seguito allo sciopero con altre forme di lotta. Alcune sigle sindacali francesi hanno già previsto la possibilità di dare seguito a questo straordinario sciopero con altre mobilitazioni, altre invece, dopo l’incontro ministeriale di ieri sera, hanno annunciato di avere accettato la “ripresa del dialogo”. Di fatto, il ministro dell’Istruzione ha promesso la messa a disposizione di 5 milioni di mascherine Ffp2 per insegnanti delle materne, il reclutamento di 3300 docenti precari, il ricorso alle graduatorie dell’ultimo concorso per rispondere alle necessità quotidiane. Ma è ovvio che sul tavolo delle trattative vi sono altre materie di discussione, ma questo annuncio, secondo la Cgt ad esempio, non risponde affatto alle rivendicazioni dello sciopero e rilanciate nel corso dei cortei. Il ministro ha però cercato di evitare il peggio promettendo riunioni bimestrali con i sindacati.

Gli insegnanti hanno mostrato di avere il cuore a sinistra? Se lo chiedono molti commentatori e ricercatori. Ci si chiede se la mobilitazione di giovedì, in questa fase, possa pesare sulle elezioni presidenziali del prossimo aprile. Un ricercatore come Luc Rouban ha compiuto una indagine sociologica. Su un totale di 750 insegnanti attivi, i docenti restano posizionati a sinistra, oltre la media nazionale dei francesi: “solo la metà degli insegnanti attivi che hanno votato Macron nel 2017 affermano di volerlo rivotare”. L’altra metà pare orientarsi verso il candidato dei Verdi Jadot e la candidata socialista Hidalgo, ma anche la destra attira. “La dispersione dell’offerta politica a sinistra potrebbe nutrire una frustrazione che trova risposte nel conflitto sociale… o nell’astensione”, dice il ricercatore.

Nel corteo di Parigi prevale l’esasperazione: rabbia per protocolli sanitari ingestibili, rabbia per la gestione manageriale del ministro, per la mancanza di mezzi, di riconoscimento sociale, di comunicazione, per salari giudicati troppo bassi (con un differenziale di almeno il 7 per cento rispetto alla media europea, dicono i sindacati). Anne-Sophie è una dirigente scolastica ed è nel corteo insieme a tante altre colleghe. Esprime al quotidiano Le Parisien tutta la sua rabbia: “la situazione è davvero invivibile in questi giorni, non solo per noi ma anche per alunni e genitori. Sarebbe stato più semplice chiuderle tutte le scuole, perché ora nelle classi non si pensa a insegnare ma solo a sorvegliare lo stato degli alunni”. Clara Da Silva insegna filosofia in un liceo di Parigi. È perfino più dura, se possibile: “sono cinque anni che questo ministro tenta di destrutturare la scuola pubblica, non è solo una questione di protocollo sanitario. Si tratta di distruggere un servizio pubblico. La gestione della crisi sanitaria è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso già pieno con la riforma dei licei del 2019. Nel nostro liceo, dove la partecipazione allo sciopero è sempre stata molto bassa, siamo oggi a oltre il 60% di adesioni, cifra enorme e significativa”. Laurence Cantoillat e Brahmi Chaker sono maestri elementari che manifestano a Parigi e sono unanimi: “Blanquer ha fatto solo dei rattoppi. Noi siamo declassati da anni, e l’epidemia ha esacerbato le cose. Il nostro lavoro è stato precarizzato, siamo gli invisibili dell’istruzione nazionale. Il nostro lavoro è quello di insegnare, non gestire protocolli impossibili. Ci si chiede di improvvisare costantemente, di gestire l’emorragia senza alcun aiuto. Tutto ciò non è più possibile, per gli alunni, per i genitori, e per noi”.

Insomma, dalle manifestazioni e dallo sciopero francese giunge un monito, anche all’Italia e all’Europa: rispettare il personale delle scuole e le condizioni di lavoro, insieme alla richiesta ai governi di un cambiamento nei metodi di gestione della pandemia e non solo. Si chiede lo stop agli annunci mediatici confusi, si chiedono maggiori risorse per le scuole e un salario più dignitoso per chi ci lavora, si chiede la stabilizzazione del personale precario. I sindacati scuola francesi – ma anche la maggioranza dei sindacati scuola italiani con lo sciopero del 10 dicembre – denunciano un attacco contro la professionalità, dei docenti e di tutto il personale. Le modalità con cui alcuni governi dirigono l’organizzazione scolastica si sono rivelate di per sé strumenti di forti disuguaglianze, vecchie e nuove, e non basta più sostenere che “le scuole restino aperte” se poi non si dà seguito concreto a ciò che questo comporta, agli impegni, anche di natura finanziaria e salariale, che ciò comporta. I tantissimi che hanno scioperato in Francia lo hanno detto a gran voce: in queste condizioni di pericolosa inquietudine collettiva suscitata dall’aumento esponenziale dei contagi potrebbe venir meno, con ogni probabilità, la continuità didattica, con una evidente perdita di apprendimenti, e potrebbe avverarsi il rischio di naufragio del diritto allo studio per tutti. Si tratta di un’analisi e di un monito che vale ovunque, non solo per la Francia.

L'autore

Pino Salerno