«Cos’è un uomo in rivolta?»
È la domanda iniziale che si pone Camus che riassume in tutta la sua drammaticità esistenziale la vera essenza dell’uomo e del suo rapportarsi con i suoi simili. Alla intrigante domanda risponde con una affermazione ben precisa che consente di ampliare i concetti oltre la tradizionale risposta dettata dal marxismo ortodosso e dominante. L’uomo in rivolta non è altro che «…un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando». Quindi l’uomo in rivolta è l’oppresso che a un certo punto respinge l’ordine umiliante del suo superiore; è colui che tenta di liberarsi dal giogo che lo tiene in stato di servitù e subalternità mediante il rifiuto della propria mortificante condizione; è un uomo che esige rispetto, un rispetto che per lui diviene il sommo bene, preferibile alla vita stessa: «piuttosto morire che vivere in ginocchio! » e in questa fase crede a un bene trascendente il proprio destino che egli pone al di sopra di sé. Rivendica un diritto negato, un valore che avverte di avere in comune con gli altri uomini identificandosi quindi con una comunità naturale che va preservata. Il soggetto prende pienamente coscienza del limite della sua esistenza e allora dice no! Pone così una frontiera, una cesura, un limite alla sua esistenza collettiva oltre il quale non è più possibile andare e non è più tollerabile l’attuale relazione esistente.
C’è un punto invalicabile nei rapporti e nelle relazioni sociali oltre il quale la pazienza o meglio la ragionevolezza conveniente non basta più per far accettare una condizione insostenibile anche soggettiva. Ecco quindi che scatta la ribellione dell’uomo. In questa fase incominciano a far breccia nell’individuo i primi bagliori di una presa di coscienza che lo porta a dire no, io non ci sto più! Siamo però ancora nell’alveo della sfera individuale e della soggettività. Ma a cosa dice no l’uomo? Non è sufficiente dire che il no si riferisce a questo stato di cose perché troppo generico; si tratta di individuare a quali cose ci si riferisce. Se ribellarsi è giusto, è il solo ribellarsi che ci spinge alla rivolta? Etimologicamente “rivolta” è un volta faccia ad uno status particolare e per Camus questo status è rappresentato dalla
sua condizione determinata dalla storia che appare in ogni caso come schiavitù. Quindi l’uomo in rivolta si ribella contro questa condizione passando repentinamente dalla sfera
individuale a quella collettiva, dal singolare all’universale. Una presa di coscienza lenta che consente però, di volta in volta e man mano che la si acquisisce, di focalizzare al meglio la rivendicazione di nuovi valori e di invocare nuovi diritti. Ma se in prima istanza i contorni di questi nuovi valori appaiono sfumati e oscuri perché ancora non si passa dal ciò che dovrebbe essere al ciò che voglio che sia, è l’afflato della voglia/necessità di cambiare che sorregge la rivolta.
Cosa c’è da cambiare se non la condizione individuale e collettiva di schiavo? Si invoca e si rivendica quindi la libertà: la libertà di essere e di esistere perché l’attuale esistenza nega tale condizione. Da qui l’esigenza di abbattere ciò che impedisce l’essere liberi. Nel corso della storia l’uomo insorge contro l’ingiustizia rivendicando la sua umanità e promuovendo il sentimento della solidarietà verso i suoi simili. La filosofia della Rivolta è un modo per scardinare i limiti di questa storia, una battaglia esistenzialista che non può essere condotta dal singolo ma deve essere collettiva per poter approdare a una nuova e più avanzata riarticolazione della propria esistenza.
Abbiamo deciso di pubblicare parte di questo articolo dal titolo La filosofia della rivolta, firmato da Massimo Mari, apparso su Articolo 33 nel 2018 perché lo troviamo di grande attualità. Al termine dello sciopero generale CGIL e UIL dello scorso 29 novembre, uno sciopero proclamato per chiedere di cambiare la manovra di bilancio 2025, considerata del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese, e che andrebbe solo a penalizzare ulteriormente lavoratori, pensionati e famiglie, il segretario generale della CGIL Maurizio Landini ha invitato i cittadini alla rivolta sociale, salvo poi doversi difendere dalle molte polemiche e dalle accuse di “dichiarazioni eversive”.
«Non ho mai parlato di violenza – ha dovuto chiarire Landini nei giorni seguenti - ma ognuno di noi deve ribellarsi di fronte alle ingiustizie, non si ci può voltare dall’altra parte. Il richiamo alla rivolta per sé stessi e per gli altri fa parte della responsabilità umana, perché uno da solo non va da nessuna parte. Insieme si possono cambiare le cose. Rivolta è maggiore partecipazione, rivolta è libertà».
Proprio la libertà di cui parla Albert Camus in quel saggio dimenticato che citiamo nell’articolo. Un’opera particolare e in controtendenza all’epoca (era il 1951) e che segnò la rottura definitiva dell’autore con Sartre, dando origine a infinite polemiche che divisero l'avanguardia intellettuale francese ma non riuscirono a pregiudicare la validità di una lezione di coraggio, generosità e moralità che rimane attualissima, come vediamo, ancora oggi.
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