L’opinione pubblica sta scoprendo un aumento generalizzato delle spese militari apparentemente determinato dall’invasione russa dell’Ucraina. In realtà, la crescita delle spese militari mondiali è un fenomeno pluridecennale, essendo ripreso - dopo una breve pausa negli anni ’90 del secolo scorso - già alla fine di quel periodo, addirittura un paio d’anni prima dell’attentato alle Twin Towers. E da quel momento l’incremento non ha conosciuto soste al punto che dai 993 miliardi di dollari del 1999 siamo arrivati prima a 1.754 nel 2009, poi a 1.960 nel 2020 (secondo i dati del SIPRI calcolati a prezzi costanti).
In un clima di crescente tensione internazionale, nell’ambito di questa mole globale di denaro spesa nel settore della difesa, sono una quindicina i paesi che detengono praticamente l’81% del totale e tra questi la potenza leader sono gli Stati Uniti, che, dopo il fallimento della missione in Afghanistan e in seguito alla guerra in Ucraina, aumenteranno ancora ulteriormente il loro budget da 753 miliardi di dollari del 2022 agli 813 del 2023 con un aumento del 4%.
Se consideriamo che alla fine della Guerra Fredda (1998) si spendevano 1.469 miliardi di dollari, l’incremento di questi anni è stato effettivamente consistente e le prospettive sono di un ulteriore aumento generalizzato, vista la crescente instabilità del quadro mondiale.
In ambito NATO da tempo, anche in relazione al Nuovo Concetto Strategico del 2010 che ha ampliato lo spazio operativo dell’Alleanza su un piano globale, si parla di arrivare a spese militari equivalenti al 2% del PIL: si partì dapprima con un accordo informale del 2006 dei ministri della Difesa dei Paesi membri dell’Alleanza, a cui seguì l’intesa del vertice dei Capi di Stato e di Governo del 2014 in Galles (da raggiungere entro il 2024) e poi il cosiddetto Defence Investment Pledge di Varsavia nel 2016, stabilendo d’investire un quinto della spesa per nuovi sistemi d’arma.
Forti pressioni in tal senso sono sempre pervenute da parte statunitense (potenza globale), interessata a disimpegnarsi almeno parzialmente dal teatro europeo e dal Mediterraneo allargato, al fine di concentrarsi nell’area asiatica e nell’Oceania, per fronteggiare la sfida cinese.
In realtà diversi alleati, Canada compreso (1,4%), pur rispondendo affermativamente alle richieste di Washington, non hanno operato di conseguenza rinviando tale decisione, anche perché colpiti da varie crisi economiche. Altri, più “solerti”, come Gran Bretagna e Francia (ambedue potenze nucleari), nonché Grecia e Turchia (in permanente tensione), hanno superato la soglia anzidetta. Tutti gli altri invece se ne sono ben guardati, almeno sinora.
L’Unione Europea, che raccoglie al suo interno anche diversi paesi membri della NATO (che è un’alleanza militare anche nucleare), da alcuni anni ha avviato dei tentativi per una politica della sicurezza comune, al punto che sempre più spesso si parla di “esercito europeo”. Bruxelles ha anche allocato diversi fondi in questo settore, destinandoli per la maggior parte a favorire la R&S tra le varie industrie del settore. Con il Fondo Europeo della Difesa, ad esempio, sono stati stanziati 7,95 miliardi di euro. Una pioggia di denaro molto gradita dalle aziende del settore, che però non risolve i nodi di fondo della difesa europea.
I problemi infatti sono connessi all’assenza di un vero governo europeo, con ministri degli Esteri, della Difesa e dell’Economia effettivamente in grado di affrontare le sfide cruciali contemporanee. I singoli governi nazionali sono pronti a rinunciare alla sovranità in questi settori o, invece come oggi, preferiscono avere 27 eserciti, 23 aeronautiche e 21 marine, con una varietà incredibile di sistemi d’arma differenti e con uno spreco di denaro pubblico assurdo? In UE abbiamo 17 tipi di carri armati a fronte di uno solo in dotazione alle forze armate statunitensi! Se sommiamo i bilanci della difesa dei 27 membri dell’UE, arriviamo ad una cifra simile a quella della Cina e nettamente superiore al quella russa.
Spese militari a confronto 2020: Stati Uniti 766,5 Mld $ Cina 244,9 Mld $ Unione Europea 227,8 Mld $India 73,0 Mld $ Russia 66,9 Mld $ Fonte: database SIPRI 2022 (a valori costanti 2019).
Se poi consideriamo che la NATO ha speso 1.050 miliardi di dollari per la difesa nel 2021 e che gli USA ne hanno coperto il 70%, ci si rende conto facilmente che la soluzione non consiste nell’aumento continuo di tali budget, ma nel fatto che la spesa è talmente dissennata che anche se si arrivasse al 3% o al 4%, nel Vecchio Continente ci troveremmo sempre con forze armate inadeguate proprio per la loro frammentazione e per l’assenza di una guida politica unitaria e coerente.
Inoltre, qualora si decidesse per una razionalizzazione della spesa e della produzione/acquisizione degli armamenti, quale governo sarebbe capace di tagliare i rami secchi della propria industria nazionale per concentrare a livello europeo la produzione di aerei o di carri armati, per fare un esempio, in soli pochi paesi? La miriade d’industrie grandi e piccole che lavorano in questo settore (116 miliardi di fatturato, 500.000 dipendenti diretti e 1,2 milioni nell’indotto, secondo fonti industriali) ha un peso economico e politico non secondario: richiede finanziamenti sì, ma non razionalizzazione.
Non va dimenticata inoltre la presenza di forti tendenze sovraniste che operano non a caso per una destabilizzazione di organismi sovranazionali quali l’Unione Europea, che invece potrebbe – se rifondata – svolgere un ruolo importante e significativo sulla scena mondiale, mentre oggi è costretta ad assistere all’azione di alcuni attori come Stati Uniti, Cina e Russia, cercando di ritagliarsi piccoli spazi di manovra, che non incidono in un quadro globale che Ignacio Ramonet definiva già anni fa dominato dalla “geopolitica del caos”.