Cultura

04 marzo 2022

Il libro bianco di Pasolini

Ringraziamo il Gruppo Editoriale Aliberti che ci ha concesso di pubblicare alcuni estratti de "Il Libro Bianco di Pasolini" (Francesco Aliberti, Alessandro Di Nuzzo, Enzo Lavagnini, 2022) che potete trovare qui

È il nostro omaggio culturale a Pier Paolo Pasolini, grande poeta, sceneggiatore, attore, regista, scrittore e drammaturgo italiano, così tanto amato e discusso, che il 5 marzo di quest'anno avrebbe compiuto cento anni

"Trentatré processi, centinaia di udienze. Tre condanne in primo grado, due assoluzioni nei gradi successivi, un paio di amnistie. Si può dire che l'odissea, o meglio la "persecuzione" giudiziaria di Pier Paolo Pasolini, come la definì il libro collettivo che uscì nel 1977 per la cura di Laura Betti, sia un dramma - a volte farsesco, a volte angosciante, con un finale tragico - a tre protagonisti. Pasolini stesso, come artista e come uomo; la società italiana del dopoguerra; la giustizia di questo Paese. Questo dramma si svolge lungo tre decenni: dai fatti di Casarsa (1949-50) nei quali Pasolini è ancora un comune cittadino, un giovane insegnante di provincia che assurge suo malgrado agli onori della cronaca locale anche per la sua militanza politica, fino al sequestro e alla denuncia del suo ultimo film, Salò, uscito postumo. Senza contare che anche la sua morte, ovviamente, è un caso giudiziario, e che caso, e quanto controverso...".

Così Alessandro Di Nuzzo, uno degli autori, introduce il volume rivolgendosi a Pasolini, in un articolo in cui prende ad esempio due casi giudiziari esemplari, che parlano per tutti: Il processo a La ricotta e il processo per la cosiddetta "rapina del Circeo".  

Qui l'articolo di Alessandro Di Nuzzo.

Buona lettura!
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ESTRATTI DAL PROCESSO A “LA RICOTTA”

Tribunale Penale di Roma
PROCESSO VERBALE DI DIBATTIMENTO
(Art. 492, 496 Cod. proc. pen.)

L'anno millenovecentosessantatre il giorno cinque del mese di marzo alle ore 10.30

Il Tribunale Penale di Roma - Sezione IV - Composto dai Signori: Semeraro Giuseppe - Presidente, Testi Carlo e Bilardo Luigi - Giudici. Coll'intervento del Pubblico Ministero rappresentato dal S.Procuratore Di Gennaro Giuseppe[1] coll'assistenza del Cancelliere sottoscritto.

Si è adunato nella sala d'udienza aperta al pubblico per trattare la causa penale:

CONTRO

Pasolini Pier Paolo libero - presente

assistito dai difensori G. Berlingieri[2] - A. Carocci – E Giovannini; Avv. F. Giovannini e Avv. Berlingieri per l'imputato; l'Avv. Carocci in qualità di sostituto dei due difensori.

Il P. M. chiede che il Tribunale voglia prendere visione della pellicola cinematografica dell'episodio incriminato su normale schermo, e successivamente voglia, ove i giudici desiderino approfondire gli elementi di conoscenza, revisionare la stessa pellicola in

moviola: chiede che parte della requisitoria si svolga col sussidio audio-visivo della proiezione, quanto meno in moviola.

La difesa si associa alle richieste del PM. e chiede che il Tribunale scelga la sede adatta per la proiezione. A tal fine i difensori indicano l'Istituto Luce.

Il Tribunale si riserva.

Il Presidente procede all'interrogatorio dell'imputato Pasolini Pier Paolo già qualificato in atti.

Quindi gli contesta il fatto che gli è attribuito, e le circostanze di esso e lo invita ad indicare le sue discolpe e quant'altro ritenga utile per la sua difesa e l'imputato risponde: «L'accusa è infondata, io non avevo la minima intenzione di offendere, neppure involontariamente. Non c'è nulla, obbiettivamente, che possa offendere, nel film, la religione, nessun elemento valido a tal fine.

Se l'interpretazione sfavorevole, nel senso dell'imputazione, vi è stata, non può essere che interpretazione in malafede».

A questo punto, a domanda del PM. r.: «Preciso che la definizione o interpretazione per cui dianzi ho parlato di malafede, citando le mie stesse parole di una didascalia all'inizio del film, ove spiegavo che forse sarebbe stato interpretato sfavorevolmente, ma che l'interpretazione sfavorevole sarebbe stata effetto di malafede».

A d. del PM,, r.: «Insisto nel dire che, se al di fuori della mia volontà, interpretazione in malafede vi è stata, essa non può che essere stata frutto di malafede».

A domanda della difesa, r.: «L'idea del fatto mi è stata suggerita da un fatto avvenuto durante l'ultima eclisse di sole, mentre si girava una scena sulla crocifissione di Nostro Signore. Preciso che la parte religiosa è la cornice dell'opera. Il significato è un altro, interessandosi i miei film e romanzi del sottoproletariato. Il protagonista del film vuole essere il simbolo del sottoproletariato, di cui nessuno si occupa né si è occupato mai. Lo Stracci, protagonista, è questo simbolo, e la sua morte è un modo di dimostrare la sua

esistenza e di porre il problema della sua esistenza».

Il Tribunale

sulle richieste delle parti, su indicazione della difesa, dispone che la proiezione avvenga nella sala dell'Istituto Luce, in data odierna, ore 17; e che sia, in luogo, fatta trovare una moviola. Rinvia il dibattimento alle ore 17, all'Istituto Luce, Via S.Susanna 17.

DALLA REQUISITORIA DEL PUBBLICO MINISTERO

Inutilmente si tentano di giustificare gli illeciti commessi dichiarando che il film era diretto a perseguire fini legittimi… il fine reale perseguito dall'imputato è quello di dileggiare la figura più alta della religione cattolica, l'uomo-Dio che congiunge il nuovo e il vecchio testamento, nel momento ineffabile della sua passione e della sua morte... È troppo comodo il pretesto di attribuire la responsabilità agli uomini della troupe.

Nel riprodurre a colori opere famose nell'iconografia sacra, Pasolini ha voluto prima sollecitare l'attenzione degli spettatori e schiaffeggiarli con i pazzi ritmi di certa musica moderna; la quale è stata alternata volutamente con musiche sacre di Alessandro Scarlatti, di un ignoto del ‘700 e perfino con un motivo verdiano suonato come se si trattasse di una marcia da bersaglieri.

Troppa densità di concetti, troppo uso di simboli, troppe valutazioni e giudizi perché ne risultasse un'opera d'arte e non una verbosa e magniloquente pellicola... Quale spaventosa prosopopea illudersi di confondere professoralmente gli uomini comuni negando di aver voluto vilipendere!... Voi vi domanderete come mai la stessa stampa cattolica non ha reagito con sdegno all'insulto di costui. E ne avete ben donde: i cattolici avrebbero dovuto prendere posizione... sono sicuro che la vostra sentenza sveglierà i morti, richiamerà in vita e a dignità quei cattolici da sagrestia che hanno abdicato alla loro cultura per tema di essere tacciati do conformismo.

Sono stato accusato di essere un nostalgico dell’Inquisizione ed anche un conformista, sennonché il vero conformista è Pasolini, il quale ha assunto durante il processo un tono

tracotante per compiacere la platea, mentre a chi mi accusa di malafede posso rispondere di aver agito in difesa della libertà di coloro i quali non vogliono essere disturbati mentre sono in preghiera dinanzi a Dio.

Tutto il film di Pasolini conferma l’esistenza di un reato di vilipendio; per qual motivo, infatti, egli fa urlare all'aiuto-regista l’insulto: "Cornuti, cornuti” mentre si sta girando la scena della Deposizione, e fa poi risuonare la vallata dove si sta girando il film con le grida: "Via i crocefissi, via i crocefissi!"? La verità è che Pasolini ha voluto dire: "Via il Cristo dagli altari perché venga sostituito con un altro Dio: il sottoproletariato. Mi spiace

che la pena prevista per il reato da lei commesso sia troppo lieve e che debba limitarmi a chiedere un solo anno di reclusione. Nel 1930, quando il reato di cui lei è imputato, fu inserito nel codice penale, il legislatore non poteva prevedere lo sviluppo che avrebbe preso la cinematografia e l'impiego che di essa si sarebbe fatto per offendere la religione cattolica. La pena sarebbe ben più grave!.

Il valore del vostro giudizio trascenderà questa situazione contingente per assurgere al livello di principio, di dettato pedagogico sociale... la condanna avrà un valore pedagogico che andrà oltre la persona dell'imputato.

DALLA SENTENZA DI PRIMO GRADO

Nel film in esame, come si è visto, non c'è dibattito di idee, antitesi motivata di valori. C'è semplicemente una continua inopinata, gratuita messa in ridicolo di simboli e di soggetti sacri, costituenti l'intima essenza della religione, ai quali - ripetesi - l'imputato, con la sua opera, si accosta sempre con animo dispregevole e irriverente.

E il dileggio è istintivo, immediato, plateale soltanto all'apparenza superficiale, ma proprio perciò ancora più subdolamente efficace in quanto recepibile con facilità dagli spettatori meno evoluti e provveduti, portati agevolmente a schernire a irridere alle cose sacre della religione, volutamente immiserite. […]

Devesi dunque concludere osservando che il vilipendio di cui si fa carico al Pasolini non può assurgere a dignità di libera manifestazione del pensiero, ma è una sua degenerazione, deviando da quella che è l'esposizione di una opinione o di una tesi per divenire gratuita derisione, estranea pertanto alla sfera che in regime di libertà democratiche, è consentito discutere, criticare e magari combattere con la propaganda, ma mai schernire, deridere, oltraggiare.

Atteso il mezzo impiegato da Pasolini per l'attuazione della sua condotta criminosa, sussiste nella specie anche la richiesta condizione obiettiva di punibilità della pubblicità; va dunque affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al delitto ascrittogli.

Tenendo presenti le circostanze di cui all'art. 133 C.P. ritiene il Collegio pena congrua alla gravità del fatto delittuoso, quella di mesi quattro di reclusione cui si perviene riducendo di un terzo la pena base, per effetto delle circostanze attenuanti generiche.

Queste, come altresì il beneficio della sospensione condizionale della esecuzione della pena inflitta, ritiene il Collegio di poter concedere al prevenuto, in considerazione del suo attuale stato di incensuratezza, quale risulta dal certificato penale, e giacché nutresi fondata fiducia che Pier Paolo Pasolini si asterrà nel futuro dal commettere ulteriori reali.

Quanto precede, avuto riguardo alla spiccata personalità dell'imputato come scrittore e come uomo di cultura, che più degli altri appunto è in grado di comprendere il valore, il significato, la gravità delle proprie azioni e che certamente da questa condanna trarrà per il futuro, utile e meditato insegnamento e quindi sprone a bene operare nella società in cui

vive ed agisce, ispirando la propria condotta, nei confronti del patrimonio ideologico e religioso della maggioranza degli italiani a quello stesso profondo rispetto di cui meritano di essere circondate le sue opere; quali libera espressione del pensiero umano, sempreché siano articolate nell'ambito del diritto della legge.

L'imputato è tenuto altresì al pagamento delle spese processuali.


[1] Giuseppe Di Gennaro è un magistrato italiano. Così lo ritrae Enzo Golino (Repubblica, 13 agosto ‘92): “Cattolico militante, socio dell’Unione giuristi cattolici: un conservatore, dicono, sia pure illuminato e provvisto di solida cultura, al contrario di quanto pensano di lui in alcuni ambienti della polizia e della magistratura che lo considerano quasi un sovversivo e causa dei suoi tentativi di rendere meno dura la vita dei carcerati. […] Appassionato di cinema, autore di sceneggiature e di documentari televisivi, il controverso magistrato ottiene di portare in tribunale una moviola che lui stesso manovra per illustrare ai giudici le sue tesi, inquadratura per inquadratura. […] Nella requisitoria Di Gennaro non si risparmia incursioni nel campo dell’estetica. Al di là del diritto, vuole dimostrare la sua competenza in fatto di cinema e nel giudizio dell’opera d’arte”.
Dodici anni dopo, nel maggio del 1975, Di Gennaro è vittima di un clamoroso atto terroristico. Una cellula dei Nap (Nuclei Armati Proletari) lo sequestra a Roma, per colpire il nemico numero uno, il magistrato che al ministero di Grazia e Giustizia lavora alla riforma del sistema carcerario. Lo rilasciano dopo qualche giorno, mentre si spegne la rivolta nelle celle di Viterbo che doveva "appoggiare" il clamoroso sequestro. Qualche anno dopo, finisce anche nel mirino delle Br, con un secondo progetto di sequestro.
Nel 1981 Di Gennaro viene nominato direttore dell’Unfdac, il Fondo per il controllo dell' abuso delle droghe, ovvero il braccio operativo delle Nazioni Unite nella guerra al traffico mondiale degli stupefacenti.

Nell’agosto del ‘92, all’indomani delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, Di Gennaro è chiamato alla reggenza della neonata Direzione nazionale antimafia.

[2] Giuseppe Berlingieri fu un importante avvocato romano di origini calabresi, iscritto al PCI, membro dell’Associazione giuristi democratici, attivo nel Comitato di Solidarietà democratica, organizzazione che forniva assistenza materiale e giudiziaria agli operai e agli ex partigiani. Sostenne la difesa in molti processi di rilievo civile e politico del dopoguerra: dai fatti del 1948 a quelli del luglio ’60. Morì per un attacco cardiaco nel maggio 1968, mentre era impegnato nella difesa degli studenti implicati nei “fatti di Piazza Cavour”, quando un corteo studentesco giunto sotto il Palazzo di Giustizia di Roma lanciando slogan per la liberazione di studenti e operai arrestati venne caricato da agenti di Polizia con maschere antigas e manganelli.

In occasione dei funerali, “l’Unità” lo ricordava come “compagno e difensore, amico e maestro”.

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L'autore

Manuela Colaps