Cultura

28 febbraio 2022

Pandemia e Infodemia. Come il virus viaggia con l’informazione

Due anni fa la scoperta del paziente 1. La Lombardia veniva travolta dallo tsunami Coronavirus. Poco dopo toccava a tutto il Paese. L’allora Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in diretta tv dichiarava l’intera Italia zona protetta.

Era l’inizio di tutto.

L’hashtag #IORESTOACASA dominava i social, ci mettevamo con pazienza in fila davanti ai supermercati, anche per due ore, acquistavamo mascherine chirurgiche a 5 euro e aspettavamo con ansia ogni sera il bollettino di guerra. Perché di “guerra” si trattava. Il linguaggio bellico è stato subito adottato dai media per riferirsi a questa pandemia. L’allerta del 21 gennaio, dopo che tre pazienti in arrivo da Wuhan venivano traferiti all’istituto Spallanzani di Roma è diventata allarme solo due giorni dopo, un allarme già alto il 25 gennaio che cresce rapidamente in Europa il 31 gennaio e diventa mondiale il 6 febbraio. E da lì emergenza, zona rossa, isolamento, portatore sano, eroi, nemico invisibile, sono stati i termini più sentiti e più usati. Quarantena è stata eletta parola dell’anno 2020 dal dizionario Collins. Il 26 novembre di quell’anno Joe Biden nel suo primo discorso ufficiale da presidente degli Stati Uniti d’America dichiara “Non siamo in guerra gli uni contro gli altri, siamo tutti in guerra contro questo virus”.

Parte da qui, proprio da questo momento, la narrazione di Giovanni Maga e Marco Ferrazzoli, che con il loro nuovo libro Pandemia e Infodemia. Come il virus viaggia con l’informazione (Zanichelli 2021), si pongono lo scopo ambizioso di congiungere la realtà oggettiva e la percezione individuale della pandemia, il suo aspetto scientifico e quello narrativo. È chiaro che il libro non vuole e non può certo esaurire un fenomeno così complesso e ancora in divenire, ma vuole, e ci riesce anche molto bene, offrire una chiave di lettura per orientarsi in questo tsunami in cui, a distanza di due anni siamo ancora coinvolti, così da poterne riconoscere e separare gli elementi essenziali dal rumore di fondo assordante.

Fenomeni epidemici come quello che stiamo vivendo ci sono sempre stati. Tuttavia la globalizzazione li ha resi senz’altro più veloci: una persona, così come un’idea, un bene, e un virus, si sposta da una parte all’altra del pianeta in tempi rapidissimi. Il coronavirus ne è un esempio perfetto. Questa pandemia però, è stata anche capace di accelerare e amplificare alcuni cambiamenti sociali, culturali ed e economici già in corso, la digitalizzazione, la crisi di alcuni settori produttivi, il divario Nord Sud. Il virus ha messo in evidenza tutte le disuguaglianze del nostro Paese. Ci ha costretti in delle bolle. Ha creato nei giovani profonda sfiducia nel futuro. Ha creato nuovi poveri. Tuttavia non è stato veramente il virus generare le fragilità: quelle esistevano già. E come nel gioco del domino è bastato far cadere una tessera per innescare una reazione a catena. La pandemia ha agito come catalizzatore. Ed è per questo che non può essere ridotta ad aspetti medico-scientifici.

La narrazione delle epidemie ha accompagnato la nostra storia da sempre. Questa volta, tuttavia, è stato introdotto un nuovo elemento: quello dei numeri. Numeri che sono importanti, ma che da soli non significano nulla. Esprimono solo una quantità. Il valore sta nel rapporto tra questa quantità e il contesto da cui derivano. E possono essere pericolosi, se non contestualizzati. Perché rappresentano una soglia psicologica.

“Paolo Giordano, scrittore divenuto famoso con un romanzo intitolato La solitudine dei numeri primi e fisico di formazione, la chiama falsa sicurezza: riteniamo sia una definizione efficace. Le cifre e i dati inducono la percezione di un controllo della realtà molto spesso ingannevole. Si è molto dibattuto dell’utilità di fornire alcuni dati epidemiologici con cadenza quotidiana: per taluni aspetti sarebbe più indicativo fornirli settimanalmente, ma naturalmente tutto dipende dall'interesse a evidenziare una o un'altra tendenza. L’inevitabile saliscendi dei numeri sparati quotidianamente sulle prime pagine ha creato disorientamento, sfiducia nella scienza, malumore. Infodemia.”*

Infodemia, ovvero la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni che spesso genera confusione e sfiducia. Troppo spesso in questi anni abbiamo assistito a dibattiti tra virologi e scienziati, comunemente chiamati esperti, che invece di creare dibattito si sono spesso contraddetti tra loro e hanno alimentato incertezza e, appunto, infodemia.

Ma anche per l’infodemia esistono terapie e vaccini, affermano gli autori tra le pagine del libro: modalità e atteggiamenti che aiutino il cittadino a essere parte attiva della lotta contro il virus e non un soggetto passivo o, peggio, un ostacolo. I dati vanno spiegati, posti nel loro contesto, integrati in proiezioni di tendenze. C’è bisogno è un’informazione attenta, sobria, fatta da voci istituzionali competenti e credibili, evitando banalizzazioni e tecnicismi. La stampa deve privilegiare le fonti di sicura attendibilità e autorevolezza, evitando la contrapposizione a tutti i costi; la cittadinanza non deve cadere nell’errore diffuso secondo cui chiunque è o può diventare esperte grazie alla lettura di una pagina web; la comunità scientifica non deve prestarsi alla polarizzazione, ma seguire il metodo scientifico basato su cautela, dubbio e critica.

Nonostante i progressi la lotta a questo virus non è ancora finita. Qualcosa, tuttavia, l’abbiamo imparata, affermano gli autori alla fine del libro. E abbiamo la possibilità di guardare indietro per guardare avanti, trasformando i momenti che abbiamo vissuto in un’opportunità per ripensare il nostro stile di vita, i consumi, le relazioni e il rapporto con il territorio.

Un'opportunità che non resta che coltivare.

*Tratto da un'intervista a Marco Ferrazzoli attualmente in stampa e prevista in uscita con il primo numero della nuova Articolo 33 cartacea

L'autore

Elisa Spadaro