"Siamo ben oltre le 35mila presenze per le lezioni magistrali, ci avviamo al 100% della capienza possibile. Alcuni appuntamenti hanno avuto 4-5 mila prenotazioni a fronte delle mille possibili. Gli eventi artistici hanno avuto presenze a 4 cifre". È un primo bilancio presentato da Daniele Francesconi, direttore del Festival, nella conferenza stampa conclusiva del FestivalFilosofia a Modena. Il prossimo anno sarà dedicato al tema 'Giustizia', dal 16 al 18 settembre.
Il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, a proposito dell'edizione 2021, ha affermato che si è trattato di una "reazione della cultura. Siamo tornati noi stessi. I vaccini ci hanno permesso di avere un'edizione normale". Sempre in conferenza stampa, Massimo Cacciari ha sollevato "l'evidenza del nesso tra libertà e giustizia. Bisognerà giustificare il termine, si dovrà parlare di 'rendere giustizia' e poi altro tema è quello della giustificazione ovvero la legge deve giustificarsi. A me preme anche il tema della pena, se non è riparativa non è giustificabile", ha puntualizzato. Insomma, tra un anno la filosofia a Modena, Carpi e Sassuolo tornerà tra la gente a parlarne nella ventiquattresima edizione del Festival. L’edizione di quest’anno 2021, dedicata dunque alla libertà ha visto come protagonista il grande dibattito filosofico italiano, che non è affatto inferiore a nessun altro nel mondo.
Necessità e libertà: tra questi due concetti si muove la politica in una tensione dialettica, in una sorta di negoziazione continua che ha portato a quello che conosciamo come contratto sociale (Rousseau) e alle sue "inevitabili contraddizioni". Ne ha parlato Carlo Galli. Lo sguardo è rivolto all'oggi anche se il filosofo torna a Platone, che questo binomio difficile tra i due poli intorno a cui vive la politica, ha saputo riscattarlo nella metafisica, "in cui l'Occidente è ancora immerso", nel concetto della "felicità di ciascuno" superando l'idea che non ci sia giustizia e che l'ordine sia scompaginato senza finalità dalle necessità. "Non c'è mai la libertà del singolo", ha sottolineato Galli che sui termini del potere e delle limitazioni che esso ha facoltà di imporre ha però ribadito: "La legittimazione del potere è un tema importante, basterebbe fare le elezioni" ha detto. "La filosofia non deve governare - ha ribadito in conclusione - ma ha la funzione di rischiarare e mettere il presente in una profondità storica".
La libertà è un’illusione? Esiste o no? E la libertà anarchica degli amorosi sensi?
Per Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista junghiano, in realtà la libertà non è che un'illusione, perché già Freud ci aveva fatto capire come l'amore e le unioni elettive sono frutto delle nostre pulsioni, che ci possiedono, legate alla nostra identità. E se si parla di responsabilità delle persone è solo per una convenzione sociale che porta con sé la conseguenza della possibilità di un giudizio e di una punizione. Per questo la sapienza greca parlava di destino per gli uomini. Diversamente da Galimberti, Simona Forti, docente di Filosofia politica alla Normale di Pisa, afferma che c'è sempre una parte dell'uomo, del corpo, che sfugge al suo determinismo biologico e sociale, che lei chiama provocatoriamente “anima”, non in senso cristiano o metafisico, ma qualcosa di indeterminato e anche anarchico nel senso etimologico di anarché, ovvero assenza di principio fondante che ci governa e determina. Questo perché in noi c'è ciò che ci libera dall'essere inchiodati a un'unica identità predeterminata. Forti nella sua lezione magistrale ne parla appunto inaugurando il concetto di "anime anarchiche", dove anarchia "non ha il senso tradizionale di dover abbattere il potere istituzionale. Recuperiamo la parola anarchia secondo l'etimo come assenza di un principio univoco. Siamo oltre la soggettività individuale della filosofia moderna, il potere è un movimento che passa attraverso il corpo", passando da me all'altro. E l'anima? “È il nome del principio di libertà di un corpo - ha detto - un impulso che nemmeno le scienze cognitive riescono a spiegare".
Per Roberta De Monticelli, fenomenologa, docente di Filosofia della persona all'Università San Raffaele di Milano, esiste, certo, il determinismo biologico ma la persona si costruisce in quel che è attraverso il succedersi delle proprie azioni, delle proprie scelte, delle proprie esperienze ed errori in un modificarsi continuo. Per la Forti anche l'amore, con quel tanto che resiste sul mistero del suo funzionamento, è una conferma di questa visione e del fatto che non siamo solo prodotti di una realtà precostituita, come dimostra per esempio la nostra fondamentale capacità di dire di no. La libertà in amore, per Eva Illouz, docente di Scienze sociali all'Università di Gerusalemme e direttrice didattica dell'Ecole des Hautes Etudes di Parigi, ha un prezzo alto, aprendo la porta alla sofferenza, a relazioni incerte, liquide come avrebbe detto Bauman, annoiate e ansiose con in più la difficoltà di conciliare gli imperativi opposti dell'autonomia e dell'attaccamento. Per la studiosa, a rompere questo equilibrio è stata la libertà sessuale, nata alla fine degli anni Sessanta, che ha portato a un aumento del numero dei partner scoprendo il corpo come riferimento e significante principale. Il desiderio non conosce più bene il suo oggetto di cui è alla ricerca, diventando insaziabile. È qui che nasce la sofferenza amorosa moderna - sottolinea la Illouz, ribadendo la ormai classica riflessione di Roland Barthes, mutuata da Lacan - che non è più una specie di esperienza poetica estetizzante in cui l'idea di amore si purifica e diventa altro, ma ha una forma patologica e psicologica, legata a rapporti di potere.
E se il web prendesse possesso della nostra libertà di educare?
Maurizio Ferraris, docente di Filosofia teoretica all'Università di Torino procede con una serie di distinguo per introdurre il concetto di Webfare, il welfare ai tempi del web, che si collega a quello più strettamente politico di Paolo Benanti, studioso a livello internazionale della società digitale, per il quale è urgente e necessaria una ecologia digitale, per difendere la democrazia e quindi la libertà. Tutti i tipi di piattaforme oggi hanno trovato un modo per produrre plusvalore (quel che guadagnano oltre il costo delle informazioni e servizi che elargiscono) raccogliendo le informazioni che lasciamo in rete facendo ricerche di ogni genere e, grazie ai loro algoritmi che sfuggono a qualsiasi controllo e legge riescono non solo a verificare e predire comportamenti, ma anche a condizionarli (dal più semplice: ''forse ti interessa anche....'' ai meno evidenti). Benanti si chiede se questo processo costante di influenzare l’utente sia un fattore accidentale del digitale o invece un epifenomeno con radici e ragioni più profonde: i grandi interessi invisibili sottostanti che definiscono un nuovo capitalismo, il quale appunto va regolato prima che metta in crisi il nostro sistema democratico. Tanti sono gli indizi che dovrebbero metterci in guardia, e basti ricordare come una società privata abbia potuto in Usa togliere la libertà di parola a colui che ne sarebbe il garante, il Presidente (è il caso di Trump sui social). Ferraris fa un discorso più meramente economico e chiede appunto un Webfare che nasca tassando il plusvalore creato dalle grandi compagnie web sovrannazionali e ridistribuito tra tutti coloro che, proprio per l’automazione digitale, hanno perso il lavoro e vanno riqualificati nella nuova realtà investendo in educazione. Con educazione non si riferisce solo a strumenti pratici ma anche a una crescita culturale per poter essere più consapevoli e più creativi nel proprio agire. Al di là dei discorsi economici, è dunque il problema della coscienza alla base della possibilità di una libertà individuale, coscienza appunto di essere diventati strumenti spesso inconsapevoli di interessi nascosti. “Viviamo nuove alterate forme di libertà - precisa Benanti - pensando che chi usa il telefonino abbia il controllo col suo dito delle informazioni che cerca, mentre spesso sono queste che subdolamente controllano, condizionano lui''. La coscienza è quindi il rendersi conto di questo e cercare di affrontarlo pensando razionalmente con la propria testa.
''Una cosa molto difficile – spiega Michael Ignatieff, storico e presidente della Central European University – perché pensare è un'attività sociale, profondamente intersecata con la nostra identità (censo, cultura, colore della pelle ecc.) e condizionata dalle mode (un tempo culturalmente poteva essere il marxismo a essere egemone, poi lo strutturalismo e così via), sistemi di pensiero dominanti che ci avvolgono e coinvolgono anche inconsapevolmente. Coscienza che dobbiamo vedere anche in relazione al mondo del web in cui si discute e si formano opinioni su basi aleatorie, non verificate o conosciute, dove nascono fake news, rifiutando l'autorità della scienza o le informazioni documentate come sono in genere quelle della stampa libera, rifiutando il confronto alto”. Benanti ricorda infine come i processi di cui parliamo abbiano subito un'accelerazione col Covid e il maggior uso del digitale anche da parte di chi prima ancora non vi si era avvicinato (magari i più fragili, bambini e anziani) e non a caso piattaforme pronte a monetizzare i contenuti hanno offerto soluzioni gratuite per dad e smart working, garantendosi una ricchezza di informazioni nuove, prima molto difficili da avere. Stessi timori politici e democratici esprime Luciano Floridi, docente di filosofia e etica dell'informazione a Oxford, per il quale ''dobbiamo riprenderci il legittimo controllo senza però scadere nel populismo. Bisogna mantenere la sovranità separata dalla governance, il che può funzionare solo con l'esercizio del consenso. Servono allora buone leggi capaci di porre vincoli allo sviluppo delle tecnologie, perché il tempo dell'autoregolamentazione è passato da un pezzo”. In questo contesto prendere davvero coscienza è una cosa faticosa e impegnativa, ''ma quando mai la libertà è stata qualcosa di facile?!'' esclama Floridi.
La libertà nelle passioni e con le passioni
Per Carlo Sini, uno dei più maggiori pensatori della nostra epoca (e noi abbiamo ancora la fortuna di ascoltarlo), e autore di una lectio dal titolo “la libertà condizionata o la virtù delle catene”, la nostra libertà è sempre condizionata, perché la libertà si trova in una volontà che finisce sempre sotto un’influenza, maggiore o minore, potente o meno potente, delle inclinazioni sensibili, del fatto che si è esseri umani, che abbiamo un corpo, bisogni e desideri. Siamo soliti immaginare le condizioni sensibili della nostra vita – salute, denaro, amicizie, affetti, vita sociale e personale – come una serie di condizionamenti che determinano ciò che siamo. E li guardiamo come un impedimento all’esser liberi. Ma se abbiamo capito che la libertà è una questione pratica, qualcosa che è sempre condizionata dalla nostra condizione di fenomeni, per dirla con Kant, il condizionamento sensibile è esso stesso la condizione della nostra liberazione, se la libertà non è una questione metafisica ma una questione pratica. Ed è regolata da ciò che accade nell’imperativo ipotetico, grazie alle norme e alle regole dell’azione. Divenire liberi significa liberarsi il più possibile dai meri condizionamenti sensibili, essere meno animali che si può. L’animale non ha un problema di liberazione, e non si chiede mai se fa bene o se fa male. La libertà è dunque un processo di liberazione, non un concetto metafisico o ultraterreno. Ecco la virtù delle catene, strumento della liberazione. Senza catene nessuna libertà. Nel momento in cui sto dandomi una norma mi libero o mi sto liberando da quelle inclinazioni, ma senza di queste non esiste alcun processo di liberazione. I vincoli della sensibilità sono condizione essenziale: non libertà dalle passioni ma libertà nelle passioni, con le passioni. Questa la grande lezione che impariamo da Kant e da Spinoza. E questa è la grande lezione che, ancora una volta e sempre di nuovo, abbiamo appreso da Carlo Sini.