Nati Digitali

01 agosto 2021

Giovani e pandemia: il 70% dei bambini ha problemi psicologici

“Sei bambini su dieci sotto i sei anni e sette su dieci sopra i sei anni mostrano problemi psico-comportamentali con il rischio di sviluppare disturbi più severi tre volte maggiore rispetto al pre-pandemia”.

È l’ennesimo dato che conferma quanto l’emergenza sanitaria si sia trasformata in emergenza sociale.

Ad offrircelo è il report realizzato dall’Istituto Piepoli per conto del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop) sulla situazione di disagio vissuta dai giovani e sull’attività degli psicologi scolastici.

Il progetto del report rientra tra le iniziative sviluppate nell’ambito del Protocollo Cnop-Ministero dell’Istruzione attivato a settembre 2020. Ed è stato proprio grazie a questo protocollo che, tra le altre cose, sono stati attivati servizi di psicologia scolastica in circa 6mila scuole italiane, che hanno previsto interventi quali sostegno agli studenti (33% attività svolta), consulenza all’organizzazione scolastica (28%), supporto al personale (22%), supporto alle famiglie (17%), per un totale di circa un milione di soggetti che hanno usufruito del servizio di ascolto e sostegno.

Inoltre, il Centro studi Cnop ha effettuato, lo scorso 21 giugno sempre tramite l’Istituto Piepoli, un sondaggio sulla popolazione che mostra come l’81% degli italiani chieda lo psicologo scolastico, quota che sale al 94% nella fascia d’età 15-18 anni. Secondo gli intervistati le attività più importanti sono ascolto e sostegno (54%), prevenzione del disagio (41%), supporto alle famiglie (29%), consulenza al sistema scuola nel suo complesso e supporto ai docenti (18%). Tra gli studenti (15-18 anni) sette su dieci scelgono la voce «ascolto e sostegno», evidenziando così il bisogno di comunicare.

È sempre più chiaro, quindi, come e quanto la pandemia abbia influito negativamente sulla crescita psicofisica di ragazzi ed adolescenti. Come abbia anche cambiato il loro modo di comunicare e di chiedere aiuto. “Fino a qualche anno fa i giovani che si rivolgevano ai C. I. C. (Centri di Informazioni e Consulenza istituiti negli istituti superiori) o agli sportelli di ascolto per adolescenti presenti sul territorio raccontavano quasi sempre un disagio di identità o relazionale, bassa autostima, insicurezza, difficoltà di comprensione con la famiglia, con il/la giovane partner o con gli insegnanti, o anche qualche volta casi di bullismo dentro o fuori la classe. A poco più di un anno dall’inizio della pandemia nel nostro paese una forma di disagio nuova e diversa sembra serpeggiare tra i più giovani.”

A raccontarmelo è Paola Parlato, docente di Scuola Superiore a Napoli, con una grande esperienza di volontariato come psicologa dentro e fuori la scuola.

“Al di là della vera e propria sintomatologia nervosa - stati di ansia, disturbi del sonno, irritabilità - i ragazzi presentano manifestazioni di paura, senso di solitudine e difficoltà nelle relazioni. Eppure a differenza degli adulti per cui il lockdown ha significato un grosso impoverimento della vita sociale, i giovani sono abituati a essere iperconnessi, ad affidare gran parte della loro vita relazionale ai social, perennemente concentrati sugli smartphone parlano, giocano, flirtano, eseguono i compiti on line; dai tempi non lontani delle chat alla comunicazione su iphone gli adolescenti vivono gran parte della loro comunicazione interpersonale a distanza.”

Cosa ha generato allora lo smarrimento da cui sembrano pervasi? Cosa li spinge a desiderare tanto di tornare alla scuola in presenza, di tornare a riempire piazze e baretti a distanza ravvicinata?  Negli ultimi tempi non sono mancate le critiche agli assembramenti, al rifiuto della mascherina, a tutte le forme di insofferenza e le invocazioni alla libertà, che hanno fatto guadagnare ai ragazzi non poche accuse di leggerezza e irresponsabilità. O si tratta di altro?

“Bisogna fare una riflessione più attenta sul cosiddetto bisogno di ritorno alla normalità. La voglia di normalità non è solo il rifiuto delle restrizioni e il desiderio egoistico di tornare alle relazioni e agli svaghi di sempre, ma è anche la rassicurazione - o l’illusione - che tutto va bene di nuovo, che nulla è davvero cambiato o cambierà. Questo soprattutto dopo la ripresa autunnale della pandemia. Nell’estate de 2020 molti avevano creduto, con il conforto anche di alcuni esperti, che il peggio fosse passato definitivamente, che l’autunno avrebbe restituito tutti alla vita di sempre, sia pure con le ferite lasciate dal virus. L’aumento del contagio e del numero delle vittime, l’arrivo delle varianti e la loro rapida diffusione in tutto il mondo hanno dato la percezione della gravità di un problema che tende a cronicizzarsi e sul quale la scienza mostra ancora grandi incertezze, un problema che forse condizionerà le nostre vite per anni così che niente sarà più come prima. Questo significa convivere con la paura, con l’incertezza del futuro, con un’ombra scura proiettata costantemente sui propri progetti e i propri sogni. Forse questa è una delle cause più probabili del disagio che i ragazzi stanno manifestando in modo sempre più forte. E allora anche la scuola in presenza con le sue verifiche, le ansie, la noia, ma anche con la condivisione, la gioia di essere insieme e di apprendere insieme, anche la partita di pallone o l’aperitivo diventano simbolo di una rassicurante normalità.

L'autore

Elisa Spadaro