Politiche educative

23 giugno 2021

Come può cambiare la scuola il PNRR?

Le strategie prospettate dal Piano Nazionale di Ricerca e Resilienza puntano a risolvere i tre problemi strutturali della scuola italiana: i processi di reclutamento e la formazione degli insegnanti, le metodologie e le competenze didattiche e il potenziamento delle infrastrutture e dell’istruzione tecnica. Come?

Si parte dagli asili nido, le scuole dell’infanzia e i servizi di educazione e cura per la prima infanzia con lo stanziamento di 4,6 miliardi per aumentare significativamente l’offerta di posti e si continua con 960 milioni per l’estensione del tempo pieno, accogliendo così le necessità di conciliazione della vita personale e lavorativa delle famiglie, con particolare attenzione alle madri e 300 milioni per costruire o adeguare strutturalmente circa 400 edifici da destinare a palestre o strutture sportive, anche per contrastare fenomeni di dispersione scolastica nelle aree maggiormente disagiate.

Per la didattica digitale integrata e la formazione sulla transizione digitale del personale scolastico vengono stanziati 800 milioni di euro con l’obiettivo di creare un “ecosistema” delle competenze digitali, in grado di accelerare la trasformazione digitale dell’organizzazione scolastica e dei processi di apprendimento e insegnamento. Si prevede inoltre un investimento di 1 miliardo e 500 milioni di euro per il consolidamento dei test PISA/INVALSI al fine di individuare le azioni necessarie per ridurre i divari territoriali nelle competenze di base. Sono, poi, previste delle riforme, una del sistema di reclutamento dei docenti, una degli istituti tecnici e professionali, una dell’organizzazione del sistema scolastico e una riforma del sistema di orientamento.

Sono tutti obiettivi importanti e sicuramente questo Piano è un’occasione storica che il Paese non può farsi sfuggire. Ci sono tante misure strategiche ma ci sono anche molti limiti. L’obiettivo per gli asili nido è riguardevole ma servirebbero più risorse per realizzarlo davvero. Stesso discorso vale per il progetto di estensione del tempo pieno, “una battaglia storica della FLC CGIL” ha detto Francesco Sinopoli in una recente intervista “perché consente di rispondere ai bisogni cognitivi e di apprendimento dei ragazzi e delle ragazze, combatte la dispersione e dà anche l’opportunità di fare innovazione didattica. Di porre le basi, cioè, per pensare a una scuola diversa”. Una battaglia per cui però questo finanziamento può rappresentare solo l’avvio del progetto di ampliamento che richiede di essere sostenuto da ulteriori investimenti e da adeguate politiche degli organici, evitando che il progetto rimanga “sulla carta”.

Per non parlare delle riforme a costo zero che si vogliono realizzare. È irragionevole procedere ad una nuova riforma degli istituti tecnici e professionali a distanza di soli tre anni dall’entrata in vigore del Decreto Legislativo per gli istituti professionali, provvedimento che ha prodotto una riorganizzazione estremamente gravosa dell’attività dei docenti, ha complicato la gestione degli organici di istituto e non ha dato alcuna risposta positiva rispetto al dato delle iscrizioni. E lo stesso vale per la riforma del sistema di orientamento, un’altra a costo zero, per cui è in ogni caso incomprensibile la scelta di allargare la sperimentazione dei licei quadriennali a mille scuole. La riforma del sistema di reclutamento dei docenti parla di una revisione in vista della copertura, con regolarità e stabilità, delle cattedre disponibili con insegnanti di ruolo con l’obiettivo di migliorare nel complesso la qualità del sistema educativo grazie all’innalzamento delle professionalità del personale scolastico, ed è un progetto sicuramente condivisibile ma nella situazione in cui versa attualmente il sistema di reclutamento, con oltre 100 mila cattedre scoperte e altrettanti posti che andranno a supplenza, manca un piano concreto per affrontare la ripresa del prossimo anno scolastico e mancano indicazioni chiare su quale direzione debba seguire la riforma del sistema.

Ciò che serve davvero alla scuola è una fase straordinaria di stabilizzazione dei precari, che valorizzi la formazione metodologico didattica e, a regime, una riforma incentrata sulla formazione in ingresso.

E per questo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non può bastare: le risorse stanziate dall’Europa andranno collegate alla spesa corrente, cioè agli investimenti diretti che su questi settori è necessario progettare di fare quanto prima. Altrimenti rimarranno solo buoni propositi sulla carta. Quando invece sarebbe la nostra occasione per uscire da un buco nero in conoscenza troppo profondo quanto non più tollerabile.

L'autore

Elisa Spadaro