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IL PNRR DUE ANNI DOPO. OPPORTUNITÀ, RISCHI E SCOMMESSE PERDUTE. L’INTERVISTA A GIANNA FRACASSI, SEGRETARIA GENERALE FLC CGIL

A circa due anni e mezzo dall’approvazione del PNRR, il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza pensato per riparare i danni economici e sociali causati dall’emergenza sanitaria da coronavirus e per incentivare lo sviluppo verde e digitale dell’Unione Europea, sentiamo il bisogno di riflettere sullo stato di attuazione delle misure previste, concentrandoci sulla Missione 4.

Incentrata sull’istruzione, la formazione e la ricerca, questa prevede lo stanziamento di 30,88 miliardi di euro così ripartiti: 19,44 per il «potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle università» (M4C1) e 11,44 per «dalla ricerca all’impresa» (M4C2).

Ci confrontiamo con la Segretaria generale della FLC CGIL, Gianna Fracassi, su quanto è stato fatto, sugli obiettivi, sulle problematiche di carattere generale e gestionale, senza tralasciare i correttivi che sarebbe necessario apportare.

L’orizzonte temporale del PNRR si conclude nel 2026. Siamo in una fase in cui occorre verificare lo stato di attuazione dei progetti e delle riforme. Il PNRR identifica target e obiettivi molto precisi e lo fa con una centratura tutta numerica delle azioni richieste. Può un impianto molto sbilanciato sui numeri cogliere tutte le ricadute della progettualità delle istituzioni scolastiche?

Il PNRR è un complesso di investimenti e riforme. In particolare per la Missione 4 abbiamo il problema di fondo di un gran numero di riforme, di cui alcune molto invasive, anche sul terreno contrattuale. Penso anche al tema della formazione e a come è stato declinato negli atti del Ministero. Poi c’è la partita degli investimenti, anche questa molto frammentata. Si sono, cioè, disarticolate in tanti rivoli risorse molto consistenti. Gli obiettivi sono condivisibili – come la digitalizzazione o il contrasto alla dispersione scolastica –, ma l’investimento più urgente che il nostro Paese avrebbe dovuto fare è sui punti più fragili, uno su tutti l’edilizia scolastica, dove ci sono un po’ di risorse ma sicuramente non sufficienti per ripristinare o rimettere a norma gli edifici scolastici.

C’è poi un problema strutturale che riguarda la gestione, su cui è in corso un duro confronto. Nella fase di definizione del PNRR non è stato considerato quanto personale fosse necessario per gestire questa mole enorme di risorse – quasi 200 miliardi in poco meno di cinque anni –. E infatti un grosso problema è la scarsa capacità amministrativa di scuole, enti locali o istituzioni territoriali, tant’è che adesso partono i progetti ma le segreterie scolastiche sono in difficoltà, perché non sono state previste risorse continuative, per esempio per sostenere la progettazione attraverso un numero maggiore di assistenti amministrativi. C’è un forte stress sulla spesa, legata anche alle milestone, gli obiettivi intermedi del PNRR, che sono una delle condizioni per avere le risorse successive. Questo sconta, da un lato, un intervento pesante anche su ambiti di natura contrattuale, dall’altro, un’impossibilità o grandi difficoltà per le scuole di accedere a tutte le risorse.

Il forte rischio è che questo progetto per la next generation non dia le risposte che dovrebbe dare, ma si avviti in una richiesta di spesa per poter accedere alla successiva rata. Ecco, questo sarebbe un problema per il nostro Paese.

Tra gli obiettivi enunciati, l’intenzione di investire sugli asili nido e di fare, come accennavi prima, un’operazione consistente sull’edilizia scolastica. Dall’approvazione ad oggi, cosa è stato realizzato?

Per potere affrontare strutturalmente le condizioni in cui versa l’edilizia scolastica servirebbero molti miliardi. Le risorse dedicate al segmento scolastico previste nel PNRR non sarebbero state sicuramente sufficienti. Ma si è scelto anche di frammentare, non dando una risposta massiva a un problema ormai strutturale ma scegliendo di fare solo alcuni investimenti. Sia chiaro, l’investimento sull’edilizia scolastica non è responsabilità delle scuole ma degli enti locali, che hanno avviato progetti, ma con le difficoltà di cui accennavo prima. Il problema della capacità amministrativa a cui facevo riferimento riguarda loro, soprattutto i comuni più piccoli, con pochi dipendenti, senza le competenze necessarie a gestire una marea di bandi e di progetti piuttosto complicati.

Il quadro completo della situazione lo vedremo tra due anni, anche perché, mentre nel primo anno e mezzo avevamo sott’occhio in maniera precisa l’andamento della spesa, soprattutto nell’ultimo anno, anno e mezzo, non è più così. Questo per due ordini di motivi: da un lato, e non dobbiamo dimenticarcelo, perché il Governo ha deciso di rimodulare alcune parti del Piano, non proprio banali, per le quali si dovrà riprogettare, rifare bandi, perdendo un po’ di tempo; dall’altro, perché è molto complicato avere il quadro generale di ciò che sta accadendo su tutto il territorio. Anche il sito, Italia Domani, che doveva dare le risposte è stato per lungo tempo fermo.

Poi c’è un altro tema, che rappresenta un’opportunità ma anche un problema e che come CGIL abbiamo sempre sottolineato: è il caso, ad esempio, degli asili nido. Una misura apprezzabile e importante dal momento che il nostro Paese è sotto la media europea per diffusione degli asili nido e solo in pochi territori ha raggiunto l’obiettivo del 33%. Il punto è che in questo caso si doveva affiancare alle risorse del PNRR, la spesa ordinaria che renderebbe il progetto fattibile in concreto. Così, e vale anche per altri investimenti come la sanità territoriale, si finisce per avere forse l’asilo nido ma non le risorse per gli insegnanti, gli educatori, il personale ausiliario, … E questo è stato un problema grave – ricorderete che il bando degli asili nido è stato prorogato più volte – non per una scarsa valutazione positiva degli enti locali ma per il fatto che un ente locale piccolo, ne accennavo prima, magari nel Mezzogiorno, dove il numero di asili nido è bassissimo rispetto ad altre parti del Paese, a edificio completato non dispone di sufficienti risorse per farlo funzionare. A ciò si aggiunge che alcuni enti locali in pre-dissesto o con difficoltà di bilancio, alla fine, hanno deciso di non accedere al bando. È questo uno dei tanti problemi che ha il nostro Paese sul PNRR, nonché una delle motivazioni che, secondo me erroneamente, ha spinto questo Governo a rimodulare una parte di risorse in modo immediatamente spendibile. Non è un caso che, per esempio, nella rimodulazione abbiano scelto la strada degli incentivi, soprattutto alle imprese, perché sono risorse che spendi sicuramente, non hai un addebito successivo nella gestione. Sono obiettivi facilmente raggiungibili.

E invece l’obiettivo prioritario del PNRR doveva essere il terreno sociale, cioè le grandi infrastrutture sociali, le scuole, i servizi educativi e la sanità, perché con la digitalizzazione e la transizione verde erano i tre pilastri per soddisfare la mission del piano. Ecco, purtroppo noi rischiamo che questa parte rimanga per il nostro Paese, in assenza di risorse ordinarie a sostegno, la parte più in difficoltà.

La FLC CGIL ha più volte manifestato la propria preoccupazione per le tempistiche serrate, il sovraccarico delle procedure, la mancanza di una qualificazione e formazione specifica per il personale che si ritrova a gestire processi complessi come quelli relativi ai progetti del PNRR. Come se non bastasse, gli anticipi ministeriali sono inadeguati e si chiede di lavorare con anticipi di cassa che, il più delle volte, non si possiedono.

In cosa si sta sostanziando tutto questo nelle scuole?

Nelle scuole si sta sostanziando in una specie di burnout, una sorta di allergia alla bandistica continua che arriva e che rischia di avere effetti sterili. Ce la stanno mettendo tutta, le scuole. Ma qui torno al problema di fondo: in alcuni casi, parliamo di procedure complesse – non è un caso che sia stato rivisto il codice degli appalti –; non si tratta solo di aderire al bando, ma di gestione anche finanziaria, senza il personale necessario. Avevamo chiesto, a suo tempo come CGIL, da un lato, una maggiore centralizzazione della gestione; dall’altro, garantire nuclei territoriali di supporto alla progettazione. Al contrario in avvio del Piano, i concorsi per il supporto offrivano contratti a termine e richiedevano altissime professionalità. Non può funzionare così! Ormai è inutile piangere sul latte versato. Abbiamo provato in avvio del PNRR a fare una serie di proposte, non ci hanno ascoltato e adesso questa è la condizione: arrivano bandi a tutto spiano e tutto è molto complicato. In definitiva, il rischio è che tutto si risolva con una spesa per la spesa. E questo sarebbe davvero un peccato.

Quali correttivi chiedete di apportare affinché le risorse del PNRR vengano usate tutte e bene?

Il primo correttivo è garantire una continuità del personale che è stato assunto negli ultimi mesi per la gestione del bando. Non è possibile assumere, come sta avvenendo per la scuola, personale per tre mesi per gestire un Piano che ha per orizzonte il 2026. Il secondo correttivo è sicuramente una semplificazione e una maggiore centralizzazione di alcune procedure, in modo tale da garantire e dare più spazio al lavoro delle scuole, anche quello ordinario. E, se ci fosse la possibilità, la revisione di alcuni interventi di riforma che rischiano di essere molto pericolosi.

Gli ultimi atti del Ministro Valditara sono tutte attuazioni fantasiose degli obiettivi del PNRR. Tra queste il piano di dimensionamento che prevede il taglio di 800 istituzioni scolastiche e che non aveva questa declinazione nel Piano, o la revisione della filiera tecnica e professionale che riduce di un anno la scuola secondaria di secondo grado. Si introduce una scuola di alta formazione, obiettivo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che viene declinata nei suoi effetti come la costruzione per legge della carriera per un piccolissimo numero di docenti, quindi con un’invasione in campo contrattuale. Ecco, questo tanto per fare alcuni esempi recenti. Se dipendesse da me, sicuramente tutta la parte delle riforme la piegherei maggiormente su alcuni obiettivi che sono presenti nel Piano e anche condivisibili, ma che non sono stati attuati. Per citarne alcuni: un numero congruo di alunni per istituzione scolastica, non certo le mega scuole, l’abbassamento del numero di alunni per classe e un reclutamento regolare degli insegnanti che sgonfi la bolla di precariato. Oltre, ovviamente, alla già citata e difficile da attuare rimodulazione degli investimenti finalizzata in pochissimi interventi, se possibile strutturali e permanenti, come l’edilizia scolastica.

Nel complesso, quindi, il PNRR appare molto frammentato, non dà un indirizzo chiaro e complessivo su come si dovrebbe intervenire sul sistema d’istruzione. Si parla di politiche per la next generation e, quindi, di politiche in grado di affrontare le sfide della contemporaneità. Non sono forse questi, dopo anni di riforme inefficaci se non dannose, i presupposti per una riforma organica della scuola italiana, per una qualificazione vera?

Sì, certo. Il problema è che il nostro Paese ha negoziato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nella Missione 4, soprattutto per quanto riguarda l’istruzione, in maniera così minuziosa, senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali, tanto che questo Piano rischia di non essere il Piano del Paese, ma solo di una “parte” del Paese. E Valditara, da questo punto di vista, ne è un fantastico attuatore. Il pericolo è trovarci alla fine del Piano, tra riforme e investimenti, con una scuola ridotta per numero di anni, più selettiva, perché la riforma della filiera tecnica e professionale, di fatto, costruisce un canale di serie B con una canalizzazione precoce dei ragazzi verso un percorso da cui non si torna indietro, con un’idea dell’avviamento professionale che avevamo superato quasi sessant’anni fa, ...

A tutto questo affianco un ulteriore elemento: le riforme attuative declinate da questo Governo, insieme all’autonomia differenziata, rischiano di determinare una rottura del sistema d’istruzione, di ampliare i gap anziché chiuderli, malgrado uno degli obiettivi del PNRR sia rispondere alle disuguaglianze sociali e territoriali. Sarebbe una scommessa persa.

Per far fronte ad anni di politiche scellerate di tagli ai settori della conoscenza, andrebbero accompagnati, come ci hai spiegato, agli investimenti straordinari dell’Unione Europea anche i fondi strutturali e ordinari. L’analisi della Legge di Bilancio 2024 condotta dalla FLC CGIL denuncia, al contrario, l’assenza di investimenti e di un piano strutturale per stabilizzare il personale precario e l’esiguità delle risorse per il rinnovo del contratto 2022-2024. Non si rischia di agire in modo del tutto insufficiente sulle problematiche dei settori della conoscenza?

Sì, perché non si possono utilizzare risorse che sono battezzate come risorse straordinarie, come quelle del PNRR, in termini sostitutivi di quello che il Paese non sta investendo nei settori fondamentali, nel sistema d’istruzione e nella sanità, dove, anzi, c’è un arretramento dell’investimento ordinario della spesa corrente. Questo è un problema enorme su cui dovremmo tutti interrogarci. Nel momento in cui, il primo gennaio 2027, ci sveglieremo senza più il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, chi sosterrà l’investimento necessario a un Paese che vuole avanzare soprattutto sul terreno sociale?

Il timore è che questa sia l’ultima grande mole di risorse per dare una risposta di natura sociale, oltre che industriale – altro terreno importante –. C’è un patto europeo che rivedrà la governance economica con nuove regole di bilancio. Un Paese come il nostro dovrà rientrare in un rapporto deficit-debito molto più stringente e quindi dovrà ridurre, fare spending review o tagliare il sistema sociale, in un quadro economico preoccupante, oltre a un altissimo debito pubblico. È il tema dei prossimi anni. Con il patto sulla governance economica, per l’Italia ci saranno pochissime risorse per fare investimenti in futuro.

A meno che non decidiamo di destinare le poche risorse che ci sono per dare una risposta ai bisogni fondamentali dei cittadini. O per mettere in campo un sistema fiscale progressivo ed equo che dia la risposta necessaria, non certo la legge delega che rischia con la flat tax e i regali agli evasori di pregiudicare ulteriormente le scarse risorse del nostro Paese.

Inoltre, tra gli investimenti per noi necessari, ci sono tutti quelli che riguardano i rinnovi dei contratti delle lavoratrici e dei lavoratori nei settori della conoscenza, dove, soprattutto nell’istruzione – ma anche per università e ricerca – è fondamentale il ruolo di chi vi lavora: ricercatori, assistenti tecnici, amministrativi, docenti, … Si basano su questo la funzionalità, l’efficacia, le prospettive di questo grande settore. Il primo assillo dei prossimi anni è dare una risposta, soprattutto economica, a chi lavora in questi settori, sia con il rinnovo del contratto, sia con la stabilizzazione del precariato che è, come è noto, molto alto nei settori della conoscenza.

Verso e oltre il 2026, in che modo si mette la conoscenza al centro dell’agenda politica del Paese e perché è un tema cruciale e non rimandabile?

Se devo fare una previsione, in un quadro piuttosto fosco come quello che stiamo attraversando, io spero, e noi faremo di tutto perché questo accada, che nel 2026 non ci troviamo in un contesto di frammentazione regionale del nostro sistema d’istruzione. Per me questa è la questione fondamentale. Un’ipotesi di scuola come la sanità sarebbe una rottura anche democratica, non soltanto di opportunità per i ragazzi e per le ragazze.

In secondo luogo, si tratta di un terreno di sfida, di futuro. È chiaro che sempre di più è necessario pensare alla conoscenza, e quindi agli investimenti in conoscenza, come a un elemento strategico per lo sviluppo economico e sociale del Paese.

Un Paese manifatturiero come il nostro, il secondo in Europa, che vuole accedere alle grandi sfide e alle grandi trasformazioni tecnologiche, legate all’investimento in ricerca e in formazione, non può non interrogarsi sul ruolo centrale che hanno questi settori.

Oggi, la trasformazione digitale e la trasformazione verde impongono agli stati, che vogliono rimanere stati avanzati, un fortissimo investimento nella formazione e nella ricerca. L’Unione Europea calcolava, due anni fa, che nei prossimi anni almeno la metà di chi è attualmente al lavoro avrà bisogno di riqualificare profondamente le proprie conoscenze. Il ruolo della conoscenza e delle istituzioni della conoscenza come strumenti che possano fornire anche una risposta a chi già lavora, oltre a chi vuole immettersi nel mercato del lavoro, è sicuramente importante.

Io credo che questo sia il valore aggiunto che noi portiamo anche nelle nostre riflessioni, uno sguardo al futuro, perché il futuro questo ci dice.

Altro tema per me ugualmente importante: l’investimento in conoscenza è garanzia della democrazia di un Paese.

L’arretramento democratico va di pari passo con la scarsa possibilità di accesso alla conoscenza. Lo vediamo nel mondo. Ecco, io vorrei che invece l’Italia continuasse ad avere un sistema che garantisce e permette l’accesso a tutte e a tutti, contrastando le piaghe della dispersione o di un diritto allo studio bucherellato che non dà a tutti le stesse possibilità. Questi sono, io credo, i grandi obiettivi che guardano al 2026, ma anche all’attualità.

L'autore

Ilaria Iapadre