Attualità

09 dicembre 2021

Lo sciopero della scuola del 10 e quello generale del 16 dicembre: le buone ragioni e la partecipazione democratica

Lo sciopero della scuola del 10 dicembre, indetto da FLC CGIL, UIL scuola, Snals e Gilda, e quello generale del 16 "Insieme per la giustizia", indetto da CGIL e UIL sono entrambi spinti dalla consapevolezza che la manovra del governo Draghi è "insoddisfacente".

E se il 10 dicembre sarà il personale scolastico, sostenuto dalle organizzazioni studentesche, ad incrociare le braccia, e partecipare alle iniziative di Roma, Milano, Genova, ecc., tutti i lavoratori pubblici e privati si fermeranno per otto ore il prossimo 16 con l’esonero del settore della sanità, perché quanto mai essenziale in questa fase ancora di emergenza pandemica. Lo sciopero è uno strumento di partecipazione democratica, è come il voto. Sbagliamo se pensiamo che non sia più uno strumento per incidere nelle dinamiche sociali, per far crescere la nostra democrazia. Io credo, invece, che sia il momento di riappropriarsi degli strumenti del conflitto, che non è una parolaccia: come è noto anche ai liberali, esso è il sale della democrazia, è un fattore costituente e rigenerativo. E penso che un conflitto, che parte dal merito e si basa sulle piattaforme unitarie, faccia bene al paese.

Parto da una considerazione sulla giustizia retributiva e fiscale. Nel corso degli anni siamo andati verso un fisco sempre meno progressivo. E meno il fisco è progressivo più traggono vantaggi i redditi alti. Si è applicata una dottrina economica, quella che crede che i redditi alti se avvantaggiati aumentino i consumi e facciano quindi crescere l’economia, una scelta ideologica precisa. Osservo inoltre che senza una riforma complessiva del fisco, che introduca in Italia finalmente elementi forti di giustizia perequativa e dia un colpo decisivo contro l’evasione fiscale e contributiva, le iniziative dei governi si riducono a mance, con due effetti assai pericolosi: il primo è di natura ideologica e demagogica e punta ad eliminare il conflitto sociale contrapponendo consumi a diritti; il secondo effetto riguarda la giustizia retributiva, accentuando ancora di più la forbice salariale tra lavoratori, mai messa in discussione. Così, in Italia, il peso della fiscalità generale ricade quasi interamente sul lavoro dipendente e sui pensionati. Da qui occorreva partire per invertire la rotta e veleggiare verso forme di giustizia retributiva, non dal taglio delle aliquote, che favorisce i ceti più abbienti e meno colpiti dalla crisi pandemica ed economica. Va inoltre aggiunto che nel corso di questo decennio le imprese hanno ricevuto decine e decine di miliardi dallo Stato, senza tuttavia produrre sviluppo e coerenti ed efficaci politiche industriali, salariali, e di lotta alla precarietà. Nel corso della trattativa col governo abbiamo chiesto un intervento finalizzato a ridurre la precarietà nel lavoro, che mi sembra riconosciuto da tutti come uno dei più grandi problemi del paese. Abbiamo detto che bisognava andare contro il moltiplicarsi di forme contrattuali che favoriscano il dumping tra lavoratori e imprese, e anche su questo ci aspettavamo una risposta. Cosa deve succedere ancora? Interveniamo cercando di ridurre, contenere, e, se possibile, cancellare la precarietà.

Sui temi specifici dello sciopero della scuola del 10 dicembre, ribadisco che tutte le professioni della scuola sono essenziali e la pandemia lo ha dimostrato ancora di più per questo credevamo in una svolta. Abbiamo siglato un patto specifico sull’istruzione e ci aspettavamo che avesse poi una applicazione. Uno dei punti riguardava le risorse per il contratto e credevamo che il governo sarebbe stato consequenziale. Invece, rispetto al divario che abbiamo evidenziato di 350 euro tra i salari della scuola e quelli del resto del pubblico impiego per titoli di studio equivalenti, il governo si presenta con un fondo aggiuntivo di circa 10 euro che dovrebbero essere assegnati sulla base del criterio della “dedizione”, oltre all’intervento di 87 euro fissato dai governi precedenti. Lo trovo un insulto per la categoria. Per stare solo al tema della gestione della pandemia: rispetto allo scorso anno, già avevano tagliato le risorse per sdoppiare le classi, dicendo che tanto il taglio non serviva più. Ora ci hanno comunicato che neanche i contratti dei collaboratori scolastici si possono prorogare. Come abbiamo specificato con gli altri sindacati nella piattaforma dello sciopero del 10: "Sussiste l'esigenza di pretendere un profondo mutamento dei contenuti del Disegno di legge in fase di esame da parte del Parlamento nella parte dedicata alla Scuola che, tra le altre cose, è chiamato a reperire non solo le risorse finanziarie necessarie per consentire di rinnovare il Ccnl di categoria ormai scaduto, ma anche di adottare le altre misure per affrontare la grave emergenza epidemiologica in atto, dando continuità all'attività didattica in presenza, in sicurezza". Insomma, “devono trovare soluzione le problematiche sollevate sul decongestionamento delle classi sovraffollate, sulla proroga dei contratti di lavoro sull'organico Covid per tutto il personale scolastico (docenti e ATA), sulla definizione delle procedure in materia di reclutamento di personale per consentire la stabilizzazione del personale precario, includendo in questo anche la condizione dei DSGA facenti funzione".

Lo sciopero generale e quello della scuola mi paiono dunque assolutamente ragionevoli. E condivido pienamente le parole che il segretario generale della CGIL Landini ha consegnato al quotidiano La Repubblica: "Scioperiamo perché quella del governo è una manovra socialmente ingiusta e vogliamo cambiarla: ignora la condizione in cui vive la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti e dei pensionati e il punto di vista di chi li rappresenta". Il punto è che "la pandemia non ha sospeso i diritti costituzionali e lo sciopero è un diritto riconosciuto dalla nostra Carta fondamentale. Abbiamo deciso di proclamare lo sciopero generale perché la legge di Bilancio in discussione in Parlamento non produce quella giustizia sociale di cui il Paese ha bisogno. C'è giustizia quando il lavoro è sempre più precario? C'è giustizia quando i lavoratori che guadagnano meno producono ricchezza che viene redistribuita agli altri che stanno meglio? C'è giustizia quando i giovani e le donne continuano a non trovare un lavoro dignitoso? C'è giustizia se la lotta all'evasione fiscale rimane una chimera? C'è giustizia quando le rendite finanziarie continuano ad avere un trattamento fiscale privilegiato?”.

Sono naturalmente domande retoriche, ma racchiudono bene il senso degli scioperi, il senso dell’iniziativa sindacale, il senso del conflitto sociale mai sopito. Una battuta in merito alla rottura dell'unità sindacale: scioperiamo sostenendo le ragioni della piattaforma unitaria scritta anche con la Cisl. Siamo coerenti con quello che avevamo deciso insieme e così del resto ha scelto anche la Uil. In ogni caso per quello che ci riguarda l'azione sindacale non finisce con la legge di Bilancio.