Politiche educative

16 marzo 2023

Democratizzare il sapere. Una nuova forma di intendere i curricula e i programmi di studio

Presto raggiungerò due decenni di professione docente, con un numero significativo di incarichi nei gruppi di gestione delle scuole, e in questo periodo non ho mai incontrato un professore o una professoressa che non intendesse la programmazione didattica come un documento aperto e flessibile.

Di fatto, non concepiamo più questi documenti che sono considerati parte della burocrazia educativa senza i famosi aggiustamenti che dobbiamo fare in base alle circostanze che si presentano durante il corso, e infatti è obbligatorio farli: da quello che abbiamo in mente all'inizio, quando facciamo la nostra dichiarazione di intenti, a quello che vediamo più avanti nello sviluppo dell'anno scolastico, c'è una grande differenza.

È curioso, ma i curricula, pubblicati in Spagna nei decreti regionali e nei regi decreti ministeriali, non sono solitamente intesi allo stesso modo. In realtà, ci piace pensarli come strumenti prescrittivi e chiusi in senso stretto. È così che siamo stati formati come docenti ed è così che svolgiamo la nostra professione. Anzi, mi spingerei a dire che è così che ci sentiamo a nostro agio: dobbiamo "conformarci" a quello che riteniamo essere lo standard superiore. La concretezza (curricolare) è un'altra questione.

Ma la LOMLOE (la nuova legge spagnola di riforma scolastica, NdT) rompe gli schemi della comunità docente quando presenta questi testi normativi come documenti più aperti rispetto alle riforme precedenti e largamente soggetti all'autonomia pedagogica di un istituto. Sì, ci sono descrittori operativi, conoscenze di base, criteri di valutazione, competenze specifiche e un unico profilo di uscita, ma le voci più reazionarie, tra le loro critiche, hanno rilevato una certa ambiguità e persino vaghezza nella formulazione. «È che lasciano tutto aperto», si è soliti dire. Cosa c'è dietro questo ragionamento? Cosa è successo in questo passaggio da una legge all'altra?

Mi piace dire che il lavoro di un professionista dell'educazione è come quello di un orafo che lavora il metallo - il contenuto, la conoscenza - insieme ai suoi studenti per plasmarlo individualmente e collettivamente allo stesso tempo. Da qualche tempo mi piace usare anche un'altra analogia: quella di una persona che traduce testi. L'atto di tradurre implica la costruzione di ponti: si tratta di portare un discorso testuale a un settore più ampio della popolazione, limitato in questo caso da una barriera linguistica. La scrittrice Irene Vallejo ha detto poco tempo fa a una conferenza: "Nel tradurre opere, partiamo dalla differenza per rivendicare la prossimità". Quando trasformiamo il programma di studi o curricula in un documento aperto, vivo e flessibile, utilizzando una varietà di strumenti per renderlo accessibile a tutti i tipi di studenti, stiamo allo stesso modo rivendicando la prossimità: che ogni studente faccia del programma di studi la propria esperienza personale.

L'organizzazione e lo sviluppo curricolare sono il timone del nostro lavoro, la linea guida che deve essere democratizzata per convertire i saperi in qualcosa di universale, cioè in un bene comune che raggiunga il maggior numero possibile di persone, con tutti i mezzi a nostra disposizione. Una concezione chiusa e uniforme dei curricula impedisce, se non si apportano gli opportuni adattamenti al contesto, che collettività che sono sempre state escluse dal successo scolastico possano avere accesso a una costruzione completa delle loro conoscenze.

Per questo motivo, il nuovo asse curricolare sono i saperi di base: "di base" in quanto saranno sviluppati in modi diversi a seconda delle peculiarità di ogni studente. Il lavoro del docente, parte fondamentale di questo ingranaggio (il ponte necessario in questo esercizio di democratizzazione) è ora ancora più importante: è lui che conosce i suoi studenti (il suo potenziale "pubblico di lettori", se continuiamo con l'analogia della traduzione), così che solo dalla sua posizione il curriculum può mutare, essere rivisto e diventare più flessibile per dare luogo alla piena inclusione e come risposta alla diversità dei profili.

E non è nemmeno una novità: da tempo si sente un gran numero di insegnanti dire "non ho mai tempo per finire il programma": un indizio del fatto che la nostra comprensione della programmazione didattica già non era adeguata. Ebbene, la stessa cosa accadrà ora con il curriculum: non potrà mai coprire l'intero sapere, ma dobbiamo, attraverso la sua concretezza, mettere a disposizione di tutti gli studenti gli strumenti essenziali per continuare a esplorarlo nel corso della loro vita secondo i percorsi che intraprendono (apprendimento permanente).

In definitiva, democratizzare il sapere significa intendere i curricula o programmi di studio, non tanto come regole immutabili, ma come strumenti di lavoro dinamici che favoriscono l'interdisciplinarità e la connessione con i contesti in cui gli studenti si formano. Le affermazioni che compaiono in questi testi, dunque, hanno senso solo se vengono messe in pratica in situazioni in cui gli studenti attivano ciò che già sanno e lo integrano nella costruzione di nuove conoscenze.

È dunque a quest'ultimo livello di concretezza - l'aula - e oserei dire, in una nuova dimensione, nell'esperienza di ogni ragazzo o ragazza, che si realizza la vera universalizzazione del sapere, e non tanto in ciò che viene organizzato dagli uffici. Ed è questo lavoro di oreficeria, di traduzione meticolosa, che ora converte il curriculo o programma scolastico in un atto polifonico, un ponte costruito per la realizzazione di una vita piena.

(traduzione dallo spagnolo di Livia Tarquinio)

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L'autore

Alonso Albano

Filologo e docente di Letteratura spagnola. Editorialista del quotidiano El Paìs sui temi dell’Istruzione e della filosofia dell’educazione.