Politiche educative

15 novembre 2021

Scuola e Covid: stiamo davvero tornando alla normalità? Il caso Esame di Stato

L’anno scolastico ormai avviatosi da più di due mesi inizia ad avere finalmente il sapore della “normalità”.

Almeno nelle scuole secondarie di secondo grado, dove la percentuale di studentesse e studenti vaccinati è cospicua per ovvi motivi anagrafici, l’anno scolastico procede speditamente, fermo restando che bisogna continuare a mantenere alta la guardia, tenendo sempre bene a mente che gli ingredienti fondamentali per ricostruire e mantenere la quotidianità a scuola restano sempre e comunque quelli indicati dal CTS: il distanziamento sociale, l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale e l’igiene delle mani, gli ingressi scaglionati, l’estensione della copertura vaccinale.

Solo così è possibile fare in modo che oggi la scuola resti aperta evitando l’isolamento, e soprattutto che (ri)cominci a lavorare, prima che sugli apprendimenti disciplinari, sulla ricostruzione della socialità, dei rapporti umani, delle relazioni non solo tra docente e studente ma anche tra pari.

Va da sé che il lavoro della scuola deve necessariamente essere diverso da quello svolto finora e deve tenere conto di un quadro bio-psico-sociale profondamente mutato e complesso.

In questo senso, la “normalità” rassicurante e tanto auspicata deve essere rinnovata, trasformando un (grave) problema in un’opportunità. Diventa quindi importante fare tesoro di quanto imparato in questi anni di pandemia, anche in termini di aggiornamento tecnologico, e cominciare a utilizzare questa nuova conoscenza per costruire una didattica diversa, che finalmente non punti più soltanto ad accrescere la quantità di conoscenze impartite ai giovani, bensì a potenziare le competenze per affrontare lo studio universitario, il mondo del lavoro, insomma, la vita stessa in tutti i suoi aspetti di difficoltà e complessità.

È questo l’invito che traiamo dalle parole del Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi in una recente intervista rilasciata al programma televisivo di Fabio Fazio Che tempo che fa. L’ascolto di queste parole infonde a docenti, famiglie, alunne e alunni un grande senso di serenità. In effetti, se finalmente il Covid-19 rappresentasse l’opportunità per la scuola italiana di rinnovarsi e di trovare una strada per mettere davvero le competenze al centro della prassi didattica, si potrebbe forse davvero iniziare a vivere la professione docente senza lo stress causato dal programma non portato a termine per mancanza di tempo o dalle verifiche che sembrano essere sempre troppo poche, ma che spesso prendono il sopravvento generando talvolta situazioni di disagio nonché reazioni di rifiuto se non di abbandono degli studi.

Eppure qualcosa non torna. L’aria che si respira nelle aule scolastiche si può può qualificare in mille modi, fuorché “serena”. Le critiche alla didattica svolta in DAD sono feroci e arrivano da ogni dove; i risultati delle rilevazioni INVALSI sono impietose e restituiscono un quadro in forte peggioramento, senza soluzione di continuità nel nostro Paese, per quanto concerne le competenze e le abilità di base; il vissuto quotidiano, infine, è minato dall’incertezza e dal non sapere cosa si prospetterà a conclusione del ciclo di studi.

Docenti e studenti del quinto anno della scuola secondaria di secondo grado ogni giorno si interrogano su come impostare l’attività didattica e lo studio alla luce dell’Esame di Stato, la cui struttura è ancora ignota, mancando a oggi una ordinanza ad hoc. In effetti, gli attori del mondo scolastico sono ben consapevoli che un Esame di Stato non si improvvisa e che, comunque esso sia impostato, è necessario pianificare un percorso didattico che renda studenti e studentesse in grado di affrontarlo al meglio. Per chiarire fino in fondo il concetto, anche a costo di scendere nei particolari più profondi del lavoro quotidiano di docenti e studenti, sapere di dover affrontare uno scritto di matematica-fisica o di latino-greco o di lingua straniera negli indirizzi liceali o di altre discipline specifiche in indirizzi tecnico-professionali richiede una preparazione specifica in tal senso con ogni probabilità diversa rispetto a quella richiesta per affrontare la discussione del famigerato “elaborato”.

Oltre a ciò, l’individuazione delle tematiche trasversali e interdisciplinari per la realizzazione di esso richiede grande impegno per la progettazione da parte del Consiglio di classe, che deve esprimersi nei tempi (all’inizio dell’anno in fase di programmazione) e nei luoghi congrui (riunioni preliminari del Consiglio di classe e dei Dipartimenti Disciplinari). Di tutto questo, ad oggi, nessuno al vertice sembra rendersi conto fino in fondo.

Eppure il Ministro Bianchi, nella medesima intervista, ha inteso rassicurare il mondo della scuola, affermando che il Ministero chiederà che i Consigli di classe, gli studenti e le studentesse concordino un tema su cui sviluppare un “elaborato” da sviluppare in quaranta giorni (sic!). Non si tratterà in alcun modo di una “tesina arraffazzonata” (sic!), bensì di un lavoro realizzato con cura, che sarà discusso in presenza al cospetto di una Commissione interna e di un Presidente esterno. Sarà questa, a detta del Ministro, una  vera  “prova di maturità”, laddove per maturità si intende la capacità di discutere di un percorso durato cinque anni al cospetto di docenti che, per la maggior parte, hanno condiviso quel percorso con i loro studenti e le loro studentesse. Sicuramente è possibile apprezzare questa intenzione, tuttavia non bisogna dimenticare che il momento di restituzione orale del percorso svolto era previsto anche nell’Esame di Stato concepito secondo la modalità per così dire “classica”, caratterizzata da (almeno) due prove scritte e, appunto, dall’orale. In effetti, dall’eliminazione della terza prova scritta all’eliminazione delle tre prove d’esame il passo è stato breve. Dovremmo interrogarci sulla possibilità di una correlazione tra l’iter dell’Esame di Stato e l’attenzione progressivamente minore riservata al potenziamento di competenze di scrittura in lingua madre, come rilevato dallo stesso Ministero dell’Istruzione in tutte le sue articolazioni.

A conferma di questa ipotesi giunge quanto mai opportuno il riferimento a una petizione lanciata da un gruppo di studenti e studentesse sul sito change.org che recita così (sic):  Noi studendi maturandi chiediamo l’eliminazione delle prove scritte all’esame di maturità 2022, poiché troviamo ingiusto e infruttuoso andare a sostenere un esame scritto in quanto pleonastico, i professori curricolari nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare le nostre capacità. Inoltre abbiamo passato terzo e quarto anno in DAD, penalizzandoci, distruggendo parte delle nostre basi che ci sarebbero dovute servire per l’esame. L’ulteriore stress di un’esame scritto remerebbe contro un fruttuoso orale indispensabile come primo passo verso l’età adulta. Sicuri di un suo positivo riscontro le porgiamo i più cordiali saluti.

Il testo di questa petizione si commenta da solo: tralasciando i refusi e qualche errore ortografico di troppo, si percepisce un  tono sostanzialmente troppo colloquiale che stride con qualche innalzamento di stile dovuto probabilmente alla scelta di un lessico in parte non adeguato al contesto e forse non padroneggiato fino in fondo. Alla luce di questo, la scuola italiana si trova al bivio: abbandonare definitivamente l’obiettivo formativo di sviluppare competenze di scrittura oppure rinnovarsi ma senza perdere la propria vocazione primaria, quella cioè di insegnare a scrivere e a far di conto.

L'autore

Rossella Iovino

Docente presso Liceo Statale A. Meucci di Aprilia